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Acqua sì, acqua no, pro e contro nella Milano di ieri

Premessa

Pochi giorni or sono , il 22 marzo, c’è stata la ricorrenza della giornata mondiale dell’acqua. Visita agli acquedotti, ai grandi collettori fognari di una Milano sconosciuta, ai grandi impianti di trattamento dell’acqua, insomma la presa di coscienza di un bene prezioso del quale troppo spesso non ci rendiamo conto, e di cui nessuno di noi può oggi farne a meno. Farsi una bella doccia o un bel bagno dopo una giornata stressante, è sicuramente uno di quei piccoli piaceri della vita, cui difficilmente si rinuncia. Oltre ad essere un modo gradevole per la cura dell’igiene personale tenendo lontane possibili malattie, per noi oggi, rappresenta uno dei momenti di relax più piacevoli della giornata. Possiamo ritenerci davvero dei fortunati, anzi fortunatissimi perché rileggendo la storia scopriremmo che non sempre è stato proprio così. Già per i nostri nonni le cose non erano così semplici, figurarsi prima ancora! Ma vediamo meglio il perché.

Nella Mediolanum imperiale

Nei tempi antichi, i Romani, maestri nella gestione delle acque, importarono nelle principali città dell’impero le loro migliori tecniche idrauliche per l’uso dell’acqua nelle pratiche quotidiane. Nella Aurelia Augusta Mediolanum, così si chiamava la città nel 286 d.C. , oltre ad utilizzare l’acqua come bene primario, veniva pure sfruttata scopo di difesa, deviando addirittura il corso del Seveso e dell’Olona, per poter riempire i fossati intorno al castello e alle mura della città. Furono i Romani ad inventare il sistema fognario per il deflusso delle acque reflue. Furono sempre loro a rendere la Vettabbia una via navigabile. L’acqua non era vista solo come fonte di ricchezza, ma anche di benessere fisico

Le terme Ercùlee

Le terme Ercùlee sono un esempio tangibile di questo ultimo aspetto. Fatte erigere fra il III e IV secolo, dall’imperatore Massimiano, chiamato anche “Erculeo“, da cui le terme prendono il nome, di queste, oggi rimane solo una piccola traccia in Corsia dei Servi. Erano grandiose come uno stadio: misuravano 127 metri di lunghezza e 112 di larghezza, con una superficie complessiva di 14.500 m² e con muri spessi fino ad un metro e mezzo! Queste misure colpiscono, se rapportata alla popolazione della Mediolanum di allora. Sembra che le acque con cui si alimentavano sia queste terme che i due battisteri vicini (santo Stefano alle Fonti e San Giovanni alle Fonti), provenissero o dal corso della roggia dell’Acqualunga  oppure direttamente dal Seveso che affiorava lì vicino. Oltre ad essere il più importante luogo di incontro e di ritrovo per i cittadini, quelle terme, di poco inferiori come dimensioni a quelle di Roma, avevano un’importante funzione igienico sanitaria finalizzata alla salvaguardia della salute della popolazione. Dal punto di vista religioso, le terme non furono molto ben accolte dalla Chiesa: presero un contenuto allegorico negativo, perché vissute come luoghi di lussuria e di ozio.

Terme Erculee – Foto di Giovanni Dall’Orto
Disegno delle Terme Erculee

Dopo la caduta dell’Impero

Alla caduta dell’impero romano, seguì un rapido peggioramento delle condizioni generali di vita della gente, dovuto essenzialmente al deterioramento degli impianti esistenti, per pura incuria e mancata manutenzione. Questo segnò la morte delle grandi opere idrauliche romane. Una buona parte degli impianti di distribuzione dell’acqua venne messa fuori uso, a volte anche intenzionalmente per motivi strategici, e le grandi terme abbandonate e depredate di tutti i loro beni. Le invasioni barbariche poi, dettero il colpo di grazie a queste situazioni già seriamente compromesse, portando alla distruzione dei manufatti ancora esistenti e quindi al loro totale abbandono. L’acqua, a parte il suo intensivo utilizzo per l’irrigazione dei campi, finì col diventare accessibile al popolo, unicamente attingendola dai pozzi, o al limite, dai torrenti, comportando quindi, notevoli problemi di approvvigionamento. L’acqua seppur abbondante in tutta l’area, era diventata improvvisamente preziosa, per la fatica che costava il procurarsela. Giustificato quindi il progressivo imbarbarimento dei costumi, dovuto alla naturale rinuncia all’utilizzo di questo prezioso elemento, per gli scopi “voluttuari” cui si era abituati, limitandone l’uso alle sole pratiche assolutamente indispensabili, cioè il bere e l’eventuale utilizzo in cucina. Non venne più vista dalla popolazione in chiave d’igiene personale, come fonte di piacere e di benessere, bensì come mera necessità vitale. Il piacere di un bagno, era improvvisamente diventato un lusso solo per pochi fortunati. Del resto, erano davvero pochissime le dimore nobiliari, che ancora potevano concedersi, disponendo di stuoli di servitori, di mantenere il tenore di vita precedente disponendo di un ambiente di relax con piccola vasca, stile terme. Ma anche questi privilegi ebbero breve durata, dopo di ché si piombò nel buio più assoluto per quasi un millennio, fra infinite guerre e carestie. Le cose cominciarono a migliorare molto lentamente solo a partire del XIII secolo, quando si ricostruì totalmente la citta dopo le devastazioni operate dal Barbarossa.

