Il Palazzo dell’Orologio
Sommario
ToggleSiamo in Piazza del Duomo, a Milano. Alle spalle della Cattedrale si apre uno slargo, quasi una piazzetta, che oggi permette il transito fra Corso Vittorio Emanuele II, e via dell’Arcivescovado. E’ una zona pedonale, spesso occupata da bancarelle di ambulanti in occasione di fiere varie (particolarmente nel periodo natalizio). Non era esattamente così tempo addietro …. quella strada era un po’ diversa ….
Proprio in questa piazzetta – la cui denominazione originale, almeno fino al 1884, era Piazza del Camposanto – esattamente di fronte alle magnifiche vetrate dell’abside del Duomo, vi è oggi l’imponente e bella facciata del Palazzo dell’Orologio.
Indubbiamente importante per ciò che rappresenta, stranamente, l’edificio passa pressocché inosservato alla maggioranza del pubblico, sia perché gli affascinanti pizzi delle grandiose vetrate della zona absidale del Duomo esattamente di fronte, rapiscono indubbiamente lo sguardo, sia perché l’interesse dei passanti risulta essere più attratto dalle grandi vetrine dei negozi che si affacciano al piano stradale, che non dalla sua mole imponente. Come dichiara il grande stemma dorato sulla cancellata all’ingresso , questo palazzo è la sede della Veneranda Fabbrica del Duomo.
Cos’è la Veneranda Fabbrica del Duomo?
Istituita nel lontano 1387 da Gian Galeazzo Visconti, Signore di Milano, per la progettazione e la costruzione della Cattedrale, la Veneranda Fabbrica del Duomo, è lo storico Ente ecclesiastico preposto alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico del monumento. Oggi sono ben 636 anni, che esso si adopera nella conservazione e nel restauro del Duomo, provvedendo al reperimento delle risorse necessarie al suo mantenimento e garantendo nel contempo sia la custodia dei beni, che il supporto alle particolari attività liturgiche che vi si svolgono (ad esempio l’antico rito della nivola, che si svolge annualmente nel mese di settembre).
Si occupa inoltre della gestione:
- dell’Archivio Storico che raccoglie documenti riguardanti le vicende costruttive ed artistiche della Cattedrale
- della Cappella Musicale che, fin dal 1402, accompagna tutte le celebrazioni liturgiche
- del Museo del Duomo che ospita, nell’ala sinistra del Palazzo Reale, sculture, disegni, dipinti, modelli, vetrate e paramenti sacri provenienti dalla Cattedrale.
- dei Grandi Cantieri, su cui svolge un’azione tecnica ed amministrativa di controllo
- delle cave di Candoglia, da cui si estrae il famoso marmo rosato.
A quando risale questo palazzo?
Verso la metà dell’Ottocento (1841), il Duomo era finalmente in via di completamento: allo scopo di cominciare a risistemare e a riqualificare tutta l’area occupata dai vari cantieri ancora aperti intorno alla Cattedrale, la Veneranda Fabbrica decise di affidare all’architetto Pietro Pestagalli (1776 – 1853), l’incarico di progettare, un nuovo edificio che rispondesse alla necessità di riunire in un unico stabile, magazzini, depositi di marmo, laboratori, botteghe, e soprattutto gli uffici amministrativi e di progettazione dell’Ente. L’edificio in fotografia che ora vediamo esattamente di fronte all’abside della Cattedrale, sorge nell’area che, ai tempi, dopo l’apertura del cantiere del Duomo, era stata recintata ed occupata, da un cimitero (finito in disuso nel corso del Seicento), oltre che dagli alloggi degli operai del cantiere, dai depositi di materiali e dai laboratori vari utilizzati dalle maestranze e da uffici della Fabbrica.
L’edificio eretto fra il 1841 ed il 1866, colpisce l’osservatore, per la sua sobria eleganza. La grande facciata tardo-neoclassica appare decisamente imponente ed è caratterizzata da un basamento bugnato, da un porticato rialzato con tre arcate a tutto sesto, chiuse da una cancellata in ferro battuto che si apre su un ampio atrio, ed è scandita da enormi semi colonne corinzie di ordine gigante (al primo e secondo piano).
