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L’autostrada Milano-Varese

Premessa

Pochi sicuramente sono a conoscenza, che noi italiani vantiamo un primato mondiale in campo autostradale e che la prima autostrada costruita al mondo è proprio la nostra A8, la Milano-Varese! Chiunque ne sarebbe orgoglioso, noi no! Sembrerebbe logico, data l’eccezionalità della cosa, farlo sapere a tutti, evidenziando questo record assoluto, a caratteri cubitali, su un bel cartello posto agli ingressi di quell’autostrada, come ottimo biglietto da visita per le migliaia di turisti stranieri che la percorrono ogni anno. Non mi risulta ci sia nulla di tutto questo! Ma, si sa, l’italiano è spesso autolesionista e, vuoi per ignoranza, trascuratezza o ragioni politiche, su certe notizie, preferisce “sorvolare”! “E’ meglio che la cosa non s’abbia a sapere”!

Comunque, data l’eccezionalità della notizia, penso valga la pena, quanto meno a titolo di curiosità, ripercorrere sinteticamente le vicende che portarono alla costruzione delle prime autostrade italiane e a questo incredibile primato.

Abituati come siamo a ‘percorrerle e viverle’, come fossero sempre esistite, fa specie oggi pensare che, solo cento anni fa, le autostrade non erano state ancora ‘inventate’. Eppure è proprio così! E’ un po’ analogo al discorso dei semafori che pensiamo ci siano sempre stati e invece … il primo semaforo in Italia, fu un bel pesce d’aprile per i milanesi, quel lontano 1 aprile del 1925!

Leggi l’articolo sul primo semaforo in Italia

Come in tutto, c’è sempre una prima volta. Dev’ essere un vizio tutto italiano, quello di partire quasi sempre col piede sbagliato: non ci smentiamo proprio mai! Poi magari, alla fine, recuperiamo e ci prendiamo anche la rivincita, eccellendo sugli altri … la storia insegna! Questo discorso delle autostrade è abbastanza anomalo, ma per capirlo, bisogna necessariamente partire da lontano …

I primi veicoli a motore

Per entrare subito in argomento, torniamo indietro di qualche secolo: 1769 per la precisione. La Francia avvia quell’anno, con il resto dell’Europa, una competizione a livello ‘tecnologico’, annunciando con orgoglio, il suo primo veicolo a vapore, quello di Cugnot.

macchina a vapore di Nicholas Cugnots
macchina a vapore di Nicholas Cugnot

Si trattava di un veicolo, universalmente riconosciuto come la prima automobile della storia. Tale marchingegno consisteva in un carro a tre ruote dal telaio in legno, con ruota anteriore motrice e sterzante. Il motore di questo mezzo era a vapore, funzionante con una grossa caldaia sistemata anteriormente, che forniva sufficiente potenza per muovere due cilindri verticali di 325 mm di alesaggio e 387 mm di corsa, per una cilindrata totale di circa 62.000 cm³.

Cugnot aveva studiato il modo per far muovere il veicolo, ma tralasciò il sistema frenante, così durante uno dei primi esperimenti il carro a vapore finì addosso ad un muro del quartiere dove Cugnot conduceva i suoi esperimenti: l’impianto frenante non fu in grado di frenare una massa di 4,5 tonnellate. [rif. Wikipedia]

Macchina a vapore di Cugnot
Macchina a vapore di Cugnot

Cento anni di silenzio, dovuti anche al periodo delle guerre napoleoniche, ed ecco che, nel 1886, la Germania risponde alla sfida dei francesi, col suo primo veicolo a benzina, la Patent Motorwagen, ideata da Karl Benz, con motore da 2,5 CV

Patent Motorwagen ideata da Benz nel1886
Patent Motorwagen ideata da Benz nel 1886

