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Il Naviglio Grande

Premessa

Raramente capita di sentir parlare, oggi, di Naviglio Grande. Quando tra amici, ci si dà appuntamento per un aperitivo sui Navigli, sicuramente si sottintende proprio il Naviglio Grande, o meglio, le due strade parallele che fiancheggiano i suoi argini, nel tratto finale, prima della Darsena. Si chiamano Alzaia Naviglio Grande e Ripa di Porta Ticinese, entrambe animatissime e piene di localini e ristoranti.

Passando, all’imbrunire, in una bella giornata, sul ponte dello Scodellino lungo via Gorizia, all’imbocco della Darsena, non si può non restare estasiati, dall’incredibile tavolozza di colori che appare allo sguardo: lo spettacolo del sole, al tramonto, che si tuffa nella striscia luccicante di quel canale drittissimo, quel Naviglio che sparisce all’orizzonte, tra due ali di vecchie case, riflesse nelle sue acque. Rapiti da quella visione, la fantasia vola lontano … e, per chi non è di Milano come me e non la conosce, viene spontanea la domanda … dove andrà quel canale, che si perde nel nulla? E’ un po’ come calarsi di colpo, in un’atmosfera fiabesca di altri tempi: il tutto è come un magnifico quadretto, dal sapore magico e antico, pennellate di un passato, che non torna più. E’ un angolo della vecchia Milano, una delle mete obbligate per i turisti in visita alla città.

L’ultimo tratto del Naviglio Grande che sfocia in Darsena

Queste due strade, sono il tipico luogo di svago e di ritrovo dei milanesi, per un happy hour, un aperitivo, o una cenetta fra amici. Per non parlare poi, della movida del sabato sera, perché questo, è uno dei quartieri più caratteristici della città, una delle mete, senz’altro preferite sia dai milanesi, che dai turisti stranieri. Non per nulla, un recente sondaggio del New York Times, sulle dodici strade più belle d’Europa, vede menzionata Milano, con la sua Ripa di Porta Ticinese.

Alzaia Naviglio Grande a destra e Ripa di Porta Ticinese a sinistra

Un susseguirsi di ristorantini, caffè, bar, tavolini, negozietti, esposizioni di quadri in quei caratteristici cortili delle case di ringhiera, negozi di antiquariato, bistrot, musica, mercatini all’aperto, ambulanti, ritrattisti, un via vai incessante di gente che parla tutte le lingue, di turisti che non lesinano scatti o riprese con le loro videocamere, per eternare il vicolo dei Lavandai o altri angoli pittoreschi , in un contesto d’altri tempi. E’ tale il movimento e la vivacità di quel luogo, che si stenta oggi, persino ad immaginare, come dovevano essere quelle medesime due strade, solo cento anni fa, figurarsi poi, andando ancora più indietro nei secoli.

Tutta la zona era indubbiamente irriconoscibile rispetto ad oggi. Il canale, attualmente utilizzato quasi esclusivamente a scopi turistici, fino a poco più di metà del secolo scorso, era trafficatissimo. Chiatte e barconi pieni di merci, un via vai continuo. Statistiche alla mano, nel 1953, quindi meno di settant’anni fa, la Darsena, cui confluiscono sia il Naviglio Grande che il Naviglio Pavese, era, incredibilmente, al tredicesimo posto nella classifica dei porti nazionali italiani, per ricevimento merci, e addirittura al terzo posto, per tonnellaggio. Ma, andando ancora più indietro, all’Ottocento, canale a parte, anche le strade che fiancheggiavano i suoi argini, erano ben diverse da oggi. Era una zona portuale, fuori dalle mura della città, ufficialmente nel Comune di Corpi Santi. Le case erano sicuramente alcune di queste che vediamo oggi, qualche osteria, qualche bettola, qualche raro negozio, magazzini, depositi, fienili, stalle, cascinali e ampi tratti di campagna incolta. Lungo il canale, un via vai di barche, lungo le strade polverose ai suoi argini, un susseguirsi di carri trainati da cavalli e carretti spinti a mano, carichi di mercanzie di ogni tipo

Il Naviglio Grande è tutto qui? Certamente, no! Eppure sono certo, che non tutti ne conoscano la storia …. lo guarderebbero, forse, con occhio diverso, sicuramente con maggior rispetto ed ammirazione.