Prima di continuare a descrivere questo palazzo, per capire meglio quanto segue, mi rifaccio alle origini del Duomo.
A quei tempi, verso la fine del Trecento, le cronache riferiscono che in quell’area sacra, dietro la zona absidale della vecchia Cattedrale (la basilica di Santa Maria Maggiore, o basilica vetus, per intenderci), vi erano delle costruzioni destinate sia a sede vescovile, che ad alloggio per i canonici e a residenza per anziani. Allontanandosi poi, dal centro città verso Est, a parte altre chiese e conventi onnipresenti, vi erano i ruderi delle Terme ed altri edifici isolati, disseminati in ampi spazi aperti e zone destinate a pascolo.
Ndr. – A meno di duecento metri da questa strada, andando in direzione di San Babila, in largo Corsia dei Servi 4, c’è la chiesa di San Vito in Pasquirolo, un’antica chiesetta del XII secolo (restaurata ai tempi di Federico Borromeo), sorta sull’area del frigidarium delle antiche Terme Erculee. Il nome di questa chiesa deriva dal pasquirolo, il pascolo pubblico che, in passato, copriva tutta l’area circostante.
Non deve quindi stupire se, dietro la zona absidale della vecchia Cattedrale , già nell’alto Medioevo (quando tutta l’area era ancora sgombra), si fosse deciso di destinare parte di quegli spazi aperti a Campo Santo, data anche l’antica consuetudine di seppellire i defunti nei pressi delle chiese. A dire il vero, poi, all’epoca, non se ne fece nulla, e, anzi, come già detto, parte di quel suolo venne utilizzato per edificare gli alloggi per il clero e per accogliere una struttura assistenziale.
Ora, (eravamo sul finire del Trecento), il discorso del Campo Santo era ritornato nuovamente oggetto di discussione, dopo secoli di oblio. L’idea aveva ripreso corpo, pochi anni dopo l’inizio dei lavori per la nuova Cattedrale. Perché mai?
Perché proprio un Campo Santo?
I lavori della Cattedrale erano partiti già da cinque anni, quando, nel 1391, il progetto iniziale (già peraltro cambiato una prima volta nel 1387, per decisione di Gian Galeazzo Visconti, a solo un anno dall’avvio dei cantieri), venne pesantemente stravolto una seconda volta. Si era partiti dall’idea di costruire una grande chiesa a tre navate (esattamente come la piccola basilica di Santa Maria Maggiore che la nuova Cattedrale stava inglobando), con l’aggiunta, ai lati, di sedici cappelle quadrate, i cui muri divisori avrebbero dovuto fungere da contrafforti. Sulla base di questo progetto, erano stati già fatti i calcoli e dimensionate le fondamenta per il nuovo complesso. La decisione poi (presa nel 1391), di cambiare la struttura facendo a meno delle cappelle laterali, e portando il numero delle navate da tre a cinque, scombinò pesantemente il progetto, a livello ingegneristico. Il fatto di venire a mancare i contrafforti di sostegno che garantivano la stabilità del complesso dalle sollecitazioni laterali, comportò naturalmente una nuova riprogettazione del tutto in termini di ampliamento delle fondamenta, già fatte. E infatti, fu proprio a seguito di questi nuovi calcoli, che si decise, nel luglio di quell’anno, l’ingrossamento dei quattro pilastri centrali (quelli destinati a sostenere il tiburio).
Ma a parte l’aspetto tecnico già molto rilevante, vi era anche l’aspetto economico ad avere il suo peso non trascurabile. Non faccio riferimento alle ovvie, prevedibili spese supplementari a seguito delle modifiche strutturali da apportare di conseguenza, bensì ai mancati introiti dei lasciti dei nobili, a seguito dell’eliminazione delle sedici cappelle.