L’acqua, elemento vitale

Nel Trecento (in epoca viscontea), l’acqua era considerata elemento vitale: essendo un bene prezioso, doveva essere preservata il più possibile per l’agricoltura, per i commerci (il Naviglio Grande era da poco stato aperto), e come “strumento di lavoro” (concerie, mulini, magli, macine ecc). Veniva quindi poco usata per lavarsi, l’igiene personale naturalmente, lasciava molto a desiderare. Fu proprio il commercio il veicolo che favorì il dilagare delle prevedibili epidemie, con conseguenze devastanti.

Ndr. – La più grande epidemia della storia di cui si ha notizia, fu la peste nera, una pandemia quasi sicuramente di peste bubbonica, generatasi in Asia durante proprio gli anni ’30 del XIV secolo e diffusasi da noi fra la fine del 1347 e il 1352. Arrivata a Caffa in Crimea nel 1347, ricca colonia della Repubblica di Genova, da questo grande emporio sulla via dell’Oriente, si propagò velocemente per via d’acqua, seguendo le galee e le navi che percorrevano le rotte commerciali del Mediterraneo. Nello stesso anno, infatti, colpì l’Oriente bizantino e musulmano, i grandi porti di Costantinopoli e Alessandria e penetrò in Europa. Negli ultimi mesi del 1347, comparve a Messina per diffondersi poi negli altri porti (Genova, Marsiglia, Venezia, Pisa…) in cui facevano scalo le navi. Dai porti dilagò nell’entroterra e fino al 1352 percorse tutta l’Europa muovendo da sud est verso nord, seminando 25 milioni di morti (circa 1/3 dell’intera popolazione europea di allora valuata in 75-80 milioni di soggetti.

Così ne scrive il Boccaccio:
“Nascevano nel cominciamento d‟essa a maschi ed alle femmine parimenti o nell’anguinaia [agli inguini] o sotto le ditelle [le ascelle] certe enfiature [dette] gavaccioli [che] erano sicuro indizio di futura morte […] infra il terzo giorno dell’apparizione de‟ sopraddetti segni …”

Di fronte alla peste nera lo smarrimento della gente era totale: chi fuggiva, come le sette pulzelle e i tre garzoni del Decamerone, chi si dava alla lussuria sfrenata, e chi per sfuggire alla morte, trovava consolazione nella religione.

La cultura, se di cultura si può parlare, fra il XIV e il XVI secolo, era appannaggio quasi esclusivo del clero. Il popolo era totalmente analfabeta e faceva pure comodo restasse nella più completa ignoranza, essendo in tal modo, più facile gestirlo. Nobiltà ed aristocrazia si spartivano la gestione del potere.

Anche per quanto riguarda la scienza, si era ancora ai primordi e ben lontani dallo scoprire le vere cause di queste epidemie. Brancolando nel buio, qualunque teoria messa in bocca ad un soggetto ritenuto “colto”, veniva presa per oro colato, finendo col diventare spesso un dogma. Ad esempio, l’asserzione, frutto di pure supposizioni di uno di costoro, che l’acqua potesse essere la causa di contagio, insinuò fra la gente la convinzione diffusa che effettivamente fosse l’acqua la principale origine di tutti i mali! Nell’opinione delle masse, l’acqua cominciò ad essere vista con sospetto.

