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Valentina Visconti (seconda parte)

Premessa

Per la lettura della prima parte di quest’articolo, cliccare sul seguente link:
Valentina Visconti (prima parte)

Quel primo incontro

Se è vero che “la prima impressione è quella che conta”, beh, il loro primo incontro, almeno per la bella Valentina, fu, sicuramente, una molto gradevole sorpresa. Al suo arrivo a Mâcon ai primi di agosto, iI giovane cui era stata destinata in sposa, Luigi, venendo incontro al convoglio, le si era palesato subito, affiancando la sua carrozza, in sella ad un magnifico destriero: di corporatura media, alto, slanciato e molto elegante, portamento regale, …. cavalcava divinamente!
“Bello nel corpo e leggiadro nei sollazzi”, così scriveva di lui, Cristina da Pozzano (poetessa sua contemporanea di origini italiane, probabilmente innamorata di lui e sua protetta).
Con molta probabilità, visti gli inizi, il destino avrebbe riservato a Valentina, anni sicuramente felici!

Anche lui, pare, restò molto favorevolmente colpito dall’aspetto della cugina: giovane, bella, fresca, un corpo gentile, di grande eleganza sia nel portamento, che nell’abito. Era ai sette cieli! Si sentiva baciato dalla fortuna! Se questo era il risultato, non erano stati certo sprecati, quegli anni di lunga attesa perché andassero in porto le trattative del matrimonio, tutt’altro!

Valentina Visconti (duchessa d'Orléans)
Valentina Visconti (duchessa d’Orléans)

Le nozze

Il matrimonio di Valentina Visconti con suo cugino Luigi di Valois e Duca di Turenna, si celebrò il martedì 17 agosto del 1389, una settimana o poco più, dopo il suo arrivo in Francia. Le cronache riferiscono che la cerimonia molto sfarzosa (fatta, pare, a spese del re), ebbe luogo a Melun, cittadina allora situata su un isolotto in un’ansa della Senna, a 40 km a sud di Parigi. Lei era nel fiore dei suoi diciannove o vent’anni, lui, ne aveva solo diciassette. Presenti alla cerimonia nuziale, oltre ai duchi e principi della corte al completo, naturalmente il ventunenne re Carlo VI di Francia in persona (in quanto fratello dello sposo e cugino germano della sposa) e la diciannovenne regina Isabella di Baviera (pure lei imparentata con Valentina). Non è dato sapere, poiché nessuno degli storici ne fa menzione, se fossero presenti o meno alla cerimonia, famigliari della sposa, o quantomeno rappresentanti ufficiali della corte dei Visconti.

Melun è a circa metà strada fra Parigi e Orléans

Prima di continuare con questa storia, un piccolo inciso:

E’ risaputo che una delle più preziose fonti di acquisizione d’informazioni per biografi e storici, per avere notizie certe sulla vita dei più importanti personaggi del passato e sui costumi dell’epoca, è desumibile dalla paziente consultazione dei manoscritti contabili che li riguardano (la stampa, a quei tempi, non era stata ancora inventata). Si tratta di pergamene pazientemente compilate dai tesorieri, contenenti le puntuali registrazioni di tutte le uscite di cassa, documenti questi, generalmente reperibili presso le biblioteche nazionali o gli archivi di Stato. A quanto risulta, molte delle informazioni riguardanti la vita di Valentina Visconti, e dei suoi primi anni di matrimonio, sono reperibili presso la Camera dei Conti di Blois, ove visse per diversi anni.

Ndr. – Blois è oggi un comune francese, capoluogo del dipartimento del Loir-et-Cher, nella regione del Centro-Valle della Loira) ove Valentina Visconti aveva una delle sue dimore. Nel 1397, la contea di Blois entrò nei possedimenti della Casa d’Orleans.

dipartimento del Loir-et-Cher

Se l’importanza di una duchessa dovesse essere commisurata in base al numero di servitori al suo servizio, non avrei difficoltà a dire che, indubbiamente, Valentina doveva essere un soggetto alquanto influente alla corte di Francia. Solo per dare un’idea a cosa mi stia riferendo, pare che questo fosse il personale a sua disposizione, verso la fine del XIV secolo:

Senza voler considerare le varie, immancabili dame di compagnia o lo stuolo di damigelle sempre affaccendate intorno alla sua persona e pronte ad aiutarla a lavarsi, vestirsi, pettinarsi e ad agghindarsi, oppure ancora il suo medico personale ed il chirurgo di fiducia, sempre a sua completa disposizione in caso di necessità, questi risulterebbero essere gli altri soggetti regolarmente a libro paga (a suo esclusivo servizio e quindi, alloggianti nella sua dimora): un cavaliere d’onore, degli scudieri (il numero è imprecisato), il segretario personale, il prete confessore, il sacrestano ed un altro addetto alla cappella privata, un messaggero a cavallo, due addetti alla cantina, un usciere di sala, un usciere di camera, un cameriere, una governante (balia), un facchino, un valletto elemosiniere, un addetto alle tovaglie, un panettiere e in un pasticcere specializzato in cialde. un coppiere e un suo aiutante, un cuoco personale e un suo aiutante, un salsiere, un addetto alla frutta e un suo aiutante, un guardarobiere, un vivandiere e un suo aiutante, un sarto, una lavandaia, un maniscalco per i cavalli, un palafreniere, un addetto ai finimenti, un portatore d’acqua, un servitore d’acqua, un valletto per i cani, un giardiniere e un suo aiutante, oltre naturalmente un numero imprecisato di addetti alle pulizie. Contandoli tutti, erano più di trenta persone per accudirne una sola! Naturalmente tutti abitavano in casa con lei, per essere sempre disponibili ad un suo cenno. Non vi sarà certamente sfuggito che fra le funzioni elencate ne manca una importante, che normalmente aveva un posto di rilievo fra il personale della nobiltà …. il giullare per rallegrare le sue giornate! Non è una dimenticanza, gliene sarebbero spettati anche più di uno, ma lei (essendo persona seria), pare non le interessassero … in compenso il marito (che abitando nei suoi appartamenti privati al piano superiore della loro residenza e avendo a sua disposizione altrettanto personale), ne manteneva in compenso solo cinque!

Ndr.- Sono cose queste, talmente lontane dal nostro modo di pensare di oggi, che, se non fossero i documenti contabili a testimoniarlo, risulterebbe persino difficile crederci! Non occorre sottolinearlo, ma naturalmente era il popolo a farsi carico, con le tasse, di mantenere tutta questa servitù per un solo soggetto!