E’ davvero un peccato che il Comune di Milano non abbia mai pensato di reclamizzarlo maggiormente, apponendo, ad esempio, all’altezza del ponte dello Scodellino, un cartello in più lingue, ad uso dei turisti, che ne descriva in maniera succinta, le caratteristiche principali e i suoi settecentocinquant’anni di storia.

Qualche cenno storico

Il Naviglio Grande è stata la prima grande opera di ingegneria del genere, ad essere realizzata in Europa, dopo la metà del XII secolo. Siamo ai tempi del Barbarossa e della prima Lega Lombarda. Oltre alla funzione d’irrigazione dei terreni lungo il suo percorso, si è rivelata nei secoli, una via d’acqua fondamentale, per il collegamento e gli scambi commerciali che, attraverso il Lago Maggiore e i passi del Sempione e del San Bernardino, permetteva di collegare Milano, con il Centro Europa. Il completamento dell’opera, con le infrastrutture necessarie, quali strade e ponti, ha consentito lo sviluppo economico significativo, di tutto il Nord Ovest della Lombardia.

Rete dei Navigli Lombardi

Un canale a scopo di ‘difesa

A dire il vero, vi sono diversi dubbi sull’origine di quest’opera. Pare appurato dagli storici, che, all’inizio, l’idea di costruire un lungo fossato, sulla linea di confine con il territorio di Pavia, fosse strettamente legata alle necessità di difesa di Milano contro le frequenti incursioni dei nemici pavesi, alleati col Barbarossa.

Sono stati trovati dei documenti, secondo cui, la data di costruzione di un primo tratto di fossato, risalirebbe addirittura al 1152. Sembra che l’artefice di quest’opera imponente, sia stato un architetto militare genovese, Guglielmo da Guintellino, allora al servizio dei Milanesi. Si tratterebbe di un tratto di canale di circa 30 Km, fra Castelletto di Abbiategrasso e Casirate Olona nei pressi di Landriano (sul Lambro Meridionale, al confine con il territorio di Pavia). Il canale fu riempito d’acqua, prelevata quasi sicuramente dal vicino Ticino (visto anche il nome attribuito all’opera). L’ipotesi più accreditata, è che la presa, per il riempimento del canale, partisse più a monte, dalle parti di Tornavento, località nel Comune di Lonate Pozzolo (VA), con una canalizzazione che da lì, arrivasse a Castelletto di Abbiategrasso. A tutto questo lungo canale, dalla presa del Ticino, al Lambro Meridionale, venne dato, inizialmente, il nome di Canale Ticinello.

Guglielmo da Guintellino, fra l’altro, tra il 1156 e il 1158, prima delle distruzioni operate dal Barbarossa nel 1162, realizzò anche il fossato a difesa della città di Milano, e con il materiale di riporto degli scavi, costruì pure i bastioni fortificati.

Chi ideò il Naviglio Grande?

Il Naviglio Grande è il primo dei canali che formano il sistema dei cinque Navigli milanesi; è sicuramente il più antico ed anche il più importante. 

Viene spontaneo, a questo punto, chiedersi chi sia stato l’ideatore di quest’opera d’ingegneria idraulica, dati anche i tempi. Ebbene, nessuno è in grado di dare una risposta a tale domanda! E’ davvero incredibile che, a tutt’oggi, gli storici non abbiano ancora scoperto, fra i documenti disponibili, un minimo indizio su chi possa essere stato l’ideatore di simile realizzazione. Mistero irrisolto!

Perchè fu fatto? Per irrigazione o navigabilità?

Altro aspetto poco chiaro, ancora oggi ampiamente discusso, è la funzione per la quale sia stata concepita quest’opera, se come canale irriguo, oppure navigabile, cioè come via di comunicazione. Pare certo comunque che, a differenza del Canale Ticinello, questo, non sia stato costruito a scopo di difesa. Alcune caratteristiche dell’opera propenderebbero per la tesi irrigua, altre per la navigabilità.