Il bagno di piacere, simbolo del peccato

Ben lungi dal dissipare questi dubbi, fu proprio il clero. Col diffondersi delle comunità monastiche infatti, nell’ottica della moralizzazione dei costumi giudicati troppo dissoluti soprattutto fra l’aristocrazia, (vedi San Carlo Borromeo fedele assertore dei dettami del Concilio di Trento), vennero prese di mira tutte le occasioni di svago: quindi festini, balli e naturalmente anche il bagno di piacere (per i nobili che ancora potevano permetterselo).

Ndr. – All’epoca, le stanze da bagno delle dimore nobiliari, erano dei luoghi di riposo e di relazioni sociali fra ambo i sessi, non propriamente luoghi privati per la cura della persona e dell’igiene

Il bagno venne visto come simbolo di ozio e peccaminosa promiscuità (lussuria), e, in quanto tale, rigidamente condannato dalle autorità ecclesiastiche per l’intero corso del Medioevo.

I tabù sessuali della Chiesa,  moltiplicarono i motivi per non usare l’acqua per lavarsi; il clero volle bandire sia i bagni pubblici perché costituivano contatto fisico e nudità, che quelli usati in privato per l’igiene personale, essendo ritenuta moralmente censurabile l’esplorazione del proprio corpo.

Probabilmente, per convincere con le buone l’aristocrazia “dissoluta e immorale” a rispettare i rigidi dettami della Chiesa, pena il rischio di scomunica, non è escluso che fosse stato proprio qualche monaco “colto”, a mettere in giro la voce che l’acqua fosse una sicura fonte di pericolo per la salute.

L’acqua, veicolo di malattie

Allo scoppio della peste del (1576 – 1577), prese ancora maggior corpo l’opinione che l’acqua potesse essere veicolo di diffusione della malattia, e che si dovesse drasticamente limitarne l’uso. Ciò significava la restrizione di certe “malsane” abitudini, quale quella più volte deprecata, relativa all’igiene personale. Si era infatti fatta strada fra la gente, la credenza che non si dovesse più fare il bagno nell’acqua tiepida perché l’acqua apriva i pori della pelle. Poiché era convinzione comune che il bagno fosse debilitante, questo avrebbe significato esporre pericolosamente il corpo al rischio di malattie. I pori dilatati avrebbero favorito l’introduzione dei miasmi presenti nell’aria, dovuti alle decomposizioni organiche e alla presenza di acque stagnanti. Implicitamente questa asserzione denuncia lo stato di abbandono e di sporcizia in cui versavano le strade deIla città. Il consiglio era quindi di ridurre al minimo le abluzioni in acqua, anche nell’ipotesi che l’immersione fosse prevista come terapia per la cura di certe malattie. In tal caso comunque, la regola imponeva una sorta di quarantena, relegati in casa per 2 o 3 giorni, per non esporre la pelle con i pori ancora “aperti” all’aria malsana, rischiando di contrarre qualche patologia peggiore.

Le raccomandazioni popolari

Il “non lavarsi mai” era uno dei consigli più preziosi, che i genitori di allora, potessero dare ai loro pargoli puzzolenti! Raccomandazione questa che sicuramente, detta una volta, non aveva bisogno di essere ripetuta una seconda!. Del resto, ad avvalorare questa tesi, la sporcizia in sé, non era ritenuta un rischio per la salute, anzi si riteneva che la sozzura stratificata, fungesse da miglior protezione per la pelle. Il cambio frequente della biancheria era considerato altrettanto efficace quanto un buon bagno. Si giustifica in tal modo, il larghissimo uso di essenze e forti profumi per coprire l’olezzo sprigionato da intere generazioni di giovani, fedeli assertori di questi insegnamenti! Si faceva pure largo uso di essenze per profumare l’aria e combattere così i cattivi odori negli ambienti. Tutto questo nella convinzione che gli odori gradevoli servissero a purificare dai miasmi, sia i polmoni che il sangue.

