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Valentina Visconti (prima parte)

Premessa

Raramente, leggendo articoli sui Visconti, si sente fare il nome di Valentina, eppure mettersi a raccontare la storia di questa casata, senza parlare anche di lei e della sua vita, mi pare non solo ingiusto, ma storicamente inaccettabile, visto che, in suo nome, si sono succeduti, nei secoli successivi, eventi tali da sconvolgere la storia di Milano. E in effetti, piuttosto poco si conosce di lei, non essendo moltissimi i documenti che si riescono a reperire sul suo conto. Come mai? Forse perché in quanto donna, non essendo destinata a ruoli di particolare rilievo nella società maschilista di allora, non si riteneva avesse diritto a particolare menzione, oppure più probabilmente perché, essendo vissuta per tanti anni in Francia, la duchessa d’Orléans, la “Valentine de Milan”, più legata ai destini francesi che non italiani, finì praticamente “quasi dimenticata” dagli storici nostrani di allora, troppo impegnati a seguire invece le imprese degli irrequieti parenti maschi del suo casato. Comunque, pur trascorrendo gran parte della sua non facile esistenza in un periodo storico decisamente turbolento, ebbe il merito di riuscire sempre a destreggiarsi egregiamente, distinguendosi per la sua affabilità, intelligenza, stile e cultura, non dimenticando mai le sue origini italiane.

Impossibile comunque parlare di lei senza accennare (magari solo brevemente), al contesto storico del periodo, piuttosto difficile, dei due Paesi in cui è vissuta: in Italia, a Pavia, nei suoi primi diciotto anni, fino al momento del suo matrimonio, e successivamente in Francia, per il resto della sua breve e tribolata esistenza. Morì infatti ancora giovane all’età di soli 37 anni, lasciando comunque ai posteri, pur agendo nell’ombra, da fiera e degna Visconti, un segno più che tangibile del suo passaggio.

Chi era Valentina

Siamo a Pavia nella seconda metà del XIV secolo, verso la fine del basso Medioevo.

Valentina nacque nel Castello Visconteo, fatto costruire da suo nonno Galeazzo II, a Pavia, nel 1360, pochi anni prima che lei venisse al mondo. [Ndr. – In testata, la foto del cortile interno del Castello di Pavia].
Figlia di Gian Galeazzo Visconti (1351 – 1402), era, in ordine di tempo, la terza (ed unica figlia femmina), dei quattro pargoli, che gli diede la prima moglie, Isabella di Valois (1348 – 1372), ultima figlia di re Giovanni II di Francia, detto il Buono.
Essendo andati persi i documenti, non si conosce esattamente la sua data di nascita: si è certi tuttavia che vide la luce negli anni fra il 1369 e il 1371, visto che i due fratelli maggiori Gian Galeazzo ed Azzone, erano nati rispettivamente nel 1366 e 1368, mentre il minore Carlo, (nato morto), nel 1372.

Un angolo del Castello Visconteo di Pavia
Albero genealogico dei Visconti

Valentina era quindi piccolissima, quando sua madre Isabella, dando alla luce il suo quarto figlio Carlo, nel 1372, morì all’età di soli 24 anni, per complicazioni in seguito al parto. Essendo una principessa molto ben voluta dalla gente la notizia di quella morte così inattesa ed improvvisa lasciò tutti sgomenti e quello fu un lutto molto sentito dai sudditi di Galeazzo II Visconti (nonno paterno della piccola). Per la cronaca, questi era Signore di Alessandria, Alba, Asti, Como, Tortona, Novara, Pavia,  Vercelli, Bobbio, Piacenza e, unitamente al fratello minore Bernabò, pure co-Signore di Milano.

Isabella di Valois (1348-1372), la madre di Valentina

Il Conte di Virtù (così era anche chiamato Gian Geleazzo dal nome di Vertus in Champagne, titolo che gli aveva portato in dote la moglie Isabella di Valois), all’età di soli 21 anni, si trovò già vedovo, con tutta una vita davanti e tre figli da accudire ancora tutti n tenera età. In quei primi anni quindi, si presero cura dei bambini e particolarmente dell’ultima nata, sia la nonna Bianca di Savoia (moglie di Galeazzo II, e madre di Gian Galeazzo) che la giovane zia Violante (sorella del Conte di Virtù). Quest’ultima, a dire il vero, ebbe modo di prendersi cura della piccola solo fino al 1377, anno in cui se ne andò da Pavia, convolando a nozze con tale Secondotto, marchese del Monferrato.