1177 – Inizio costruzione del Naviglio

Il 1177 (o forse il 1179 – le opinioni sono discordanti su questo punto), è l’anno, storicamente indicato, come data d’inizio dei lavori di costruzione del primo tratto del futuro Naviglio Grande.
La scelta di partire proprio da Tornavento, sul Ticino,  in direzione di Castelletto di Abbiategrasso, probabilmente, fu dovuta al fatto che esistendo già la presa realizzata per il Canale Ticinello, bastava ampliare il fossato già esistente, per aumentare la portata d’acqua, allungando solo il percorso, per rendere più dolce la discesa verso Castelletto di Abbiategrasso. Quest’ultimo aspetto, farebbe propendere per la tesi della navigabilità del canale.

Tornavento, si trova a circa 23 km da Sesto Calende,   È situata nella valle del Ticino, a 170 metri sul livello del mare.

Tornavento – Incile del Naviglio Grande

Contemporaneamente. si provvide all’ampliamento anche al resto del canale Ticinello, il tratto da Castelletto di Abbiategrasso e Casirate Olona.

Completata questa prima fase, si avviò la costruzione di una nuova tratta, da Castelletto di Abbiategrasso, a Gaggiano, in direzione di Milano. Questa nuovo porzione di canale fu provvisoriamente chiamata “Navigio de Gazano” (Naviglio di Gaggiano).
Un ulteriore lotto, completato nel 1187, permise di collegare Gaggiano con Trezzano, mentre ci vollero ben ventidue anni (1209), prima di raggiungere Milano.
Tutto il tratto, da Tornavento a Milano, prese il nome di Naviglio Grande, mentre quello da Castelletto di Abbiategrasso a Casirate Olona, restò col nome di canale Ticinello.

Anche in questo caso, il fatto stesso di chiamare Naviglio questo nuovo canale, fa propendere per l’intenzionalità ad utilizzare il manufatto per la navigazione. Il termine canale attribuito viceversa al Ticinello, starebbe ad indicare la vocazione irrigua dell’opera.

1211 – Collegamento al Laghetto di Sant’Eustorgio

Bisognerà attendere fino al 1211, per veder sfociare il Naviglio nel Laghetto di Sant’Eustorgio, (chiamato anche Laghetto Vecchio), una sorta di mini-darsena, per il ricovero delle barche, davvero vicinissimo alla Darsena attuale. Si trovava fra l’omonima Basilica e i caselli daziari , nell’attuale piazza 24 Maggio. Prendeva, anticamente, l’acqua da una derivazione della Vettabbia; successivamente, dopo il 1211, la prese dal Naviglio Grande. L’emissario del laghetto era (ed è ancora oggi lo scolmatore per l’attuale Darsena, il Cavo Ticinello che si immette poi nella Vettabbia)

Il laghetto è al centro della piantina a ridosso delle mura spagnole (1570 circa)

Il Naviglio Grande era sì, completato, tuttavia non ancora navigabile, se non a piccoli tratti, a causa delle numerose bocche d’irrigazione lungo tutto il suo percorso, che ne riducevano progressivamente la portata. Per circa un quarantennio, venne pertanto utilizzato solo per irrigare i campi.

Si era in pieno periodo di età Comunale. Le lotte fra le varie classi sociali per la gestione del potere, fecero passare in secondo piano, un più efficiente utilizzo dell’opera imponente già realizzata.

1257 – Avvio dei lavori per renderlo navigabile

La decisione di rendere il canale navigabile, fu molto contrastata e sofferta. Nel Consiglio dei Novecento (150 cittadini eletti per ogni sestiere), fra favorevoli e contrari, sicuramente nessuno poteva essere in grado di prevedere con certezza, quanto, l’apertura di questa nuova via di comunicazione con il lago Maggiore e la Svizzera, avrebbe potuto giovare alla città, in termini di scambi commerciali e benessere economico. Fu il podestà bolognese Beno de’ Gozzadini , ‘super partes’, perchè forestiero, a far pendere l’ago della bilancia a favore dei fautori della navigabilità del canale.
Nei suoi sei mesi di operato alla guida del Comune, (questa era la durata in carica del podestà), nel 1257, ordinò al Maestro Giacomo Arribotti, di iniziare i lavori necessari per rendere il canale effettivamente navigabile.  