A pochi giorni dal matrimonio, sabato 22 agosto, Valentina fece il suo ingresso solenne a Parigi, al seguito della regina, fra due ali di folla festante, andando ad abitare al palazzo reale di Saint-Pol. Poiché anche la regina, nonostante fosse sposata già da quattro anni, non era mai stata ricevuta a Parigi in pompa magna, fu organizzata per il loro arrivo, una intera settimana di festeggiamenti.

Solenne entrata di Isabella e Valentina a Parigi il 22 agosto 1389

I primi anni di matrimonio

Non si può proprio dire che quei primi giorni di matrimonio fra i due sposi fossero come Valentina se li era immaginati. Cominciarono fin da subito per lei, i primi dispiaceri, le prime amarezze, fosco preludio di nubi che si sarebbero addensate minacciose, di lì a breve. Fu davvero un fuoco di paglia, la loro luna di miele, che durò solo l’arco di qualche giorno, non certo per anaffettività o incomprensioni fra i due sposi, ma dovuto a imprevisti impegni di Stato per Luigi. A guastarla, fu proprio l’insicurezza del re Carlo VI che, avendo ricevuto un’inattesa convocazione da papa Urbano VI, per i primi di settembre, nella sua sede di Avignone, per discutere di urgenti problemi di natura ecclesiastica che interessavano la Chiesa di Francia, non se la sentiva di andare da lui da solo e volle il fratello con sé.

Re Carlo VI di Francia

Molto legato a Luigi, avendo apprezzato in alcuni suoi interventi a qualche precedente riunione del Consiglio, una saggezza fuori dal comune per la sua giovane età, data la delicatezza di quella particolare missione, lo aveva nominato per l’occasione, suo consigliere di fiducia. Il lungo viaggio che i due intrapresero, prima in Provenza e poi in Linguadoca, nel sud della Francia, li tenne lontani dalle rispettive giovani consorti per ben sei mesi (fino al febbraio 1390). La regina e Valentina, trascorsero insieme questo lungo periodo d’attesa dei rispettivi compagni, dapprima al castello di Vincennes, poi al Palazzo di Saint-Pol a Parigi (a quei tempi, residenza ufficiale dei reali di Francia). Entrambi erano già in dolce attesa, e fino a quando le loro condizioni fisiche lo consentivano, passavano il tempo partecipando a frequenti feste e balli, organizzati per loro, a corte.

Isabella di Baviera

Ma che tipo era questa giovane regina?

Quanto all’aspetto, Marcel Thibault, storico francese dell’epoca, diplomaticamente la descriveva così: “di piccola statura, la fronte alta, grandi occhi in un viso ampio, dai tratti marcati, il naso importante, dalle narici molto larghe, la bocca grande, le labbra sinuose ed espressive, il mento rotondo e paffuto, la capigliatura molto scura ….”. Un altro storico, rimasto anonimo, più schietto, scriveva senza mezzi termini, che Isabella è proprio brutta”! Da questi commenti, pare di capire che fosse un soggetto insignificante!
Quanto al carattere, il quadro non appare molto migliore: estroversa, amante dei divertimenti licenziosi e sfrenati, era a suo modo, religiosa; decisamente cinica, la cattiveria d’animo innata, la rendeva subdola e vendicativa; era soprattutto molto ‘tedesca’, riuscendo ad anteporre sempre gli interessi della sua famiglia d’origine e quelli suoi personali, a quelli della Francia, che, proprio perché regina di quel Paese, avrebbe avuto il dovere di curare in primis.

Schema genealogico del rapporto di parentela fra Valentina Visconti ed Isabella di Baviera

A parte le differenze di temperamento e di cultura, il rapporto fra le due donne, non fu mai contraddistinto da quel reciproco affetto che ci si potrebbe attendere fra cognate, in circostanze normali. La loro, era una relazione sempre piuttosto tiepida se non fredda, distaccata, quasi rancorosa: a parte l’invidia per la bellezza e lo stile dell’italiana, che, a differenza di lei, attirava l’attenzione ammirata di tutti, era stato, nel 1385, (due mesi prima che lei si sposasse con re Carlo VI), quello “sgarro”, che Gian Galeazzo Visconti, padre di Valentina, aveva perpetrato a Milano, nei confronti del suo nonno materno, a trovare eco, ora a Parigi, a distanza di quattro anni, riflettendosi nella freddezza del rapporto fra le due cugine. Naturalmente Valentina era assolutamente incolpevole di tutto, ma la cugina se l’era legata al dito! In seguito a quello “sgarro”, l’amato nonno Bernabò era morto avvelenato, in prigionia, pochi mesi dopo la cattura: impossibile, per Isabella, non credere che il mandante di quell’omicidio, fosse stato proprio il padre di Valentina!

Comunione d’interessi fra coniugi

Amore per la lettura e mecenatismo

Frequentandosi, Valentina e Luigi scoprirono fin da subito, di avere diverse affinità in comune, soprattutto culturali, cosa questa che le permise di continuare a coltivare, in terra di Francia, i gusti e le inclinazioni che, lasciando Milano per il matrimonio, temeva di essere costretta ad abbandonare per sempre. A detta degli storici suoi contemporanei, re Carlo V (padre di Luigi). fece impartire al figlio, un’educazione secondo la migliore scienza dell’epoca, cosa questa, che consentì al giovane di diventare presto uno dei principi, ai suoi tempi, più colti d’Europa. Era l’unico membro della famiglia reale, a conoscere persino il latino! Amava, al pari di Valentina, la lettura di opere in prosa e poesie degli autori emergenti dell’epoca, accogliendoli poi a corte, per conoscerli personalmente e finanziandoli con generose elargizioni, per spronarli alla realizzazione dei progetti che si erano prefissi. Questo farsi carico delle loro difficoltà ed esigenze, era un modo come un altro, per proteggere l’attività di questi poeti e scrittori.

Fondazione di biblioteche

E’ questo pure il periodo in cui si iniziò il finanziamento e la creazione delle prime Biblioteche di manoscritti. Cominciò, a dire il vero, il padre di Luigi, re Carlo V, a fondare per primo a Parigi la famosa biblioteca al Louvre. L’odierna Bibliothèque Nationale de France (BNF) ebbe origine proprio da questa biblioteca reale. Il figlio Luigi, duca di Turenna, non volle essere da meno del padre, e, sulla sua scia, fondò pure lui un’importante biblioteca al castello di Blois (uno dei più bei castelli di Francia), coinvolgendo pesantemente nel progetto, anche la moglie Valentina. Non esistendo all’epoca ancora la stampa, ma unicamente manoscritti, la duplicazione manuale degli stessi e la loro eventuale traduzione, oltre a richiedere lunghissimi tempi di scrittura, era onerosissima per i costi vivi soprattutto della manodopera di copisti, traduttori, miniatori, ricamatrici per le copertine, ecc. Vi si trovavano libri di ogni genere e su vari argomenti, come storia, filosofia, religione, poesia e romanzi vari.