“L’acqua fa male”; “Chi beve acqua si ammala”: queste le raccomandazioni che, ripetute come un mantra dai medici, consolidarono la convinzione fra la gente che il diffondersi crescente delle malattie gastroenteriche dipendesse esclusivamente da questo elemento. Per tenere lontane le contaminazioni veniva consigliato di evitare i vapori dell’acqua e le condense, soprattutto negli spazi chiusi.
Se queste regole valevano per gli adulti, disposizioni ancora più stringenti venivano applicate ai neonati che, in mancanza di difese immunitarie, erano maggiormente esposti alle malattie. Proprio in virtù di queste convinzioni, i corpicini di quelle creature non venivano mai lavati con l’acqua tiepida, ma strofinati a secco con panni asciutti, poi unti con olio di rosa o di mirtillo, quindi spalmati tutti con una sorta di cera, prima di essere rigidamente fasciati nel tentativo di ostruire i pori della pelle! Poichè le epidemie non hanno confini, le stesse regole che valevano a Milano, si applicavano ovunque, come succede anche ora. Uno che subì simile trattamento, a quanto riportano le cronache dell’epoca, fu ad esempio Luigi XIII (1601 – 1643), Re di Francia, che, dopo la nascita e fino all’età di 6 anni non fu mai lavato!

L’acqua, bandita del tutto

Nel 1630 poi, al riacutizzarsi dell’epidemia di peste, l’acqua venne addirittura bandita del tutto, nella convinzione che fosse proprio questo elemento, il veicolo che consentiva alla peste, di insinuarsi più facilmente nel fisico del soggetto. Credenze queste che non fecero che peggiorare ulteriormente la situazione dal punto di vista igienico, influenzando pesantemente le abitudini ed i costumi di intere generazioni a venire.

La cosa aveva fatto talmente presa tra la gente, che le cronache riferiscono che ad esempio in Francia, lo stesso Luigi XIV (1638 – 1715), il famoso “Re Sole”, nonostante soffrisse spesso di gonorrea (cioè scolo o perdite uretrali), fece un solo bagno completo in 64 anni (fra il 1647 e 1711)!

L’acqua era bandita al punto, che il suo uso non era giustificato nemmeno per tentare di eliminare i parassiti dal corpo. Era normale avere pulci e pidocchi, anzi si diceva che le pulci portassero benefici perchè succhiavano le impurità del sangue e fortificavano la vista!

Se questa era il modello d’igiene cui si attenevano le autorità, non è difficile immaginare quale fosse la situazione di degrado igienico e sanitario fra la gente comune. Le pratiche di pulizia erano quasi nulle, e comunque limitate esclusivamente ad alcune parti visibili del corpo. Faccia, mani e piedi si lavavano “a secco”, cioè venivano strofinati con dei panni rigorosamente asciutti.

Anche dal punto di vista della pulizia della città, Milano lasciava molto a desiderare! Come tutte le altre capitali europee, era un autentico immondezzaio, in quell’epoca! Anche volendo tentare di migliorare le cose, non c’erano molte possibilità per risolvere il problema, senza una precisa volontà politica alla base di tutto! Era proprio un discorso di cultura, radicato fin dai secoli bui e molto difficile da modificare e peggio ancora, da estirpare! Incredibilmente per noi oggi, il concetto di pulizia non era né una priorità, né un’esigenza sentita!

Il lento ritorno alla ‘normalità’

Dopo il lungo periodo di oscurantismo totale, le cose cominciarono a cambiare nella seconda metà del XVIII secolo, ai tempi di Maria Teresa d’Austria. Fu appena allora che cominciò timidamente a farsi strada la nuova teoria che l’acqua tiepida avesse virtù terapeutiche rilassanti, mentre l’acqua fredda avesse funzione tonificante per la muscolatura,  aumentando pure la fluidità del sangue.

Fu così che, piano piano, verso la fine del secolo, dopo l’inaugurazione nel 1783 della prima fontana della città, cominciarono a comparire in alcune nuove abitazioni, le prime stanze da bagno con acqua corrente, con funzione non ancora di luogo privato per la cura e l’igiene del corpo, bensì come ambiente di relazioni sociali e di relax. Erano le avanguardie di una rivoluzione tecnologica per Milano! Quella delle pompe idrauliche!.

Ndr. – Nessuno fino ad allora si era mai posto il problema, a Milano, del sollevamento dell’acqua, alla quota desiderata, partendo dal punto di presa (cioè dal corso d’acqua o dal pozzo più vicino). Lo stesso grande architetto dell’epoca, Giuseppe Piermarini , nel 1772, rimase arenato, per circa una decina d’anni, con i lavori della fontana di Piazza Fontana, la prima della città, prima di riuscire a di trovare una soluzione soddisfacente per far zampillare l’acqua dalla sommità della stessa.