La costruzione del Duomo, non godendo di finanziamenti certi e garantiti, si reggeva unicamente sulle donazioni più o meno sollecitate, sui lasciti testamentari, su oblazioni ed elemosine varie. [Ndr. – Solo dopo il 1395, avrebbe potuto contare su un sussidio annuale di 9000 fiorini d’oro da parte del duca Gian Galeazzo]. La preoccupazione fondamentale per la Veneranda Fabbrica, era il riuscire a sostenere i costi (materiali, stipendi alle maestranze ecc,) garantendo su un afflusso sufficiente e il più possibile costante di danaro. Nei periodi di crisi, cioè di scarsi introiti, allo scopo di evitare il blocco dei cantieri, interveniva pure l’arcivescovo assicurando l’indulgenza plenaria su tutti i peccati veniali a quanti avessero prestato la loro opera gratuitamente. Anche le cappelle inizialmente previste, erano una fonte di reddito. Ed ora, che nel nuovo progetto erano sparite, era venuta meno anche quella fonte rilevante, sulla quale la Veneranda Fabbrica potesse più contare. La decisione di eliminarle, aveva praticamente tagliato fuori il Duomo dal fiorente mercato dei nobili che sovvenzionavano volentieri, con generosissime offerte in danaro, i lavori della Cattedrale, nella speranza di poter aver diritto ad una delle cappelle disponibili e quindi, così garantita per loro, una sepoltura degna del nome che portavano, e che avrebbe lasciato ai posteri il ricordo del defunto e della sua augusta famiglia.
Eliminate le cappelle, l’idea del Campo Santo era una sorta di ripiego, ideato dai deputati della Veneranda Fabbrica, per non perdere del tutto le donazioni attese per sovvenzione dei lavori per la Cattedrale. Naturalmente, si sarebbe dovuta fare una difficile e suadente ‘campagna marketing‘ per far ‘digerire‘ alla nobiltà, che, al pari della cappella, quello sarebbe stato ugualmente un luogo prestigioso, assolutamente esclusivo e confortevole, in cui poter trascorrere l’eternità!
Così, i lavori del Campo Santo presero avvio effettivo con la posa della prima pietra nel luglio del 1394, dopo aver trovato alloggi alternativi ai canonici delle basiliche, e ajj’ospizio per anziani e demolito le costruzioni esistenti dietro la basilica di Santa Maria Maggiore. Addossato all’abside della nuova Cattedrale, venne costruito un grande chiostro a pianta rettangolare, sul modello di quello di Pisa, sotto le volte del quale, trovarono posto le tombe nobiliari dei ricchi benefattori. Non pare che tale privilegio fosse particolarmente ambito se è vero che, quando nell’Ottocento vennero effettivamente effettuati in loco, degli scavi esplorativi, si trovarono pochi scheletri blasonati (Ndr. – la campagna marketing non aveva evidentemente riscosso i risultati sperati!).
Oltre al chiostro c’era tutta una zona a prato recintata che si estendeva almeno sino alla attuale via Pattari (la strada degli straccivendoli). Il camposanto venne comunque effettivamente utilizzato, nella zona a prato non solo per la sepoltura di benefattori borghesi, ma anche per quella dei canonici, specialmente durante la peste del 1400.
Dopo questa digressione, torniamo ora nuovamente al Palazzo dell’orologio:
Edificio con una sorpresa
Questo edificio nasconde qualcosa di inatteso e che, anche fra gli stessi milanesi, non sono in moltissimi a conoscere, nonostante un cartello apposto sulla cancellata in ferro all’entrata, riveli chiaramente di cosa si tratta. Al di là di quell’austera facciata infatti, non si apre, come ci si potrebbe attendere, un ingresso di rappresentanza o uno dei sontuosi e magnifici cortili delle case patrizie di Milano, bensì, incredibilmente, una piccola chiesa a pianta ottagonale! Che ci sta a fare un’altra chiesa a nemmeno 30 metri dalla Cattedrale? La targa in ottone, fissata alla cancellata del porticato sotto lo stemma, informa, a scanso di equivoci, che quello è l’ingresso della chiesa S. Maria Annunciata in Camposanto.
La storia di questa chiesetta
Come si è visto sopra, la Veneranda Fabbrica, già a partire dal 1395, aveva iniziato a far costruire (su progetto di Giovanni de’ Grassi) proprio a ridosso dell’abside del nuovo Duomo, un camposanto con un chiostro.