Passione per la musica

Altra affinità fra i due sposi, fu la scoperta della comune passione per la musica o meglio, per le cantate di cantori, musici e poeti improvvisati. Pare che già prima del matrimonio, Luigi, per allietare le proprie giornate, tenesse presso di sé dei menestrelli, pronti ad allietare le sue ore di svago, con le loro canzoni e ritornelli. Costoro erano, al contempo, musici, cantori, poeti, regolarmente pagati dal tesoriere di corte.

L’influenza di Valentina sui costumi francesi

Arrivando Valentina in Francia, l’impatto che la sua presenza ebbe sulle abitudini e sui costumi locali, fu di gran lunga superiore rispetto a quello di qualunque altra principessa dell’epoca. Bastò la sua sola presenza a Corte, che il volano dell’economia fra i due Paesi, fino ad allora stagnante, cominciasse a mettersi in moto. con scambi commerciali fra i due Paesi. Con lei a Parigi, gusti e costumi italiani si diffusero con una rapidità superiore ad ogni più rosea previsione. Ambasciatrice in Francia del “Made in Italy”, portò con sé oltre al fascino dei suoi splendidi diciannove anni, anche la ricchezza e l’eleganza del suo bellissimo corredo (superiore per valore e ricercatezza a quello della stessa regina di Francia), dando modo ai francesi di apprezzare i grossissimi progressi compiuti dall’Italia, non solo nel campo delle lettere e delle arti figurative, ma pure in quello della moda, sia per quanto riguarda l’abbigliamento, che per la raffinatissima gioielleria italiana, decisamente superiore a quella parigina.

Una, fra le tante scappatelle di Luigi

L’amore, che Valentina provava per Luigi, non sempre era contraccambiato da lui con altrettanto ardore, e questo, per lei, fu comprensibilmente causa di sofferenza. Si era nel 1391, a nemmeno due anni dal loro matrimonio. L’anno prima, poco dopo il ritorno di Luigi dall’incontro col papa ad Avignone, aveva partorito il suo primo figlio nato morto, cosa questa, che le aveva provocato altro motivo di grande dolore: ora, era in attesa di un secondo bimbo. D’altra parte Luigi, stando frequentemente lontano da lei, spesso addirittura per mesi, aveva decine e decine di occasioni per godere di qualche ameno diversivo. L’amore, lei lo sapeva, figurava essere sicuramente al primo posto, fra i piaceri ai quali il giovane duca si dedicava. Fra ragazzi poi, allora come oggi, si parlava sempre di donne e Luigi – allora diciannovenne – incontrandosi con i suoi compagni, non faceva certo mistero delle sue bravate, vantandosi con tutti delle ultime conquiste femminili fatte. Pierre de Craon, suo intimo amico, era quindi sempre al corrente dei suoi intrallazzi amorosi [Ndr. – Pierre de Craon, come vedremo, avrà indirettamente delle ripercussioni in seguito.]

Il concetto fedeltà, si sa, era molto aleatorio a quei tempi, e poi lui, essendo duca, giovane, bello e anche fratello del re, non aveva proprio alcuna difficoltà ad essere contornato da belle fanciulle, sempre vogliose e disponibilissime. Qualche storico asserisce che. Luigi, per la sua giovane età, fosse. caratterialmente, un tipo piuttosto prudente e saggio. motivo ulteriore perché le fanciulle benpensanti facessero a gara per conquistarlo. Capitò così, che lui s’invaghisse perdutamente di una giovane, bellissima parigina, però piuttosto restia a concedersi facilmente. Per farla capitolare, lui ebbe la malaugurata idea di comprare il suo amore, offrendole mille corone d’oro. Offesa per la proposta, lei la rifiutò sdegnosamente perché lui capisse che il suo amore non era interessato, ma assolutamente sincero.

Fu proprio Pierre de Craon che, ritenendo immorale questo modo d’agire dell’amico, soprattutto nei confronti della giovane e bella moglie italiana innamoratissima di lui, decise di avvisare Valentina che il marito stava frequentando un’altra donna a sua insaputa, e le raccontò, nei minimi dettagli, quanto sapeva di questa relazione. Valentina, che già aveva subodorato qualcosa, sperando si trattasse solo di una sua falsa sensazione, nell’apprendere tale notizia, rimase profondamente addolorata. Senza dire nulla al marito, decise di convocare a palazzo la sua rivale, per diffidarla. Le parlò pacatamente facendole capire, dai tanti dettagli a sua conoscenza (anche della storia delle mille corone d’oro), che, essendo perfettamente informata della relazione della giovane con suo marito, era inutile da parte sua, il benché minimo abbozzo di discolpa. La diffidò a rivedere ancora Luigi, salvo una sola volta ancora, giusto per dirgli che, fra loro due, era tutto finito. Diversamente. sarebbero stati guai per lei. Avute assicurazioni dalla giovane in tal senso, la congedò.
Quando Luigi, il giorno stesso, rivide la giovane, notando che, rispetto al solito, era fredda e distante con lui, volle capire il motivo di tale suo comportamento. Messa alle strette, lei gli raccontò che era stata chiamata da Valentina, che sapeva tutto di loro, e che d’ora in avanti lei le aveva promesso che avrebbe smesso di frequentarlo. Preoccupato per la rivelazione, lui cercò di scoprire chi avesse potuto raccontare a sua moglie dei suoi amori clandestini, mai immaginando potesse essere proprio il suo miglior amico. Quando, dopo varie indagini, riuscì a scoprirlo direttamente dalla moglie, ferito per il tradimento dell’amico, ne parlò al re, suo fratello. Per vendicare l’affronto a Luigi, il sovrano fece sapere a Pierre, senza giustificarne il motivo, che da quel momento non avrebbe più avuto bisogno di lui, né dei suoi servigi e che pertanto era invitato a non farsi più vedere a corte. Vano fu il tentativo di Pierre di avere spiegazioni, sul perché di simile improvviso provvedimento nei suoi confronti. Fu Giovanni di Montfort, duca di Bretagna che, intuendo nel rancore del giovane, i suoi propositi di vendetta nei confronti della corte (che non gli dava le giustificazioni richieste), colse al volo l’occasione, per indurlo ad assecondare i propri sporchi interessi. Risulta infatti, che detestasse pesantemente il Connestabile di Francia (comandante in capo delle armate del re) Olivier V de Clisson, soggetto, a suo dire, troppo influente nel governo della Francia, e quindi, per questo, avesse in animo di farlo fuori. Non volendo però sporcarsi le mani, per istigarlo al delitto per conto suo, il duca riuscì a convincere Pierre che tutti i suoi guai a corte, dipendevano proprio da Olivier (cosa questa, ovviamente non vera). Quest’ultimo gli credette ciecamente e giurò vendetta. Qualche mese dopo, si ebbe notizia che Pierre de Craon, dopo aver teso un agguato al de Clisson, tentò di assassinarlo in un vicolo di Parigi, riuscendo poi a sfuggire alla cattura e a riparare in Bretagna.