Bisognerà arrivare ai primi decenni del XIX secolo per vedere l’inizio della diffusione dell’utilizzo dell’acqua finalizzato all’igiene, ma, tutto questo, come risultato del lento e lungo processo di superamento dei tabù sessuali della Chiesa durato intere generazioni, e con il parallelo progresso dell’edonismo, scuola di pensiero del benessere immediato. Sicuramente giocò a favore di questa evoluzione. sia il giuseppinismo, la politica anticlericale di Giuseppe II d’Asburgo-Lorena, figlio di Maria Teresa d’Austria, che l’analoga politica di Napoleone Bonaparte, che indebolirono il potere della Chiesa, che si trovò costretta a concessioni, che prima erano assolutamente impensabili.

La Milano dell’Ottocento

Come detto quindi, solo le nuove dimore cominciarono lentamente nell’Ottocento a dotarsi di servizi. Nella stragrande maggioranza delle altre abitazioni, dove non esisteva nulla, per poter fare un bagno, o si ricorreva a mezzi di fortuna, tipo tinozze, da riempire manualmente, oppure non restava che appoggiarsi alle strutture pubbliche, ammesso che ce ne fossero.

Il bagnetto nella tinozza

Il bagno pubblico inteso come ’albergo diurno’ doveva ancora nascere. Il primo ‘albergo diurno di Milano, di cui si ha notizia, quello di via Silvio Pellico (piazza Duomo), verrà inaugurato appena nel 1924, seguito a ruota nel 1926 da quello di Porta Venezia!

Milano, città d’acqua, non disponeva, ad inizio Ottocento, alcun impianto comunale pubblico, perché la gente potesse lavarsi. Quindi non ci si lavava proprio! L’unico modo per coprire il disagio era l’uso smodato di profumi che, si diceva procurassero un’efficace protezione contro le epidemie.

Un’ordinanza del Ministero dell’Interno austriaco, nel 1819, richiedeva al prefetto di Milano, di predisporre in città, all’interno delle mura, dei bagni pubblici, per consentire ai cittadini la pratica del nuoto. Era la prima presa di coscienza delle autorità, di una realtà sconcertante: la città era totalmente priva di bagni pubblici!

Non sembra che quell’ordinanza del Ministero abbia avuto un seguito, perché bisognerà attendere il 1836 [in piena epidemia di colera (1835 – 1837)], prima di riparlarne in un progetto, nel quale qualcuno avrebbe visto nel Lazzaretto, il luogo ideale per creare dei bagni. [Ndr. – In effetti il Lazzaretto, dopo la peste del 1630, aveva perso totalmente la sua funzione di ospedale e venne adibito ad altri usi, sia militari che civili].

Probabilmente fu proprio l’esplosione di questa ’epidemia di colera, in concomitanza con la comparsa sempre più frequente di articoli sull‘igiene nei trattati medico-sanitari dell’epoca, che fecero scattare nell’opinione pubblica benpensante, la presa di coscienza del concetto di igiene personale, ormai dimenticato da generazioni. Facendosi lentamente strada la convinzione che una delle cause di diffusione del colera fosse proprio la mancanza d’igiene personale, l’acqua venne ‘riabilitata’ e riproposta come elemento sempre più indispensabile per la pulizia ed il decoro della persona..

Bisognerà aspettare la seconda metà dell’800, cioè dopo l’unità d’Italia, parallelamente alla diffusione di una maggior igiene del corpo, per avere le prime scoperte microbiologiche di Louis Pasteur (teoria dei germi), K. J. Eberth, (scopritore degli agenti patogeni del tifo) e Robert Koch (scopritore di quelli del colera). Da qui presero piede le prime campagne di salute, basate sulla disinfezione di persone e ambienti.

Il primo bagno comunale

E’ chiaro che il problema igienico, in quegli anni, doveva essere ancora poco sentito dai politici se, bocciato il progetto Lazzaretto, si riprenderà nuovamente il discorso appena nel 1863, dopo aver lasciato passare altre due epidemie di colera (quella del 1849 e 1e quella del 1854 – 1855). Ma pure quello fu un falso allarme, probabilmente una mossa per tacitare qualche personaggio influente. Il Comune aveva fatto indire, tramite l’Accademia di Belle Arti, un concorso per il progetto di un edificio destinato alla pratica del nuoto. Ma fra ripensamenti, cambi di Giunta, scarsa volontà politica e due nuove epidemie di colera (1865 – 1867, 1884 – 1886), si accantonò pure quella soluzione. Finalmente nel 1887, vedrà la luce il primo bagno pubblico della città, al ponte delle Gabelle a Porta Nuova. Il bagno era stato ricavato delimitando uno slargo del Naviglio Martesana con delle cesate cioè paratie in legno, creando tutt’intorno delle baracche, ad uso cabine. Cinquant’anni di progetti, spese e studi inutili per un bagno che si sarebbe potuto predisporre in pochi giorni già nel 1836, a costo quasi nullo. Ovviamente, questo poteva funzionare solo per i tre mesi estivi, ma per il resto dell’anno? La soluzione realizzata era ben lungi dal risolvere le esigenze dei milanesi!