1399
Ove ora sorge la chiesetta, fu edificata (nel 1399), una piccola cappella grazie al consistente lascito testamentario a favore del Camposanto effettuato da un devoto. Questi, non vantando particolari titoli nobiliari per poter avere assicurato un posto nel chiostro, aveva optato per far erigere una cappelletta nei pressi dello stesso, acquisendo comunque il diritto di sepoltura in quel camposanto per sé e per i suoi eredi.
1455
Verso la metà del XV secolo, la cappelletta esistente venne sostituita da una chiesetta, con piccolo campanile, pare, su disegno di Guiniforte Solari (1429 – 1481).
NOTA
Nel XVI secolo, essendo andati persi alcuni libri contabili (unica fonte d’informazione per queste note) libri nei quali erano minuziosamente registrate le entrate e uscite di cassa del Campo Santo, e quindi naturalmente i lavori eseguiti e portati eventualmente a termine, non è possibile sapere con esattezza se la costruzione di questo cimitero sia mai stata completata, e quando, e per quale ragione, il chiostro sia poi stato demolito. Si ipotizza che la cosa sia accaduta da un lato, a seguito della scarsa risposta della nobiltà ai numerosi tentativi di promozione marketing delle tombe sotto le volte del chiostro, dall’altro dalla pressante necessità di spazio, nelle immediate vicinanze della Cattedrale per i nuovi magazzini di deposito materiale per il cantiere del Duomo. Esclusa la chiesetta, altre opere già completate per il camposanto come i porticati e altre costruzioni fuori terra, vennero uno ad uno demoliti per fare posto alla cosiddetta ‘cassina’ cioè all’eterogeneo cantiere della Veneranda Fabbrica del Duomo ove le botteghe, i magazzini e le abitazioni dei marmorini sorgevano in quell’area recintata, fra le tombe ancora sparse qua e là.
Alla chiesetta quattrocentesca dedicata a Santa Maria Relogi (cioé Santa Maria dell’orologio, perché l’orologio del suo campanile scandiva le ore di lavoro per le maestranze del cantiere della cattedrale), venne annessa la cassina a servizio del cantiere della Fabbrica del Duomo, divenendo la cappella riservata agli operai della Fabbrica.
Ndr. – L’orario di lavoro coincideva con le ore di luce: iniziava all’alba. e si concludeva mezz’ora prima del tramonto (alle 23.30). Fino a quasi tutto il Settecento, qui da noi, vigeva la ‘ora italica’ che prevedeva che le 24:00 non coincidessero con la mezzanotte, bensì con il tramonto che concludeva la giornata. Far suonare la campana alle 23:30, indicava che il cantiere chiudeva mezz’ora prima del calare del sole. Ovviamente questo faceva sì che al variare delle stagioni cambiasse anche la durata dell’orario di lavoro e quindi pure l’entità del salario giornaliero.
1616
Quella chiesa comunque non durò ancora molto: nel 1616, infatti venne completamente rifatta per ordine del cardinale Federico Borromeo (allora arcivescovo di Milano), su progetto dell’architetto benefattore Aurelio Trezzi (1564 – 1626), e venne destinata in perpetuo servizio alla dottrina, adibendola anche ad Oratorio dei Giovani.
1661
Nel 1661, il sito aveva perso definitivamente la funzione di cimitero e la chiesa era diventata il luogo dove coloro che lavoravano per la Veneranda Fabbrica potevano assistere collegialmente alla S. Messa festiva.
1725 – 1740
Nel 1725, anche questa chiesa venne demolita: in sua vece venne costruita l’attuale, su progetto di Antonio Quadrio (1740). L’aula che possiamo vedere oggi, è a pianta ottagonale e con due cappelle laterali. Coperta da una cupola con lanternino, si apre su un profondo presbiterio, al centro del quale, si erge un altare settecentesco, impreziosito di marmi rari, pietre dure e bronzi dorati.
All’origine di questa ultima e più monumentale versione della Chiesa, dedicata a Santa Maria Annunciata in Camposanto, sta certamente un episodio miracoloso, raccontato dallo storico abate milanese Serviliano Latuada (1704 – 1764) nella sua celebre guida di Milano del 1737-1738, in cinque volumi, dal titolo che, come si legge qui sotto, non brilla certo per sintesi:
‘Descrizione di Milano ornata con molti disegni in rame delle fabbriche più cospicue, che si trovano in questa metropoli‘
, !