La pazzia di Carlo VI

NOTA STORICA
Fu nel 1392,
proprio in seguito al tentativo di omicidio del suo amico e consigliere Olivier V de Clisson, che si manifestò la prima crisi di follia di Carlo VI. Nonostante l’aggressione al Connestabile di Francia non avesse avuto esito letale per la vittima, la notizia sconvolse il re, al punto da creare in lui, uno stato di confusione mentale decisamente preoccupante. Il presunto assassino, Pierre de Craon, come visto, nel frattempo si era rifugiato in Bretagna. Risoluto nel voler vendicare l’amico, il ventiquattrenne re Carlo VI, dopo aver invitato il duca di Bretagna (Giovanni IV di Monfort) a consegnargli il fuggasco , avutone il suo netto rifiuto, gli intentò guerra. Il sovrano, sovraeccitato all’idea di una spedizione punitiva, il 1º luglio 1392, partì per una campagna militare contro il duca di Bretagna. Visto che dopo qualche settimana, le operazioni militari stavano procedendo più a rilento del previsto, Carlo VI piombò in uno stato di frenetica impazienza.

Mentre stava attraversando una foresta nella zona di Le Mans in una calda mattina di agosto, un uomo scalzo, vestito di stracci, si precipitò verso il suo cavallo e afferrandolo per le briglie, urlò al sovrano: «Non cavalcare oltre, nobile re! Torna indietro! Sei stato tradito!». La scorta del sovrano allontanò subito minacciosamente l’uomo da lui e lo percosse, tralasciando però di trarlo in arresto: così costui, tenuto a debita distanza, seguì il corteo per una buona mezz’ora, continuando a mo’ di mantra, a ripetere al re, quel suo monito lamentoso.
Usciti dal bosco, il fragore improvvisamente provocato dall’accidentale caduta a terra, vicino a lui .della sua stessa lancia, tenuta a mano da uno dei suoi servitori, Carlo, girandosi di scatto, ebbe una reazione del tutto imprevedibile. Convinto dell’esattezza del monito di quel mendicante, preso da improvviso delirio, al grido di «Avanti contro i traditori! Vogliono consegnarmi al nemico!», spronò il cavallo contro i suoi stessi uomini, e sguainata la spada, roteandola contro i più vicini cavalieri, riuscì ad ucciderne almeno quattro, prima che altri soldati, afferrata la sua cavalcatura, riuscissero a disarcionarlo. Cadendo, riportò un serio trauma cranico, finendo pure, in coma per alcuni giorni.

Primo episodio di pazzia di Carlo VI a Le Mans, quando attacca i suoi stessi cavalieri

Durante una delle successive crisi nel 1393, Carlo addirittura dimenticò il suo nome, ignorò di essere re e fuggì terrorizzato dalla moglie. Non riconobbe i propri figli, mentre stranamente, in quella stessa occasione, riuscì a riconoscere il fratello, i propri consiglieri e a ricordare il nomi dei defunti. Negli attacchi successivi, pare egli vagasse per il palazzo ululando come un lupo, e, per mesi, si rifiutasse di fare il bagno! Soffrendo di frequenti allucinazioni, si era convinto che il suo corpo potesse spezzarsi, essendo fatto di vetro. Pertanto, non si faceva avvicinare da nessuno e indossava abiti rinforzati, adatti a proteggere le sue fragili membra.

 Secondo il parere concorde dei luminari di allora, e dei maghi interpellati al capezzale del re, una cura a base di sfoghi e distrazioni, come divertimenti e balli, avrebbe potuto avere su di lui effetti terapeutici benefici. Pare anche che, per mitigare la sua follia, gli sarebbero stati proposti i Tarocchi, che avevano appena fatto in quel periodo, la loro comparsa in Europa.

Oggi, si ipotizza che il re potesse soffrire di schizofrenia paranoide.

Il “ballo degli ardenti”

Il 28 gennaio 1393, (si era agli inizi del periodo di Carnevale), Isabella di Baviera, molto incline ai divertimenti sfrenati, prese alla lettera la cura che i medici suggerirono per suo marito: pensò di organizzare (naturalmente, solo per il bene del re … ), un ‘charivari‘ nel Palazzo reale di Saint-Pol, per festeggiare degnamente il terzo, o forse quarto matrimonio della sua dama di compagnia, tale Catherine de Fastaverin, rimasta inconsolabilmente vedova per l’ennesima volta.

Ndr. – Il tradizionale termine francese ‘charivari‘ (in italiano, ‘capramarito’, o ‘chiavramarito‘), era una sorta di ballo mascherato, con danzatori travestiti da selvaggi, creature mitologiche, spesso accostate alla demonologia, comunemente rappresentati nelle feste medievali europee.
Il charivari era inteso come una plateale manifestazione di protesta, in cui si dava espressione a sentimenti di rabbia o di irrisione collettivi, rivolti a individui responsabili di atti ritenuti offensivi verso la morale comune.