Il bagno solo per uomini

La popolazione di Milano, verso la fine del XIX secolo, contava circa 650.000 persone, un numero enorme per una città con un unico bagno pubblico, e solo per i tre mesi estivi! Piccolo dettaglio: quel bagno era solo per gli uomini! Le donne ne erano escluse! Situazione davvero drammatica, se si pensa che per gli altri nove mesi, non si lavava nessuno!

A dire il vero, mentre l’iniziativa pubblica continuava a latitare al riguardo, l’iniziativa privata aveva, da tempo, preso il sopravvento: già nel luglio 1842 infatti, erano stati inaugurati i Bagni di Diana, come “stabilimento per la scuola di nuoto” ad opera dell’architetto Andrea Pizzala, già progettista della rinomata Galleria de Cristoforis (1832) e successivamente del Grand Hotel et de Milan (1850-1864). Prima piscina italiana all’aperto di m.100 x 25, 120 cabine, un ristorante, un caffè e un grande giardino alberato, a due passi da Porta Orientale (oggi Porta Venezia).

I Bagni Diana – Porta Venezia

Nel 1863, ecco comparire sul Naviglio, il Bagno Ticino, nei pressi di via Argelati (specchio d’acqua di mq. 1.100 con camerini lungo le sponde del canale), nel 1869 il Bagno Nazionale a Porta Ticinese (piscina di m.120 x 23, bagni con vasche e docce), nel 1870 i Bagni Castelfidardo, a Porta Nuova (un grande bacino di m. 80×35 all’aperto, 2 vasche al chiuso con docce, spogliatoi e servizi). Alcune di queste piscine private essendo al chiuso, funzionavano tutto l’anno, scaldando l’acqua, con delle caldaie a vapore, e sopperivano in parte alla cronica mancanza di strutture pubbliche. Tali bagni venivano reclamizzati come oasi cittadine dedite allo svago ed alla miglior mondanità. L’ingresso si pagava salato, per cui la clientela era quasi esclusivamente di un certo livello sociale e solo rigorosamente maschile.

Bagni Castelfidardo

Un diritto riconosciuto: bagno anche per le donne

I rigidi dettami morali inculcati in generazioni di milanesi maschi, da parte dei monaci dei numerosissimi monasteri presenti sul territorio, furono nuovo motivo di scontri e discussioni quando emerse il tema della promiscuità. Il problema si presentò nel 1886, (proprio l’anno prima della inaugurazione del bagno al Ponte delle Gabelle), quando, Anna Maria Mozzoni, fondatrice della ”Lega promotrice degli interessi femminili”, riuscì a far passare la legge che consentiva, anche alle donne, l’uso dei bagni pubblici, fino ad allora precluso.

Anna Maria Mozzoni (1837 – 1920)

Se per le donne si trattava di una giustissima conquista sociale, al pari di quella del voto alle elezioni politiche e amministrative, o del libero accesso ai licei e alle Università, per gli uomini, rappresentava uno stravolgimento della morale e della rigida mentalità radicata nei quasi 150 anni di dominazione austriaca! Era impensabile che uomini e donne, in pubblico, potessero stare insieme, se non sposati … al bagno poi, la promiscuità era considerata una vera indecenza … luogo amorale e di perdizione! Quindi uomini da una parte, donne dall’altra, in aree distinte e in ore diverse … onde evitare sguardi peccaminosi o contatti di alcun genere!

L’approvazione della legge sulle donne venne sfruttata dal Comune, adducendo a giustificazione dei cronici ritardi nella approvazione dei progetti per nuove piscine, la necessità di reperire i finanziamenti per gli aumentati costi dovuti alla duplicazione di alcune strutture per il pubblico femminile e per la gestione delle stesse.