Fu quindi principalmente la nonna ad occuparsi dell’educazione della nipotina, soggetto che si rivelò fin da subito di un’intelligenza vivace, spigliata e molto ricettiva. Nonna Bianca, buona d’animo, dolce con tutti, caritatevole con i bisognosi, ed anche colta, si prodigò ad nsegnare tali valori alla piccola, unitamente alla devozione, alla disponibilità verso tutti, all’irreprensibilità, qualità queste, ai tempi, davvero assai rare, soprattutto negli ambienti di Corte.

A differenza di quanto di possa pensare, all’epoca, in Italia, l’educazione impartita alle giovani delle classi sociali medio-alte, era decisamente superiore a quella che si praticava del resto d’Europa e sicuramente di gran lunga migliore rispetto a quella dei periodi successivi. Non si trattava solo di insegnare loro a leggere, scrivere o saper fare di conto, cose sicuramente utili per i commerci, ma soprattutto di riuscire a stimolare il loro interesse, la curiosità connaturata al loro spirito, cosa questa che avrebbe loro consentito poi di coltivare autonomamente , e man mano ampliare, le conoscenze acquisite. [ Ndr. – pratica quest’ultima, nella scuola di oggi, totalmente inesistente ]

Ndr. – Siamo ai tempi di DantePetrarca e Boccaccio, i tre più grandi poeti del Trecento. Dante Alighieri, aveva da poco scritto la ‘Divina Commedia’, Petrarca, il suo ‘Canzoniere’, Boccaccio, il famoso ‘Decamerone’.
Bianca di Savoia ebbe modo addirittura di ospitare per qualche tempo nel castello di Pavia Francesco Petrarca, amico oltre che consigliere del marito Galeazzo II.

Non si sa con precisione quale fosse il livello di conoscenze di Valentina. Si sa per certo che era colta e che conosceva bene sia la lingua dei Valois, il francese, che quella dei Visconti, l’italiano. Pare conoscesse pure il tedesco, visto che nell’inventario dei manoscritti che portò con sé da Milano, ne figuravano alcuni in tedesco.

Anni difficili in famiglia

Nonostante la nonna, particolarmente con Valentina, fosse adorabile, cercando pure di giocare con lei e farla divertire, non si può dire che la bimba ebbe un’infanzia totalmente spensierata e serena, visto che, oltre ad essere rimasta orfana di madre in tenerissima età, i suoi primi anni furono funestati da altri tre lutti uno di seguito all’altro che colpirono la famiglia: dapprima, nel 1374, la morte del fratellino maggiore Gian Galeazzo – 8 anni – (morte della quale, quasi sicuramente lei non si rese nemmeno conto, essendo ancora troppo piccina), quindi, nel 1378, quella dell’amato nonno (Galeazzo II), ed infine, nel 1380, quella sicuramente più sentita, perché ormai grandicella, di Azzone, l’altro fratellino deceduto all’improvviso all’età di soli 11 anni, suo inseparabile compagno di giochi.

A questo proposito, per chi già non conoscesse gli antefatti, faccio una breve digressione, per far capire il clima che si viveva in famiglia proprio in quegli ultimi anni.

A parte le apparenze di facciata, in realtà mai, a memoria di Gian Galeazzo, i rapporti con lo zio Bernabò e la sua famiglia, erano stati idilliaci. Per evitare pericolose discussioni, fin dall’inizio, suo padre, conoscendo bene il caratterino spregiudicato del fratello, aveva deciso di lasciargli campo libero a Milano (pur mantenendo il ruolo di co-Signore), andandosene a vivere con la famiglia a Pavia, lontano da lui. Bernabò, tiranno molto sospettoso di tutto e di tutti, aveva instaurato con i suoi 5000 feroci mastini, un clima di terrore in città. Temendo si cospirasse nei suoi confronti, aveva piazzato sue spie ovunque, soprattutto in casa del fratello (a Pavia), nella convinzione che Galeazzo II tramasse contro di lui e la sua famiglia. Naturalmente il discorso era reciproco e il livello di fiducia fra fratelli si misurava dal numero di spie che l’uno piazzava in casa dell’altro a sua insaputa. Parenti serpenti, …. come correttamente dice il noto proverbio!
Informato quindi dalle sue spie, di ogni mossa di Galeazzo II e della sua famiglia, Bernabò detestava sia fratello, perché non la pensava come lui, sia la cognata, che sparlando davanti ai figli, di lui e delle sue imprese lo screditava ai loro occhi. Disprezzava il nipote (Gian Galeazzo) fin da piccolo, ritenendolo un buono a nulla ed un incapace solo perché non sapeva maneggiare la spada come invece erano capaci i suoi cuginetti (cioè i suoi figli). In realtà suo fratello, non essendo guerrafondaio come lui, aveva lasciato che il figlio esprimesse liberamente le proprie tendenze senza forzarlo alla pratica delle armi (che il piccolo non amava). Fra zio e nipote, caratterialmente molto diversi, non era quindi mai corso buon sangue e la stima fra i due, era, praticamente da sempre, ai minimi storici.
Essendo queste le premesse, venendo (un domani) a mancare suo fratello, era chiaro quanto la presenza di quel nipote (erede legittimo del padre), avrebbe dato fastidio a Bernabò, una volta al potere con lui. L’obiettivo era naturalmente di estrometterlo. Ma come? Infangandolo naturalmente e gettando discredito su di lui in modo da giustificare la sua estromissione dalla co-Signoria di Milano e realizzare il suo sogno una volta che, quasi se lo aspettasse, sarebbe venuto a mancare il fratello.