NOTA STORICA
A questo ‘charivari’, quel 28 gennaio 1393, era naturalmente presente anche Valentina (compatibilmente col suo stato di perenne gravidanza). Re Carlo VI, travestito da selvaggio (con costume di canapa fatto su misura, coperto di peli da capo ai piedi e piume in testa) completamente irriconoscibile, si esibì in una danza con altri cinque membri della nobiltà francese, pure loro travestiti in modo simile. Un incendio provocato da una torcia retta maldestramente da uno spettatore, provocò un autentico disastro. Casualità volle che l’involontario piromane (che nel tentativo di riconoscere uno dei danzatori, aveva incautamente accostato la torcia al suo viso mascherato), fosse proprio il fratello del sovrano, Luigi I, da poco (1392) nominato duca d’Orléans, marito di Valentina. Non riuscendo a tirarsi via i costumi che erano stati cuciti loro dosso, quattro, dei sei danzatori, perirono fra le fiamme. Il re e Ogier de Nantouillet (altro nobile travestito), riuscirono fortunosamente a salvarsi: il sovrano, trovando rifugio sotto le ampie gonne della zia Giovanna II d’Alvernia (consorte dello zio Giovanni di Berry), accorsa in suo aiuto, mentre l’altro, buttandosi in un catino pieno d’acqua, casualmente presente in loco, e rimediando solo qualche bruciatura superficiale. Per la cronaca, Isabella, spaventatissima, era fuggita subito, senza preoccuparsi di soccorrere il marito.

Rappresentazione del Ballo degli Adenti, nel momento in cui la zia Giovanna II d’Alvernia salva il re nascondendolo sotto la sua ampia gonna

L’evento minò irrimediabilmente la credibilità di Carlo e la fiducia nella sua reale capacità di governare. I parigini considerarono l’evento come prova della decadenza della corte e minacciarono di ribellarsi contro i membri più potenti della nobiltà.
L’indignazione della gente arrivò al punto da costringere il re e suo fratello, a scusarsi pubblicamente per l’accaduto. Un cronista dell’epoca, arrivò al punto di accusare Luigi di tentato regicidio e stregoneria.

Tra le varie crisi della sua malattia, vi erano anche degli intervalli di mesi, durante i quali, Carlo VI risultava relativamente in sé. Tuttavia, essendo incapace di concentrarsi o di prendere decisioni, il potere politico fu preso dallo zio, Filippo II di Borgogna, che, assunta la reggenza al suo posto, provvide subito a licenziare i consiglieri del nipote. Da quel momento, la Francia fu governata da un Consiglio di reggenza, presieduto dalla regina Isabella di Baviera, ma guidato dai grandi del regno. Questa carica dette alla regina potere decisionale sui duchi reali e sul Connestabile di Francia, ma allo stesso tempo, la rese vulnerabile agli attacchi delle varie fazioni di corte. Si contesero quindi il potere, fino a provocare una guerra civile nei successivi ottantacinque anni, due fazioni avverse: da una parte, gli Armagnacchi, fedeli ai Valois (cioè alla monarchia), e dall’altra i Borgognoni, seguaci del Duca di Borgogna, sostenitore degli inglesi.

Isabella di Baviera con due dame di corte, ritratta da François Roger de Gaignières.

Le incredibili calunnie

A parte l’astio che, come già detto, aveva sin qui impedito lo stabilirsi di un normale rapporto di simpatia ed amicizia fra le due cugine-cognate, vi era un altro motivo di frizione fra loro: ora più che mai, visto che il marito stava male, l’alta posizione che la cugina rivestiva a corte non faceva fare sonni tranquilli ad Isabella (consapevole che, morendo suo marito, in assenza di eredi maschi, il trono di Francia sarebbe spettato a Valentina).

Ndr. – Alla data di questi fatti (1395), il Delfino c’era ed era Carlo, l’unico maschio vivente nato dalla coppia reale nel 1392. Appena nel 1397 sarebbe nato ad Isabella un secondo maschietto, Luigi. Questultimo avrebbe ereditato il titolo di Delfino nel 1402, alla morte fratello maggiore.

Questo le impediva di avere le mani libere di agire a suo piacimento. Il manifestarsi delle crisi acute di follia del re, non fece che peggiorare il rapporto fra le due donne. Quando, in quei momenti, lo venivano a trovare moglie e figli, non riconoscendoli, Carlo dava in escandescenze, obbligandoli ad allontanarsi. Altrettanto però non accadeva con tutti. Ad esempio il re riconosceva benissimo suo fratello Luigi o anche la cugina Valentina, forse perché, a differenza della moglie, quest’ultima in particolare, andava a trovarlo ogni giorno con devozione, tentando, con la sua grazia e la sua dolcezza, di distrarlo dai suoi cupi pensieri.

Approfittando della malattia del marito, dato che, in quelle condizioni, Carlo VI non poteva certo governare, Isabella cominciò ad interessarsi personalmente di politica estera, operando scelte tendenti a favorire gli interessi propri e quelli del suo casato di Baviera. Naturalmente la sua prima preoccupazione fu quella di fare in modo che l’odio che suo padre nutriva nei confronti di Gian Galeazzo Visconti, fosse sostenuto da una politica interventista della Francia contro Milano, politica che, finora era sempre stata contrastata sia dal marito, che dai suoi cognati. Ma Carlo era ormai fuori gioco, Luigi, sarebbe forse riuscita a portarlo dalla sua parte (in particolare ora che lo stavano accusando di regicidio), Valentina invece era l’osso duro da battere, perché prendeva sempre e comunque le difese di suo padre. Bisognava riuscire a trovare il modo di neutralizzarla, perché non potesse più nuocere. Poiché Valentina era assolutamente inattaccabile per la sua rettitudine morale, l’unico modo possibile per farla capitolare, era quello d’istigare il popolo contro di lei, inventando qualcosa, un motivo qualsiasi, che potesse giustificare il suo allontanamento da Parigi e quindi dalla Corte. Isabella, da perfida quale si stava rivelando, scelse, con odiosa astuzia, il terreno dove avrebbe potuto colpirla, restando lei insospettabile e quindi impunibile. Fece spargere la voce, sia a Corte che fra il popolo, che la duchessa d’Orléans avesse fatto un sortilegio al re, accusandola pubblicamente di stregoneria (pratica magica o rituale molto di moda allora).

Ndr. – Il ‘sortilegio’ era una delle pratiche abituali dei maghi o presunti tali. Consisteva nella realizzazione di una statuina di cera fatta a somiglianza di chi si intendeva colpire. La si faceva battezzare da un prete che le imponeva il nome della vittima designata. A questo punto, la si infilzava con un ago in base alla credenza secondo cui, la persona avrebbe patito sulla sua carne le ferite inflitte alla statuetta. Se per caso l’ago avesse colpito il cuore, fonte di vita, la vittima del sortilegio, sarebbe morta presto!