Il problema della non promiscuità ai Bagni Diana, emerso nel 1886, venne risolto semplicemente concedendo alle donne l’accesso limitatamente al mattino, 9-12, in modo tale da evitare gli incontri con l’altro sesso!.

Dopo la chiusura del Nazionale e del Castelfidardo tra il 1885 e il 1890, la città fu privata di due, tra le più grandi vasche per il nuoto disponibili in città; allo stesso tempo si facevano sempre più pressanti le esigenze igieniche di una popolazione sempre più in crescita, alle quali non potevano ovviare i soli bagni privati. Nel corso degli ultimi anni del secolo, il Comune riuscì ad aprire al pubblico solo due altre strutture, entrambi a Porta Nuova: nel 1890, il Bagno della Palanca (solo estivo – creato delimitando con una semplice recinzione in legno, un tratto della Martesana al Ponte delle Gabelle, e dotato di poche baracche di legno ad uso cabine) e nel 1894 il Bagno San Marco (struttura chiusa, utilizzabile tutto l’anno, dotato di una piccola vasca per il nuoto con bagni e docce calde, camerini comuni e privati). Questa, la situazione a Milano, a fine Ottocento! Non ci si scandalizzi quindi se, stando alle stime, ancora alla fine del XIX sec. un milanese faceva meno di un bagno all’anno!

Bagni di Diana, nel 1908 vennero abbattuti per dare spazio all’omonimo Hotel. Di fatto, bisognerà aspettare la fine della prima guerra mondiale per assistere a una vera e propria diffusione delle piscine pubbliche e private.

Bagno della Palanca

Il riscatto del Novecento

Nel 1929 nacque la Piscina Giulio Romano, in Via Andrea Maria Ampère, 20. All’epoca era la più grande piscina all’aperto d’Europa, (poteva ospitare ben 1500 bagnanti), un autentico gioiello architettonico, d’ispirazione palladiana. Non prendeva acqua daj Navigli, bensì direttamente dalla falda.  Nel 1934 venne inaugurata la Piscina Cozzi, di viale Tunisia 35, la prima piscina coperta di Milano e d’Italia, con trampolini da 5 e da 10 metri.  All’epoca fu considerata la piscina più all’avanguardia d’Europa, con ampi spalti per accogliere un numeroso pubblico, la più adatta per ospitare competizioni natatorie. Poi, nel 1939, fu la volta della Piscina Caimi di via Carlo Botta 18, costruita in stile Liberty, con un colonnato tutto intorno alla vasca. Faceva parte di uno spazio polifunzionale per lo sport e il tempo libero. Vi era pure un teatro (attuale teatro Parenti). Recentemente ristrutturata, (attualmente il suo nome è Bagni Misteriosi), prevede un sistema di purificazione delle acque a raggi UV. Dopo la Seconda Guerra mondiale, nel1958. venne inaugurato Il Centro Balneare Argelati al  quartiere Ticinese, in via Segantini 6, (al posto dei Bagni Ticino di 40 anni prima). Dall’esterno appare come un grande disco di cemento, circondato da un muro di mattoni rossi. Ed infine nel 1963, vide la luce la Piscina Solari di via Montevideo 10, destinata al nuoto ricreativo. E’ una piscina di quartiere. con una forma a sella, molto originale, immersa nel verde del parco Don Giussani. Dotata di solarium, è’ stata restaurata nel 2015 con importanti ammodernamenti riguardanti non solo gli spazi degli spogliatoi, ma anche la vasca, che è stata ampliata

Piscina Solari – via Montevideo 10

A Trieste l’unico bagno pubblico non promiscuo in Europa

Per chi, oggi volesse sperimentare l’esperienza di uno stabilimento balneare pubblico non promiscuo, esiste un unico posto in tutta Europa, ancora attivo. E’ a Trieste, che, essendo rimasta sotto l’Austria fino al 1918, mantiene tutt’oggi questo retaggio del passato, per i ‘nostalgici di Maria Teresa’, e non solo.. E’ il Bagno comunale “la Lanterna” meglio conosciuto col nome “el Pedocin”, è in città, a due passi dalla vecchia Lanterna, dove i bagnanti, uomini e donne sono rigorosamente separati da un muro alto 3 metri, che dalla spiaggia, si protende nel mare. (Prezzo politico d’ingresso: 1€)!

Bagni comunali “la Lanterna” o meglio noti come “el Pedocin” – Trieste

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