Errore pagato con la vita

In quegli anni, Milano era sotto la signoria guelfa (pro papato) di Martino Della Torre. Il podestà, una volta dato l’ordine di procedere, doveva reperire il denaro, per finanziare i nuovi lavori del canale. Per non esasperare il popolo già abbondantemente vessato da tributi, si guardò bene dall’imporre nuove tasse ai cittadini, ma mantenne in vigore quelle già esistenti che, anzi, avrebbero dovuto cessare d’ufficio, addirittura l’anno precedente. Non essendo sufficienti i soldi e dovendone trovare degli altri, decise di tassare tutti i beni ecclesiastici, fino ad allora esenti, inimicandosi ovviamente tutto il clero, allora molto potente.
Al termine del mandato semestrale, il suo operato, come d’abitudine, sottoposto al giudizio del Consiglio dei Novecento, non venne approvato. Anzi, istigato dal clero, il Consiglio gli chiese la restituzione del denaro già versato. Non potendo restituire nulla, lo condannarono a morte. Una volta linciato, lo gettarono nel Naviglio, facendolo annegare.

Dopo l’uccisione del podestà, i lavori del canale ormai avviati, non furono del tutto sospesi. Continuarono comunque a rilento, per altri quindici anni.

1272 – Apertura alla libera navigazione

Il canale divenne finalmente navigabile nel 1272, quando furono terminati, sempre sotto la direzione del Maestro Giacomo Arribotti, i lavori di ampliamento, abbassamento del fondo e aumento della portata d’acqua, col rifacimento dell’incile.

A partire da quell’anno, il Naviglio Grande cominciò ad essere percorso da una flottiglia di barche che, con i loro carichi, rivoluzionarono, in pochissimo tempo, la vita e le abitudini degli abitanti di una vasta regione.

Le barche a fondo piatto, molto larghe, non potevano pescare a pieno carico più di 75 centimetri. Le cagnone (quelle più grosse), e le mezzane rispettivamente di 40 e 30 tonnellate, che si vedono ancora oggi agli ormeggi, venivano usate per il trasporto di sabbia, ghiaia, marmi ecc. I borcelli e le battelle erano invece barche più piccole e agili, impiegate per i traffici locali.

Caratteristiche tecniche dell’opera

Realizzato, sfruttando la leggerissima pendenza del terreno (meno di 70cm/km), il Naviglio Grande ha una lunghezza complessiva di 49,9 km, con un dislivello totale di 34 metri, senza conche. La motivazione è dovuta al fatto, che l’opera è stata completata oltre due secoli prima che si inventassero le conche! Questo è l’unico caso fra tutti i navigli milanesi! Quindi, nonostante la pendenza, la navigabilità fu resa possibile aumentando notevolmente la portata e riducendo via via la sezione del canale

All’incile (punto di derivazione del Naviglio dal Ticino), a Tornavento, presenta una portata d’acqua massima di oltre 60 mc/sec, portata che si riduce a 14 mc/sec all’ingresso in Darsena, a causa del prelievo operato dalle 116 bocche di derivazione (112 a destra e solo 4 a sinistra) che irrigano 48.000 ettari di coltivazioni lungo tutto il percorso. Anche le dimensioni del canale diminuiscono man mano che ci si avvicina a Milano.

La sua larghezza, intorno ai 20 metri all’incile, si restringe intorno ai 15 metri, nel tratto da Abbiategrasso a Corsico, fino ad arrivare a 12 metri nel tratto finale verso Milano. La profondità massima è di 3,80 mt. , mentre è solo poco più di 1 metro, nell’area milanese.

Collegamento con la fossa interna

Un secolo dopo il completamento dei lavori per il Naviglio Grande, si porrà la prima pietra per la costruzione del Duomo di Milano. Era il maggio del 1386. Ma fu appena l’anno successivo che cominciò a manifestarsi l’esigenza per la Veneranda Fabbrica del Duomo, di collegare il Naviglio Grande, al fossato difensivo che circondava la città (la Fossa interna), per un più agevole approvvigionamento del materiale da costruzione per la Cattedrale. Inoltre, nel 1387, Gian Galeazzo Visconti, volendo che il Duomo non fosse di mattoni ma di marmo, cedette in uso alla Veneranda Fabbrica, le Cave di Candoglia (in val d’Ossola), concedendo il trasporto gratuito dei marmi fino a Milano, attraverso le strade d’acqua. Visto che il trasporto del marmo pregiato dal Lago Maggiore avveniva via Naviglio, sulle mezzane, sarebbe stato indubbiamente più comodo far arrivare i barconi il più vicino possibile al cantiere, che non fermarsi al Laghetto di Sant’Eustorgio.
ssendoci un dislivello di quote di qualche metro, fra la fossa interna e il laghetto, non era possibile effettuare il collegamento, perché la conca (o chiusa), non era stata ancora inventata! I blocchi di marmo per il Duomo, provenienti dalle Cave, arrivati con i barconi al laghetto di Sant’Eustorgio, tramite l’uso di apposite gru, (dette “falcone” e “falconetto“), venivano trasbordati su grossi carri trainati da cavalli e da lì, via terra, non senza rischi per il prezioso carico, i mezzi percorrevano circa 2 km in città, per arrivare alla “Cascina degli Scalpellini“, nel cantiere del Duomo.