La gente doveva capire che era Valentina, in pratica, la causa della malattia del re e che sempre a lei andava addossata la responsabilità della mancata guarigione del sovrano. In questo suo progetto, la regina era spalleggiata dal duca di Borgogna che, mirando anche lui al trono, non vedeva ovviamente di buon occhio i duchi di Orléans (rivalità questa, fra le casate di Borgogna ed Orléans, che aveva radici antiche).

Ndr. – Duca d’Orléans  è un titolo riservato alla famiglia reale francese, creato nel corso del XIV secolo. Legato al trattamento di Principe di sangue (prince du sang), il titolo di duca d’Orléans era dato, se possibile, al fratello minore del sovrano. In questo modo il titolare spesso formava una linea collaterale della famiglia reale francese, con un eventuale diritto di succedere al trono tra i principi più prossimi al trono.

Ma la calunnia non si limitava solo a questo … c’era tutto un disegno dietro …. Isabella aveva fatto diffondere la voce che la duchessa d’Orléans meditasse l’avvelenamento e quindi la morte del Delfino, il figlioletto del sovrano. Tutto questo perché, essendo Valentina troppo ambiziosa, morendo il re, avrebbe assunto (come già accennato), sicuramente lei, il trono di Francia. Del resto, cosa di diverso ci si sarebbe potuto aspettare dai Visconti? Non avevano forse, nel loro stemma, un serpente che ingoia un fanciullo? Questa, casomai ce ne fosse stato il bisogno, era la prova lampante della veridicità delle sue affermazioni!

Con tutte queste menzogne, messe in giro ad arte per aizzare il popolo contro di lei, bastava solo saper attendere che le calunnie facessero l’effetto desiderato. Del resto, il popolo ignorante, non aveva necessità di prove o spiegazioni, per poter credere ad una accusa, né tantomeno, che questa fosse verosimile! Il tempo sarebbe stato sicuramente dalla parte della regina. E la cosa non tardò ad avverarsi effettivamente. Si sparse la voce che se la duchessa d’Orléans non fosse stata allontanata con le buone, dalla corte e dal re stesso, il popolo avrebbe fatto giustizia da sé, a modo suo. Facendosi queste voci, giorno dopo giorno, sempre più insistenti e minacciose, si consigliò al duca Luigi di convincere la moglie ad andarsene almeno per un po’, fino a quando non si fossero calmate le acque nei suoi confronti. E fu così che Valentina, convinta dal marito, nel 1396, si preparò a lasciare Parigi. Non vi sarebbe mai più tornata per restarci stabilmente, da viva. Isabella aveva vinto la sua battaglia|

Le tre generazioni: in nero il capostipite, in blu, alcuni dei suoi 14 figli, in rosso, i nipoti interessati a questa storia

L’esilio di Valentina

Per far sapere a tutti che la duchessa d’Orléans se ne stava andando dignitosamente da Parigi di sua spontanea volontà, nell’aprile del 1396 (a nemmeno otto anni da quel suo primo ingresso trionfale nella capitale, a pochi giorni dal suo matrimonio), lasciò la città in pompa magna. Era diretta al castello di Asnières-sur-Oise nella regione dell’Île-de-France, pochi chilometri a nord di Parigi, la prima delle tante sedi del lunghissimo esilio che avrebbe trascorso in amara solitudine, contornata unicamente dai suoi figli (il marito era rimasto a corte). Aveva solo venticinque o ventisei anni, con tutta una tristissima vita davanti e le meravigliose feste ed i fasti, per lei solo un pallido ricordo. Una vita molto più tranquilla, dedicata esclusivamente ad accudire ed istruire i propri figli, a coltivare i propri hobbies e ad amministrare i propri beni.

Un confino inutile

La macchinazione ordita dai nemici di Valentina raggiunse poi l’obiettivo prefissato di rovinare suo padre Gian Galeazzo? A giudicare dai risultati, fu un fallimento totale.

Anche se Valentina, allontanata da corte, non poteva più nuocere, agiva comunque dietro le quinte: il suo portavoce era pur sempre il marito pronto a prendere le difese del suocero, informandolo preventivamente su ogni movimento teso a destabilizzare la sua posizione.

Isabella si dette da fare per tentate di annientate i Visconti in due distinte occasioni: la prima fu subito nel 1396m quando prese accordi segreti con i fiorentini, che sapeva acerrimi nemici dei milanesi, per consentire loro di reclutare un esercito di mercenari in terra di Francia e da lì, spalleggiati dai principi francesi, muovere contro Gian Galeazzo. Il piano fu abbandonato proprio quando stavano già per scendere in Italia, in seguito alla notizia del disastro della battaglia di Nicopoli (nell’attuale Bulgaria) nel settembre 1396, tra lo schieramento franco-ungherese e quello ottomano, in cui Jean de Nevers (nome di Giovanni senza Paura prima della sua nomina a duca di Borgogna), era stato fatto prigioniero.
La seconda, fu invece nel 1400, quando, deposto l’imperatore Venceslao di Lussemburgo, un membro della famiglia della regina di Francia, Roberto di Baviera, fu eletto re. Questi, su istigazione di Isabella, proseguì il complotto ai danni dei Visconti. Architettò con i Francesi una manovra a tenaglia per sorprendere Gian Galeazzo e conquistare Milano che, nel 1395, l’imperatore Venceslao aveva eletto a Ducato. Quando Roberto attaccò Gian Galeazzo, quest’ultimo, che nel frattempo, era stato avvisato dal genero Luigi d’Orleans, del pericolo incombente, riuscì a sconfiggere il re tedesco in battaglia e lo costrinse a ritirarsi nei suoi territori. Visti i risultati dell’attacco tedesco, i francesi non tentarono nemmeno la sortita e il discorso non ebbe più seguito.