Ora, essendo effettivamente morto Galeazzo II, il padre di Valentina, ereditato da lui il ruolo di co-Signore di Milano, non ebbe più molto tempo da dedicare alla figlia e, visto il clima di diffidenza che si era instaurato con lo zio ,dovette anche guardarsi le spalle, per non cadere nelle trappole tese da lui, a suo danno. Arrivò persino alla convinzione che fosse stato lo zio (che troppo premurosamente aveva inviato i suoi medici personali al fratello che stava male) a procurare la morte a suo padre al solo scopo d’impadronirsi di tutta la Signoria.

Trovando nel nipote (evidentemente meno inetto del previsto) una inattesa resistenza nel tentativo di portare felicemente a termine i suoi piani, Bernabò, per piegare Gian Galeazzo alle sue volontà, dopo vari tentativi andati a vuoto. giocò astutamente la carta del cuore, cambiando strategia. Sapendo che, da anni, il giovane era rimasto vedovo, per poterlo tenere in pugno e comandare a bacchetta, decise di diventare suo suocero offrendogli la diciottenne Caterina (1362-1404) una delle sue figlie più belle. Diventò improvvisamente amorevole ed affettuoso con lui, favorendo in tutti i modi la loro unione e insistendo presso il papa perché ai futuri sposi (fra loro, primi cugini) venisse concessa la dispensa necessaria per il matrimonio fra consanguinei. La celebrazione dello stesso, fissata per il 15 novembre 1380, presso la chiesa di San Giovanni in Conca, avvenne in circostanza incredibili: ironia della sorte, la mattina delle nozze, a Pavia, si era spento il piccolo Azzone, figlio dello sposo (da qualche tempo costipato). ,Agli occhi di zio Bernabò, questa scusa non fu una motivazione sufficiente per rimandare di qualche settimana le nozze della figlia (cerimonia programmata nel primo pomeriggio di quel giorno).
[ Ndr. – Lascio immaginare in quali condizioni di spirito lo sposo ed i suoi parenti di Pavia abbiano partecipato a quella cerimonia, irrimandabile per il tiranno, per non parlare poi del seguito …. la sera a Pavia con la sposina da una parte e il morto dallaltra!]

Per ulteriori dettagli a proposito di questo matrimonio, clicca sul seguente link:
Matrimonio da incubo fra Gian Galeazzo e Caterina Visconti

Quindi, a partire dal novembre del 1380, Caterina (allora diciottenne), oltre ad essere già cugina di Valentina, sposandosi col padre di lei, diventò, suo malgrado, anche la sua matrigna!

La ricerca del miglior partito per la figlia

Tornando indietro di qualche mese, già dall’inizio di quell’ anno (1380), Gian Galeazzo (che ancora non immaginava si sarebbe sposato a breve con la cugina), aveva iniziato autonomamente, a cercare un partito appetibile per Valentina, ormai già grandicella. Alla data, la piccola aveva nove o dieci anni, ed era già tardi, considerando che all’epoca, si cercava di accasare il proprio figlio o figlia già a tre, quattro, sei anni al massimo: nessuno scandalo comunque, a quei tempi, fra le famiglie potenti (quelle cioè che contavano), questa era una prassi molto comune. Si trattava in pratica di promesse di matrimonio (spesso farlocche, visto che nel tempo le cose spesso cambiavano), combinate a tavolino fra i genitori dei futuri sposi, a garanzia di alleanze politiche fra le rispettive casate. Il ritardo della sua entrata in gioco, nel caso di Valentina, era giustificato dai quattro devastanti lutti che, nell’arco di quei pochi anni, avevano così duramente colpito la famiglia.