1438 – L’invenzione tutta italiana: la “conca

Fu nel 1438, che due ingegneri ducali della Fabbrica del Duomo, Aristotele Fioravanti da Bologna e Filippino degli Organi da Modena, misero a punto un sistema di ascensore idraulico, la “conca“, per fare superare i dislivelli alle barche. Questa importantissima invenzione tecnica, in seguito perfezionate da Leonardo da Vinci, riuscì a risolvere questo problema: infatti nel 1439, con la costruzione della Conca di Viarenna, il collegamento alla Fossa interna, divenne una realtà. Le imbarcazioni arriveranno fino al Laghetto di Santo Stefano, un bacino scavato appositamente, a soli trecento metri dal Duomo.

Le prime due conche al mondo furono costruite proprio qui, nel milanese e si contesero il primato per differenza di qualche mese: la prima nel 1438, sul Naviglio Bereguardo (voluto da Filippo Maria Visconti), all’altezza dell’Abbazia di Morimondo, la seconda nel 1439, la Conca di Via Arena (soprannominata dai milanesi Conca di Viarenna)

Quest’ultima venne demolita verso il 1555 per lasciare spazio alla costruzione delle mura spagnole (1548 – 1562), ma venne subito ricostruita poco distante, dove la vediamo oggi, rimanendo in attività fino al 1930, quando si decise la copertura dei navigli.

1585 – Rifacimento dell’incile

Allo scopo di garantire la navigabilità del canale anche in periodi di relativa magra del Ticino, e di aumentare ulteriormente la portata del canale, i migliori esperti di architettura e l’ingegneria idraulica di allora, Giuseppe Meda, Pellegrino Tibaldi e Martino Bassi, “ricostruirono” la presa d’acqua del Naviglio a Tornavento. Ritoccarono lo sperone, alto due metri sull’acqua e ricoperto di pietra: questo, in pratica costituisce l’inizio della sponda destra del Naviglio. Ricostruirono inoltre la paladella, una diga di quasi trecento metri, sotto il pelo dell’acqua, posta diagonalmente sul fondo, per dividere “naturalmente” in due parti la corrente del Ticino, l’una verso il canale e l’altra lasciata proseguire liberamente a valle, lungo il suo alveo naturale.

In primo piano l’inizio del Naviglio Grande e lo sperone, sul fondo il Ticino
Sul Ticino, a sinistra. la lunga paladella che separa in diagonale, sul letto del fiume, il flusso dell’acqua, convogliandola verso il Naviglio

1603 – Costruzione della Darsena

La Darsena attuale fu realizzata nel 1603, come trasformazione in vero e proprio porto, del preesistente laghetto di Sant’Eustorgio, ormai divenuto insufficiente per il volume di traffico. L’autorizzazione alla sua costruzione fu per volontà del governatore spagnolo di Milano, Pedro Enríquez de Acevedo, conte di Fuentes.

Trofeo Fuentes (Giovanni Migliara)

La Darsena riceve l’acqua dall’Olona e dal Naviglio Grande. Come scolmatore, utilizza il Cavo Ticinello che successivamente confluisce nella Vettabbia. Caratteristica è la sua forma allungata e ricurva. Questa, è  dovuta semplicemente al fatto che, essendo addossata alle mura spagnole, ne seguiva il perimetro. Infatti, durante i lavori che sono stati recentemente eseguiti in Darsena, in occasione di Expo 2015, sono state trovate tracce delle fondamenta delle mura spagnole (l’attuale circonvallazione).