Giovanni senza Paura

NOTA STORICA
nel 1404, morto il padre Filippo II, Giovanni senza Paura (1371 – 1419), ereditò il ducato di Borgogna. Ora che re Carlo VI, causa la sua follia, non poteva più governare, Luigi di Valois, il giovane fratello del re, aveva assunto una delle cariche più rilevanti nel Consiglio di Reggenza. Ora che  Valentina Visconti era in esilio, Luigi si era avvicinato alla regina Isabella. Ma la presunta intimità tra lui e la moglie di suo fratello, i lussi, l’amore per i divertimenti e le licenziosità, tendevano ad alienargli l’opinione pubblica. Inoltre essendo in disordine le finanze dello Stato, Luigi decise di svalutare la moneta, imponendo una nuova imposta. Il cugino Giovanni senza Paura (che mirava al trono), colse la palla al balzo per marciare su Parigi, in armi, sostenendo che l’imposta nei suoi Stati non era valida. Luigi e la regina lasciarono precipitosamente la città in mano a Giovanni.
Due mesi più tardi, rotta la tregua nella guerra dei cento anni, che vedeva fra loro opposti inglesi e francesi, essendo riprese le ostilità, ci fu una riconciliazione fra i cugini. Entrambi i rivali cercarono di colmare il vuoto di potere creato dal sovrano, che aveva crisi di follia sempre più prolungate e frequenti. Giovanni, per rinforzare il proprio potere a corte, organizzò una politica matrimoniale, sposando, nel 1404, sua figlia Margherita con il nuovo Delfino di Francia, Luigi, duca di Guyenna (7 anni) e combinando pure il fidanzamento (si sarebbero sposati, nel 1409) di suo figlio Filippo III, il futuro Duca di Borgogna , con Michela di Valois (9 anni), figlia di Carlo VI e di Isabella di Baviera. Come se non bastasse, per aver maggiormente in pugno la famiglia reale, durante uno dei periodi di pura follia del sovrano, Giovanni cercò di diventare, per decreto, pure tutore del Delfino e della restante prole del re. E non trascurò neppure di avere buoni rapporti la classe intermedia dei mercanti, degli uomini d’affari e dell’Università di Parigi. Ciò non migliorò i rapporti tra i due cugini, già tesi anche per la rivalità che li opponeva nei bacini della Mosa e dello Schelda, dove Giovanni controllava le Fiandre ed il Brabante, mentre Luigi aveva i diritti sul ducato del Lussemburgo e stava stringendo un’alleanza col duca di Gheldria (provincia dei Paesi Bassi).
Nel 1407, i due rivali arrivarono a minacciarsi apertamente col rischio di fare scoppiare una guerra civile. Il loro zio Giovanni, Duca di Berry, riuscì in extremis a fermare il massacro, favorendo una promessa di riconciliazione solenne fra le parti.

L’assassinio del marito

La promessa allo zio, fu però di breve durata, solo tre giorni! Giovanni senza Paura aveva già da tempo, dato mandato a dei sicari di uccidere il cugino. L’assassinio di Luigi I d’Orleans, fratello del re Carlo VI ebbe luogo il 23 novembre 1407, a Parigi.

Quella sera, il duca era andato a far visita alla regina molto abbattuta perché il bimbo che aveva partorito il giorno prima, era appena morto, dopo un solo giorno di vita. Pare che i rapporti fra Luigi ed Isabella fossero assolutamente cordiali e che lui non sospettasse minimamente che fosse stata proprio lei, l’artefice principale dell’allontanamento di sua moglie da Parigi.
Dopo aver cenato con lei, contava restare lì ancora per distrarla dalle sue tristezze, quando un servitore gli comunicò che il re lo stava aspettando a palazzo perché desiderava discutere con lui di un problema urgente. Congedatosi da lei, si avviò col suo servitore all’appuntamento, mai sospettando che si trattasse di un tranello e che il re non lo aspettasse affatto. Arrivato a dorso di mulo in rue du Temple, venne improvvisamente assalito da un gruppo di sette od otto sicari che a colpi di spada e d’ascia, finirono sia lui che il suo servitore. Le indagini condotte dalla polizia (che aveva le mani legate da disposizioni che vietavano le perquisizioni in casa della nobiltà), non sortirono alcun effetto. Fu lo stesso Giovanni senza Paura a dichiarare apertamente di essere stato lui il mandante dell’omicidio ‘per il bene della Nazione’.

L’assassinio del duca d’Orléans.

La tragica notizia comunicata a Valentina

Era a Chateau-Thierry , quando Valentina ricevette la notizia dell’assassinio di suo marito. Al momento non volle crederci, poi prendendone coscienza, ne rimase sconvolta, come annientata: con gli occhi gonfi di lacrime, non faceva che ripetere laconicamente:

Rien ne m’est plus! Plus ne m’est rien! (Nulla mi rimane! Non mi rimane più nulla!)

frasi queste che fece scrivere anche sui lunghi drappi neri che fece applicare in tutte le stanze che lei frequentava. Il suo sconforto fu totale. Non le era stata concessa nemmeno la possibilità di vedere la salma del marito un’ultima volta! Era stata avvisata, a tumulazione già avvenuta.

Fin dal loro primo incontro si era invaghita di lui; poi, frequentandolo , ne aveva apprezzato le virtù e si era innamorata e lo aveva amato di un amore totale. All’inizio si era illusa di essere da lui contraccambiata con pari affetto. Troppo presto però, non erano passati due anni dal matrimonio, che Pierre de Craon le aveva aperto gli occhi con quella sconvolgente rivelazione sulle infedeltà del marito. Tenendo per sé tutta la rabbia, da quel momento aveva cominciato a soffrire in silenzio facendosene una ragione. D’istinto, aveva minacciato quella sua rivale, ma era stata una vittoria di Pirro, perché quell’episodio rappresentava solo la punta dell’iceberg del problema; sapeva benissimo che, cacciata quella donna da suo marito, ce ne sarebbero state infinite altre, pronte a ronzargli intorno, e a rimpiazzarla, e certamente lui non si sarebbe certo tirato indietro. Valeva la pena battagliare contro tutte? Era ben consapevole che, da quando era stata cacciata da corte, lui avrebbe avuto campo libero e tantissime opportunità. Sola, in esilio, lontana da Parigi e dalla corte, aveva imparato a convivere con la sofferenza, ad accettare la situazione, e a perdonare. Del resto lui, anche se la ‘tradiva’, quella infedeltà andava intesa come una delle componenti del suo lavoro istituzionale, un ‘do ut des’: a riprova di ciò, nonostante tutto, lui le dimostrava di amarla ancora e non l’aveva affatto dimenticata, anzi, appena riusciva a liberarsi dagli impegni, correva a trovarla, le faceva doni preziosi e trascorrevano in armonia ed intimità, diverse giornate insieme. Alle cinque gravidanze durante i primi sette anni del loro matrimonio, fino all’esilio [ Giovanni Filippo (1393), Carlo (1394), Filippo (1396) e altri due pargoli nati morti], negli anni dell’esilio, ne avrebbe avute altre tre sempre con lui,; Giovanni (1400), Maria (1401) e Margherita (1406).

Ora, con la morte del marito, tutto il mondo le era di colpo, crollato addosso.