La proposta di Bernabò

Avuto sentore della cosa e atteso di diventare suo suocero, approfittando del recente miglioramento dei rapporti col nipote, Bernabò, sempre fedele al suo disegno di piegarlo alla sua volontà, lo indusse a promettere che avrebbe concesso la mano della piccola Valentina, (una volta raggiunta la maggiore età) a Carlo, uno dei suoi innumerevoli figli, solo una decina d’anni più vecchio di lei. Questa operazione in famiglia, agli occhi di Bernabò aveva tre scopi precisi: collocare uno dei suoi 35 figli, avere totalmente in pugno il futuro genero, ed infine non disperdere ,con un matrimonio in famiglia ,il patrimonio dei Visconti. Per dimostrare al nipote la serietà delle sue intenzioni, si adoperò attivamente (con generose elargizioni) presso papa Urbano VI, per ottenere da lui la necessaria dispensa per le nozze fra consanguinei (visto che Valentina e Carlo erano fra loro cugini).

Valentina Visconti

Nonostante l’autorizzazione prontamente accordata dalla Santa Sede, non se ne fece nulla. La firma di approvazione del padre di Valentina era stata apposta su quel documento, solo per compiacere il suocero, tacitando per un po’, le sue pressanti, noiose richieste. In realtà, molto più accorto di quanto desse ad intendere a suo zio, già da tempo, Gian Galeazzo stava maturando altro tipo di progetti ed aveva mire ben più ambiziose, carte queste che avrebbe scoperto a tempo debito, qualche anno più tardi.

Non aveva mai presa in seria considerazione l’idea di quell’alleanza in famiglia con lo zio-suocero (sul comportamento del quale, nonostante le apparenze contrarie, lui continuava a diffidare). Capitatagli infatti un’interessante opportunità, spregiudicatamente usò la tecnica della promessa di matrimonio della figlia, teoricamente già impegnata con Carlo, per stipulare, all’insaputa del suocero, alleanze più potenti, con quanti potessero aiutarlo, in caso di bisogno, a portare a termine i suoi segreti disegni tesi a consolidare la sua posizione e magari pure , ad espandere i confini della Signoria. Aveva ovviamente motivi molto speciali per stipulare subito simili alleanze …. la bomba stava per scoppiare!

NOTA STORICA
Il 6 maggio 1385, Gian Galeazzo ordì, a Milano, un colpo di Stato contro suo zio. Bernabò venne catturato ed imprigionato dal nipote, che prese il potere della citta in modo non del tutto ortodosso.
L’unione di Milano e Pavia sotto la sua autorità, oltre a mettere in allarme diverse Cancellerie straniere, fece enorme scalpore, risvegliando vecchi dissapori sopiti fra i vari Staterelli italiani, che si sentirono improvvisamente minacciati.

Per ulteriori dettagli a proposito di questo colpo di Stato, clicca sul seguente link:
Bernabò e Gian Galeazzo Visconti

All’inizio, Gian Galeazzo aveva pensato ad un apparentamento con un principe tedesco, Giovanni, fratello di Venceslao imperatore del Sacro Romano Impero, figlio dell’imperatore Carlo IV di Lussemburgo. E aveva cominciato ad operare in tal senso. Poi, a trattative già quasi in porto, cambiò idea, optando per Luigi, conte di Valois e duca di Turenna, fratello del re di Francia Carlo VI. Come mai questo voltafaccia improvviso?

Pura questione di opportunità; basta infatti far caso ai nomi e alle date evidenziate. Re Carlo VI di Francia, il 17 luglio 1385, aveva sposato Isabella di Baviera nella cattedrale di Amiens. Il nonno materno di Isabella di Baviera era, guarda caso, proprio Bernabò Visconti, che Gian Galeazzo aveva appena fatto imprigionare nel castello di Trezzo d’Adda, dopo averlo catturato e deposto, due mesi prima, quel famoso 6 maggio 1385. La madre di Isabella di Baviera, regina di Francia, era Taddea Visconti, la prima figlia di Bernabò, sposata a Stefano di Baviera il Giovane.