La Darsena, nel 1950

Come si svolgevano i ‘viaggi’

La discesa: dal lago Maggiore a Milano

Teniamo presenti le quote altimetriche:
Sesto Calende (198 m s.l.m.)
Milano Laghetto di Sant’Eustorgio o Darsena (117 m s.l.m.)
dislivello totale: 81 m (senza conche)

Sesto Calende era il porto di imbarco o di trasbordo, sul Lago Maggiore. Le barche partivano da lì, sempre a pieno carico. Trasportavano marmo, granito, beole e pietre da costruzione, calce, carbone, legna, oltre poi a vino, formaggi, pesce ed anche bestiame. Dal bacino del canale più a valle, invece, le merci che arrivavano a Milano, erano ciottoli, creta, sabbia, ghiaia, mattoni, paglia e fieno.

Partendo da Sesto Calende, si doveva discendere lungo il fiume Ticino per 22,3 chilometri fino a Tornavento. Dopo un tratto apparentemente tranquillo, la corrente man mano aumentava sino a diventare spesso tumultuosa; il fiume scende in quel tratto, di 47 metri, con una media di oltre 2 m/km. Affrontare le undici rapide, fino all’incile del Naviglio Grande non era sicuramente privo di rischi, perchè i barconi, in certi punti, raggiungevano velocità ragguardevoli e c’era il rischio diventassero ingovernabili. Il tempo che si impiegava, era di circa due ore, qualcosa meno, quando il fiume era ingrossato dalle piogge. Una volta imboccato il canale, non si può dire che il peggio fosse passato perché, pure qui, prima di arrivare ad Abbiategrasso, c’erano alcuni tratti di forte corrente, frequente causa, nei corso dei secoli, di inabissamenti e disastrosi naufragi. Passato Castelletto di Abbiategrasso, la navigazione proseguiva finalmente tranquilla fino a Milano, trascinati dalla corrente. La discesa da Tornavento alla Darsena durava mediamente tra le sette e le nove ore.

La risalita : da Milano verso il lago

Sicuramente meno pericolosa, ma molto più faticosa, la risalita verso il Lago. I “barconi” che partivano da Milano, verso il Lago Maggiore, proprio perchè “in salita”, venivano caricati solo per un terzo della loro capienza effettiva. A Sesto Calende portavano sale, grano, vini, manufatti, tessuti, stoviglie, letami e ceneri. Dalla Darsena partivano convogli (cobbie) di dodici barche legate prua a poppa e affidate al fattore, trainate da altrettanti cavalli. Il viaggio era molto lento perchè, nonostante la salita fosse molto dolce e la pendenza, minima, si procedeva contro corrente. Ci volevano circa ventiquattro ore per arrivare a Castelletto di Abbiategrasso. Qui, si dimezzava la cobbia, per affrontare la corrente più rapida, fino a Tornavento: gli stessi dodici cavalli trainavano solo sei barche. Giunti alla mèta, il fattore li riportava indietro per rimorchiare le altre sei, in attesa a Castelletto. L’ultimo tratto, da Tornavento a Sesto Calende, era il più rischioso a causa del fiume, in certi punti, particolarmente impetuoso, e non erano infrequenti le tragedie con barche inabissate con tutti i loro carichi. Trainando per le rapide, una sola barca alla volta, la stessa manovra doveva ripetersi per tutte le altre barche, moltiplicando così enormemente i tempi di percorrenza. Un viaggio durava fino a due settimane. Questo era dovuto al fatto che, a causa della rapide e quindi l’obbiettiva difficoltà di governare i barconi, per evitare fortuiti scontri con le barche di altri convogli che, a pieno carico, ridiscendevano le rapide, si era istituito un senso unico alternato di intere mezze giornate, per cui i tempi di attesa si allungavano a dismisura.

 Carlo Cattaneo, studioso di trasporti, al corrente delle problematiche fra Tornavento e Sesto Calende, ideò una validissima soluzione sia per ridurre i tempi di percorrenza, che per evitare naufragi: il trasferimento delle barche via terra. Istituì una società per la costruzione di una “ipposidra” o ferrovia delle barche, consistente in una strada ferrata con dei convogli trainati da cavalli, costituiti da una serie di grandi carri, sui quali venivano caricate le barche. Questa ipposidra divenne operativa nel 1858. Caricate le barche sui carri, dopo un tragitto di circa 18 km su strada ferrata, i convogli arrivavano in località Résiga, nei pressi di Sesto Calende. Tramite una grande piattaforma mobile, le imbarcazioni venivano poi nuovamente calate nelle acque ormai tranquille del Ticino da dove, dopo un breve tragitto, a traino sempre di cavalli, raggiungevano il porto di Sesto.