Valentina determinata nella punizione dei responsabili

A due settimane dalla morte del marito, e visto che la polizia latitava nell’individuazione dei responsabili del delitto, il 10 dicembre 1407, decise, vestita di lutto, di andare a Parigi per chiedere udienza al re. Era da quasi undici anni che non lo vedeva, da quando nel lontano 1396, l’avevano mandata in esilio fuori Parigi. Fortunatamente lo trovò in uno dei sempre più rari momenti di lucidità, che la sua malattia, di tanto in tanto, gli concedeva. Lui la riconobbe perfettamente: la duchessa piangente, lo implorò in ginocchio di fare giustizia dell’orribile assassinio di suo marito. chiedendo, date le circostanze, la protezione reale per sé stessa ed i suoi figli. Giovanni senza Paura intanto, come già detto, aveva dichiarato candidamente di essere stato lui il mandante di quel omicidio e ne era anzi fiero. Il popolo, al quale aveva promesso meno tasse qualora fosse salito lui al potere, illuso da simili scemenze, era dalla sua parte. I fedelissimi del suo partito, consapevoli che la richiesta di Valentina a Carlo VI, avrebbe potuto avere conseguenze indesiderate per Giovanni (passibile di pena di morte, qualora la supplica della duchessa fosse stata accolta dai reggenti), rispolverando il vecchio discorso del sortilegio al sovrano, aveva fatto mettere in circolo la voce di un misterioso aggravamento delle condizioni di salute del re, quale conseguenza dell’ultima visita di quella strega.

Benché biasimato da tutti, (inclusa la stragrande maggioranza dei membri del Consiglio di Reggenza – di cui, a diritto, faceva parte pure lui, – Consiglio che, a parole, aveva promesso di voler perseguire i colpevoli), tutto restò come prima. Grazie alla debolezza dimostrata dai governanti e alla paura delle prevedibili rivolte del popolo (favorevole al potente duca di Borgogna), nel caso fosse stato arrestato, si evitò di prendere alcun provvedimento contro di lui: anzi, ogniqualvolta Giovanni si presentava a Parigi, scortato dal suo esercito personale, veniva accolto con tutti gli onori, nonostante Valentina, ne avesse chiesto l’esemplare punizione.

La morte della duchessa d’Orléans

Come visto, dopo la morte di Luigi, tutti gli sforzi della duchessa si concentrarono nel provare tutte le vie possibili nel tentativo di far punire in maniera esemplare gli autori ed i mandanti dell’assassinio di suo marito. Quello era rimasto l’unico pensiero della sua vita, ma presso chiunque lei si recasse per chiedere aiuto e sostegno, trovava sempre un muro di gomma.

Con questo cruccio nell’animo, a poco più di un anno di distanza dall’assassinio del marito, il 4 dicembre 1408, in una fredda giornata d’inverno, nel castello di Blois, (vedi la fotografia in testata), chiudeva gli occhi Valentina, assistita dai suoi figli. Aveva solo 37 anni. Non si ha notizia che fosse afflitta da particolari disturbi o patologie. A parte il fisico indubbiamente indebolito dalle otto gravidanze in diciannove anni, la vera malattia che la portò alla morte, fu da un lato il grande dolore per l’assassinio dell’uomo che amava, dall’altro la consapevolezza che la battaglia alla quale aveva dedicato con determinazione tutte le sue residue forze quell’ultimo anno per assicurare alla giustizia il mandante e gli esecutori materiali di quel feroce assassinio, era definitivamente persa. Erano tutti rimasti liberi e impuniti e il giorno della giustizia che lei tanto aspettava non sarebbe mai arrivato. Anzi, il prepotente duca di Borgogna, proprio lui che aveva avuto lo spudorato coraggio di dichiarare apertamente che aveva fatto assassinare suo marito ‘per difendere il re e per il bene della Francia‘, ora spadroneggiava su Parigi, mentre la famiglia reale (sulla quale lei aveva riposto tutte le sue residue speranze di aiuto), era in fuga dalla Capitale.

Negli ultimi momenti, aveva avuto attorno a sé tutti i suoi quattro figli: Carlo (14 anni), Filippo (12), Giovanni (8), e Margherita (2). Gli altri erano morti. Raccomandò loro di portare avanti instancabilmente la sua battaglia (compatibilmente con la loro età) affinché giustizia fosse fatta al loro padre, con la punizione esemplare dei colpevoli di quel delitto.

Assieme a loro, al suo capezzale c’era un quinto bambino (6 anni), Giovannino (Jean de Dunois), non figlio suo, ma del marito, frutto di un amore clandestino che Luigi ebbe con Mariette d’Enghien, bimbo che, abbandonato da sua madre, Valentina, con nobiltà d’animo, volle accogliere in famiglia, come fosse figlio suo. Jean non si vergognò mai del soprannome ‘Bastardo d’Orléans‘ che lo contraddistinse per gran parte della sua esistenza. Ci tenne a mantenerlo, interpretandolo come segno di rispetto sia nei confronti dell’importante famiglia ducale che lo aveva allevato, che del sovrano, di cui era primo cugino.  

Jean de Dunois, il Bastardo d’Orléans

I funerali della duchessa d’Orléans si celebrarono nella chiesa parrocchiale Saint-Sauveur (San Salvatore) del castello di Blois, con tutta la solennità prevista dal protocollo nel caso di esequie per i membri della famiglia reale.

Aveva lasciato scritto nel suo testamento l’intenzione di essere sepolta a Parigi, nella chiesa dei Celestini accanto alla tomba del suo sposo e a quelle delle altre quattro, dei suoi figli, morti tutti in tenera età. Per motivi politici, la sua tumulazione a Parigi, era però, al momento, preclusa (dato che il padrone della città era il duca di Borgogna, Giovanni senza Paura). Si sarebbe dovuto pertanto attendere a lungo che mutasse la situazione politica. Per il momento la bara di Valentina fu portata al convento dei Frati Minori e sistemata in un monumento di bronzo al centro della chiesa. Il suo cuore fu invece portato a Parigi e deposto accanto alla tomba del suo sposo presso la chiesa dei Celestini. Pare che si dovette attendere fino al 1446 perché il desiderio di Valentina di riposare accanto al marito, potesse essere finalmente esaudito.

Valentina Visconti è oggi sepolta nella basilica di Saint-Denis, il sacrario dei Re di Francia.

Monumento funebre di Valentina Visconti, nella basilica di Saint-Denis a Parigi

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