Il colpo di Stato di Gian Galeazzo venne subito stigmatizzato dal marito di Taddea che anzi minacciò un intervento militare per liberare il suocero. qualora non avesse provveduto a farlo immediatamente, il Signore di Milano.

Isabella di Baviera, moglie di Carlo VI re di Francia

Se, per compiacere la sua giovane sposa, anche il re di Francia (genero di Stefano) avesse avuto in animo un intervento armato in Lombardia per vendicare il nonno di sua moglie ? La cosa era indubbiamente probabile, e, in quel caso, sarebbero stati guai seri! Come avrebbe potuto Gian Galeazzo parare questa evenienza? Valentina avrebbe potuto essere la carta vincente! Come? Abbandonando subito le trattative già avviate con la corte tedesca e facendo invece sposare la figlia a Luigi, il tredicenne conte di Valois, fratello di Carlo VI re di Francia. [ Ndr. – conte di Valois era il titolo che spettava di diritto l fratello del re ].
Sposando Valentina, il giovane Luigi, molto influente sulle decisioni del fratello re, avrebbe così potuto perorare la causa del (futuro) suocero neutralizzando le idee di vendetta di Carlo VI, con l’aiuto della (futura) moglie. La cosa era fattibile : Luigi aveva, alla data, solo tredici anni, Valentina, quattordici o quindici. In teoria nulla impediva il loro matrimonio, non essendo obbligatorio che si unissero subito!

Ndr. – La carta “Luigi. conte di Valois fu, per Gian Galeazzo, un autentico asso nella manica, un colpo di fortuna davvero insperato, che lui, furbescamente, colse al volo.
Risulterebbe infatti che, già nel 1374, Carlo V di Francia avesse concordato, col re d’Ungheria, una promessa di matrimonio del proprio figlio Luigi (che allora aveva solo tre anni), con la figlia maggiore di quel re. Tale accordo era stato stipulato dal re di Francia essenzialmente per assicurarsi il regno di Napoli, su cui l’Ungheria vantava pretese. Morta però prematuramente la fidanzatina di Luigi, si pensò di sostituirla con Maria, la secondogenita del re d’Ungheria.
Nel settembre del 1385 (cioè dieci anni dopo), il giovane Luigi, col suo seguito, decise di partire da Parigi alla volta dell’Ungheria, per andare a sposare Maria (che lui non conosceva affatto). Non arrivò ad oltrepassare il Danubio: durante il viaggio infatti, venne a sapere che Maria era già fidanzata da tempo col futuro re d’Ungheria, Sigismondo (secondogenito di Carlo IV di Lussemburgo). Essendo questi, venuto a conoscenza del motivi del viaggio in Ungheria del pretendente francese, era corso in soccorso della fidanzata e, con un manipolo di soldati, l’aveva rapita, portandola via con sé !
Così a Luigi non restò che ritornarsene a Parigi, a mani vuote, senza particolari rimpianti!

Le trattative di Gian Galeazzo con Parigi, ebbero quindi inizio nel dicembre 1385 o all’inizio del 1386. L’urgenza di concludere l’accordo prima possibile, era dettata dal timore che, se Stefano di Baviera fosse passato dalle minacce ai fatti, alleandosi al re di Francia, avrebbe indotto Firenze (acerrima nemica dei Visconti) ad approfittare dell’occasione per unirsi a loro, creando assieme anche agli altri Staterelli italiani che avessero aderito, una coalizione anti-Viscontea troppo forte, per poterla battere.

Le lunghe trattative condotte fra le parti nel 1386, andarono a buon fine anche perché Valentina aveva sangue reale francese nelle sue vene. Sua madre infatti, Isabella di Valois, era sorella di re Carlo V (detto il Saggio). L’attuale re Carlo VI ed il fratello Luigi, erano figli di Carlo V di Francia e di Giovanna di Borbone. Valentina quindi era prima cugina sia di re Carlo VI che di Luigi. Trattandosi di matrimonio fra consanguinei, non vi furono particolari difficoltà nemmeno per la necessaria dispensa accordata loro da Clemente VII, papa di Avignone riconosciuto dalla Francia.

NOTA STORICA
Siamo nel quarantennio (dal 1378 al 1418), del cosiddetto Scisma d’Occidente. La crisi dell’autorità papale che lacerò la Chiesa Occidentale, fu causata dallo scontro tra papi e antipapi per il controllo del soglio pontificio, situazione questa, che divise l’Europa cristiana in due correnti rivali. La crisi ebbe origine in un contesto di trasformazione dell’antico sistema feudale non più rispondente alle esigenze di una società in rapido cambiamento.  Durante lo scisma, vennero create due Chiese in Europa: quella d’Avignone riconosciuta da Francia, Lorena, Scozia e dal regno di Castiglia, e quella di Roma appoggiata invece dagli Stati Italiani.