L’ipposidra Tornavento-Resiga
Sottopasso dell’antica ferrovia dell’ipposidra (1858)

I tempi effettivamente si ridussero moltissimo, in quel tratto; dai dodici giorni, a solo otto ore. Tuttavia, l’idea ebbe poca fortuna. La società dovette chiudere dopo solo sette anni d’attività a causa della riduzione del traffico fluviale da/a Sesto Calende in seguito alla inaugurazione, nel 1865, della ferrovia a vapore Milano – Sesto Calende. E quest’ultima concorrenza divenne purtroppo fatale anche per il Naviglio Grande, che vide il suo traffico diminuire rapidamente sulla tratta da Castelletto di Abbiategrasso al Lago Maggiore. sino ad annullarsi del tutto, nei successivi cinquant’anni.

Il trasporto passeggeri

La mobilità, intesa nel senso moderno del termine, non era un’esigenza sentita per i sudditi del Ducato di Milano, almeno nel Quattrocento e Cinquecento, a causa anche delle frequenti guerre. Il Naviglio cominciò ad essere utilizzato dalla gente comune con delle piccole barche per spostamenti limitati, collettivi o individuali. Solo verso la metà del Seicento, cominciò ad emergere l’esigenza dei viaggi e dal 1645 iniziò pure un servizio regolare di battelli, da Tornavento, fino alla Darsena, che, nei vari punti di approdo, lungo il percorso, raccoglieva passeggeri dei vari paesi. Era il cosiddetto barchett de Boffalora.

El Barchett de Boffalora

L’avvento dell’era del motore a scoppio, del trasporto su gomma e della costruzione di strade adeguate hanno segnato inesorabilmente la fine della funzione primaria per cui era stata concepita quest’opera. La riduzione di tempi è davvero abissale: il viaggio che, ieri, durava due settimane, oggi dura due, massimo tre ore! Rimane tuttavia l’aspetto irriguo, non meno importante, e l’utilizzo a fini sportivi, oppure turistici, con qualche giterella in battello, alla scoperta delle ville signorili ‘di vacanza’

Tornando ai nomi delle strade …

Perchè Alzaia?

alzàia  è un termine di derivazione latina da ‘helciarius’ «colui che tira la barca» (da ‘helcium’ «giogo per tirare» tratto dal greco. ἕλκω «tirare»), il tutto, incrociato con ‘alzare’.

In effetti la parola alzaia, in italiano, ha due significati distinti, anche se fra loro, strettamente correlati.

  • Significa “fune”, usata per il traino delle chiatte e delle altre imbarcazioni controcorrente, lungo qualunque corso d’acqua.
  • Significa pure “strada di servizio”, su una sponda del canale. Usata per il traino delle imbarcazioni controcorrente, a braccia o con l’utilizzo di cavalli, asini, buoi o altri animali da tiro.

Oggi non sembra nemmeno pensabile operare in questo modo, in tali condizioni e con simili gradi di rischio. Eppure questa è storia vissuta, documentata dagli storici. Un modo di lavorare massacrante, senza tutele di alcun tipo, rimasto praticamente immutato per oltre seicentocinquant’anni, coinvolgendo decine di generazioni di milanesi. Basta questa sola fotografia per testimoniare l’immane fatica profusa dai nostri avi e dai loro animali da tiro. A qualche decina di metri dal Ponte dello Scodellino, (Darsena), sulla balaustra in granito lungo l’Alzaia del Naviglio Grande, è visibilissimo ancora oggi il profondo solco lasciato dalle alzaie.