Il miracolo dello storpio
Un giorno, uno storpio, sostando in preghiera dinanzi ad un pannello marmoreo cinquecentesco raffigurante l’Annunciazione di Maria, che giaceva lì, apparentemente abbandonato per terra, ottenne, davanti gli sguardi stupiti dei presenti, una incredibile e, miracolosa guarigione. Quel pannello, inizialmente destinato a decorare la lunetta della porta laterale della cattedrale milanese, nell’area oggi occupata dall’altare della Madonna dell’Albero, era stato scolpito da Pellegrino Pellegrini detto il Tibaldi, (1527 – 1596) su richiesta del cardinale Federico Borromeo ed era appoggiato temporaneamente per terra in attesa di collocazione. Questo miracolo commosse tutta Milano, tanto che i reggenti della fabbrica vollero onorare la miracolosa immagine collocando il bassorilievo sopra l’altare maggiore della Chiesa, dove tuttora si trova. Dal momento in cui, quel bassorilievo venne collocato sull’altare maggiore, questa chiesa assunse l’attuale denominazione di Santa Maria Annunciata in Camposanto.
1846
La chiesa attuale, mantenendo ancora la propria facciata, venne nascosta alla vista quando, nel 1846, si iniziò la costruzione della facciata del nuovo palazzo della Veneranda Fabbrica. I lavori procedettero molto a rilento in quegli anni, non per problemi tecnici incontrati, bensì per la difficile situazione politica a Milano, che, tra scioperi e rivolte, obbligava a frequenti e lunghe sospensioni dell’attività del cantiere. (Ndr.- ricordo gli eventi più importanti di quel periodo: Le Cinque Giornate di Milano. la ritirata degli Austriaci dalla città, il loro rientro, gli anni della repressione)
1853
Dopo l’ennesima sospensione forzata nel 1853 (questa volta a causa della morte del settantasettenne progettista Pietro Pestagalli), i lavori del palazzo, vennero più tardi ripresi dal figlio, Giuseppe Pestagalli, e portati a termine nel 1866. La facciata della chiesetta venne abbattuta e il tempio fu incorporato nell’edificio, attraverso l’attuale portico a tre fornici che sta al centro del fabbricato monumentale.
1866
Nel 1866, sulla sommità del grande Palazzo, in linea con l’asse centrale, venne collocato, su progetto dell’architetto Giuseppe Vandoni (1828 – 1877), un grande orologio, versione moderna di quello che, in precedenza, sul campanile della chiesetta di Santa Maria Relogi, aveva scandito le ore di lavoro del cantiere della cattedrale.
Nel 1867, l’orologio venne completato da due grandi statue realizzate dagli scultori più in voga al momento: Luigi Buzzi Leone e Abbondio Sangiorgio (quest’ultimo autore, fra l’altro, della magnifica sestiga in cima all’Arco della Pace). Le sculture raffigurano rispettivamente un giovane che si copre gli occhi per proteggersi dal sole (simboleggiante il Giorno – opera del Buzzi) e una donna assopita (rappresentante la Notte – opera del Sangiorgio).
Note relative alla chiesa
- Nel 1972, in osservanza della riforma liturgica, venne eretto in chiesa un nuovo altare delle celebrazioni rivolto verso il popolo. Nell’occasione, il tempio fu restaurato, restituendogli decoro e funzionalità.
- La chiesa è ancor oggi officiata ed è pertanto visitabile, anche se con orario molto ridotto: durante l’anno (con esclusione dei mesi estivi) viene aperta praticamente solo per le funzioni:
– nei giorni feriali, la Messa è alle 13.10;
– nei giorni festivi, al mattino è “occupata” dalla comunità eritrea, che ha recentemente sostituito quella giapponese. - La chiesa di Santa Maria Annunciata rimane aperta:
dal Lunedì al Venerdì dalle ore 12 alle ore 14
La domenica, la Messa viene celebrata alle ore 11.30
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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