Il contratto capestro

Insomma, nel 1387, era praticamente tutto fatto: il consenso al matrimonio era stato ratificato da ambo le parti interessate: mancava solo che Valentina e Luigi, che non si conoscevano ancora, si incontrassero per la celebrazione delle nozze. Passarono invece altri due anni prima che i due futuri sposi potessero vedersi e andasse in porto il loro matrimonio. In base agli accordi sottoscritti fra i delegati delle due parti, si era convenuto che il Signore di Milano avrebbe dovuto versare, al re di Francia, prima delle nozze, la stratosferica somma di 400.000 fiorini d’oro, oltre a cedere la contea di Asti, il suo contado e molti castelli del Piemonte. In cambio la figlia Valentina avrebbe avuto la possibilità di succedere al trono di Francia, qualora Carlo VI fosse morto, senza lasciare eredi maschi.
Non essendo il Conte di Virtù in grado, nel 1387, di versare integralmente quella somma cosi rilevante, anche svuotando le casse dello Stato, fu costretto a riaprire la discussione sulle clausole del contratto matrimoniale della figlia per chiedere ai francesi dilazioni di pagamento, in modo da permettergli di racimolare quella considerevole somma, che poi la figlia avrebbe portato con sé in Francia. Naturalmente ogni ritardo nella raccolta del danaro avrebbe comportato analogo ritardo nel matrimonio di Valentina.
Alla fine si concordò per 250.000 fiorini d’oro subito (prima delle nozze) e i restanti 150.000, dopo.
L’operazione “matrimonio di Valentina” sollevò non pochi malumori tra il popolo che, già oberato di tasse , dovendosi accollare anche gli oneri di tale nuovo contratto, fu costretto per alcuni anni a sobbarcarsi in sovrappiù questo nuovo salatissimo balzello.

La sua partenza per la Francia

Una volta racimolato l’importo pattuito, si organizzarono a Milano grandi festeggiamenti per onorare la partenza di Valentina per la Francia.

Arrivata in città il 12 giugno 1389, vi rimase fino al 22 giugno, quindi, prima di partire per il lungo viaggio, tornò a Pavia per salutare suo padre che non aveva potuto presenziare ai festeggiamenti. Le cronache riferiscono che questi, per non piangere di commozione di fronte a lei nell’ultimo abbraccio, sapendo che quello non sarebbe stato un arrivederci, ma un addio definitivo, aveva preferito allontanarsi prima che arrivasse, e non incontrarla del tutto. Avrebbe sicuramente avuto in seguito sue notizie, ed anzi avrebbe scambiato con lei pure frequenti messaggi, ma non l’avrebbe mai più rivista!
Da padre premuroso comunque, si era preoccupato del suo viaggio e della sua incolumità personale prendendo accordi col principe di Acaia, Amedeo di Savoia, perché scortasse la figlia durante il pericoloso viaggio attraverso le Alpi fino a Mâcon , proteggendola dai banditi, in caso di necessità. In quella località avrebbe trovato ad attenderla la scorta inviata dal re di Francia e da suo fratello Luigi, e a questo punto, avrebbe potuto tornare indietro.
Fra nobili, scudieri, soldati e servitori, la scorta a Valentina, fu davvero imponente. Si dice fossero più di milletrecento i cavalieri di scorta alla giovane futura sposa. C’è da crederci, visto che non si trattava solo di proteggere lei dai malintenzionati, ma soprattutto quanto portava con sé, dai 250.000 fiorini d’oro pattuiti come anticipo, al suo corredo e agli altri oggetti che si era portata dietro.

Scartabellando fra i documenti dell’Archivio Nazionale di Parigi, Camus così riassunse l’inventario di tali oggetti …

“Oltre a tessuti di lusso, agli arazzi, ed ai servizi da tavola, vi si trovano moltissime opere d’arte in oro, argento, avorio, diaspro, madreperla, ambra, corallo, cristallo, ornati da pietre preziose, smalti, cammei. Non si contano meno di centocinquanta diamanti, ventotto smeraldi, trecentodieci zaffiri , quattrocentoventicinque rubini e più di settemila perle”.

Per la lettura della seconda parte di quest’articolo, cliccare sul seguente link:
Valentina Visconti (seconda parte)

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