Ponte dello Scodellino (Darsena) – Solco lasciato dalle alzaie sul corrimano in granito

Il ponte dello “scodellino”  è il prolungamento di Viale Gorizia verso piazza XXIV Maggio, nel punto in cui il Naviglio Grande si immette nella Darsena.
Vi sono due teorie all’origine di questo nome:
La prima, più accreditata, era dovuta al fatto che, attraversandolo, i battaglieri dovevano pagare il transito con uno “scudello“, cioè una moneta dal valore di un quarto di scudo.
La seconda, perché, proprio lì, all’angolo, c’era l’Osteria del Ponte, molto frequentata dai comballi, cioè da coloro che conducevano i cagnoni o le mezzane che trasportavano sabbia e altri materiali alla darsena. Costoro, particolarmente nelle fredde giornate autunnali o invernali, avevano l’abitudine, durante le loro soste, e prima di ripartire per un altro viaggio, di fermarsi all’Osteria , per prendere una scodella di minestra bollente.


Basti pensare a quante centinaia di viaggi da Sesto Calende a Milano sono stati necessari, solo per il trasporto delle migliaia di tonnellate di marmo, per rendere il Duomo così come lo ammiriamo oggi, e quanti sono stati i naufragi con morti e perdita del carico durante le rischiosissime discese delle rapide del Ticino.

Del resto, non esistendo i motori di alcun genere, l’unica forza motrice possibile contro corrente era la forza delle le braccia (remo o remi) se l’imbarcazione era piccola. Comunque remare controcorrente, è indubbiamente faticoso. Ne sanno qualcosa oggi, gli atleti della Canottieri Milano, che si vedono spesso fare gli allenamenti sul Naviglio Grande.

Diversamente, per barche più grosse, il traino, in assenza di animali da tiro, veniva fatto a braccia dai tirant, e doveva essere un lavoro pesantissimo. Ricorda il bellissimo quadro dell’Alzaia. opera del macchiaiolo fiorentino Telemaco Signorini, che mostra lo sforzo sovrumano di cinque uomini, nell’atto di trainare controcorrente un barcone sull’Arno.

l’Alzaia di Telemaco Signorini (1864)


E’ intuibile quindi, quanto dovesse essere faticoso anche per gli animali, tant’è che, spesso, venivano chiamati i “cavalli dell’apocalisse”, in quanto ricordavano il cavallo scheletrico del cavaliere della morte, raffigurato nel celebre quadro di Victor Vasnetsov nel 1887.

Il fatto di non voler considerare il Naviglio come un monumento, induce a guardarlo con  occhio diverso ... e invece anche lui ha una storia lunga nientemeno che settecentocinquant'anni ...
I cavalieri dell’Apocalisse di Victor Vasnetsov (1887)

Soltanto dagli anni ’30 del ‘900, con l’avvento dei motori a scoppio, e quindi dei mezzi meccanici, ai cavalli, si sostituirono i trattori: per trainare fino alle cave una carovana di 5 barche. bastava un solo trattore!

Le alzaie ebbero, sin dall’inizio, un carattere pubblico, per cui appartennero dapprima allo Stato di Milano, poi al Reale Genio Civile, quindi alle Regioni (1970), mentre, oggi, sono in carico al Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi, che gestisce anche le acque di tutti i Navigli milanesi.

Una curiosità lessicale

All’inizio di questo articolo, ho fatto cenno alle due strade parallele, una l’Alzaia, l’altra la Ripa, fiancheggianti, rispettivamente, gli argini sinistro e destro dello stesso canale. Perchè mai questi nomi? l’Alzaia, come detto, era appunto la strada di servizio: a parte il transito degli animali per il traino dei barconi, lungo questa strada, vi erano pure i vari depositi e i magazzini delle merci. Lungo l’argine, erano frequenti le bitte, per l’ormeggio dei barconi, per il carico e lo scarico delle varie mercanzie. Ad un’occhiata attenta, su questo lato del naviglio, si trovano gli edifici più antichi (vedi chiesetta di San Cristoforo), e molto spesso ruderi o vecchie cascine abbandonate che si affacciavano sulla campagna circostante. La Ripa, invece, era la “riva”, cioè la sponda opposta, lungo la quale si sviluppava la città o quanto meno, le case di coloro che operavano proprio nei magazzini sull’altra sponda del canale.

Per individuare la destra e la sinistra orografica, bisogna dare sempre le spalle alla direzione dalla quale proviene il flusso dell’acqua , quindi, in questo caso, l’Alzaia Naviglio Grande si trova sull’argine sinistro.

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