Si tratta della prima autovettura equipaggiata con motore a scoppio. La nascita di questa autovettura si deve a due eventi avvenuti in precedenza. Nel 1876 Nikolaus August Otto realizza il primo motore a quattro tempi e 7 anni più tardi, nel 1883, l’ingegnere Karl Benz fonda la Benz & Cie. Rheinische Gasmotorenfabrik.
Karl Benz voleva realizzare un mezzo che fosse anche leggero e quindi molto più maneggevole di quanto non fosse una vettura a vapore. Inizialmente, nelle intenzioni di Benz, il mezzo doveva essere a quattro ruote, ma il vulcanico ingegnere non riuscì a trovare un modo per far sterzare l’asse anteriore in maniera soddisfacente, per cui decise di ripiegare sulla soluzione dell’avantreno ad una sola ruota. La vettura finale sarebbe stata quindi un triciclo, mosso sfruttando la potenza fornita da un motore a scoppio, sull’onda nascente della realizzazione di Nikolaus Otto.
[rif. Wikipedia]

Benz guida la sua creazione
Benz guida la sua creazione

Due anni dopo (1888), Bertha Benz, la moglie di Karl, fu la prima donna al mondo a fare, con i due figli, un avventuroso viaggio di circa 100 km da Mannheim a Pforzheim, con la Patent Motorwagen del marito (peraltro a sua insaputa!). Con il suo viaggio, dimostrò che l’automobile era un mezzo che tutti potevano usare e il suo coraggio fu determinante per il successo di questa invenzione rivoluzionaria.

Bertha Benz

E noi qui in Italia? In questo campo, nulla, silenzio assoluto … stavamo a guardare alla finestra! C’era, a dire il vero, fra le leggi sabaude che, al momento della proclamazione dell’unità, l’Italia si era trovata a dover gestire, una già in vigore dal 1855, confermata poi, dieci anni più tardi, nella successiva legislazione italiana. Questa legge proibiva la costruzione di una strada importante tra due località, se le stesse erano già servite, fra loro, da una linea ferroviaria. Esplicitamente, la legge non faceva riferimento alle automobili, tuttavia in realtà, significava voler privilegiare il trasporto su strada ferrata piuttosto che quello su gomma, relegando quest’ultimo ad una posizione subalterna, limitata al traffico locale. Era una scelta politica discutibile, ma comunque valida, come tante altre. L’unica nota stonata, è che era una voce fuori dal coro, cioè una scelta che andava in contro tendenza rispetto a quanto stava avvenendo nel resto dell’Europa. Cosa che amplificò ulteriormente, invece che ridurla, la nostra già evidente arretratezza tecnologica in questo campo, rispetto alle altre grandi nazioni europee.

L’intera Europa, vedeva nell’automobile, una prospettiva di progresso e quindi tutti si stavano attrezzando in tal senso; l’Italia invece, decretando per legge l’assoluta supremazia della strada ferrata, restava praticamente ferma al palo o quasi, per quanto riguarda la produzione di autovetture. Naturalmente questa scelta politica, era una sorta di scommessa, che avrebbe potuto andare bene o male. Valutata a consuntivo, i dati statistici decretarono dei risultati, a dir poco, disastrosi, se confrontati con quelli dei nostri vicini.

Dati statistici rilevati nel 1922

I numeri danno chiaramente l’idea del fenomeno: appare abissale il distacco tra il nostro parco automobilistico a livello nazionale, rispetto a quello degli altri più grandi paesi europei.

Il parco automobilistico

Escludendo dal computo camion ed autobus, in Europa gli inglesi erano decisamente al primo posto con qualcosa come 600.000 vetture circolanti; a netta distanza seguivano i cugini francesi con 300.000 automobili, qui da noi in Italia, 41.000 in tutto (di cui circa la metà circolanti in Lombardia). Facendo le debite proporzioni in rapporto alla popolazione, si potevano contare, a quella data, già 15 auto ogni 1000 abitanti in Inghilterra, contro le 8 della Francia e 1 sola dell’ Italia! Del tutto inconfrontabile poi, il rapporto con l’America, dove, con una circolazione già allora, di circa 10 milioni di automobili, si contavano 100 autovetture ogni 1000 abitanti.

Le strade ferrate

Nonostante la nostra politica fosse orientata verso il potenziamento delle strade ferrate, la situazione non ci era molto favorevole: eravamo piuttosto indietro anche su quel fronte. Sarà stato per l’orografia del territorio (essendo l’Italia molto montuosa), certo è che l’Inghilterra vantava alla data, 1,2 km di ferrovia ogni 1000 abitanti; la Francia, 1 km; gli Stati Uniti (sempre esagerati) ben 4 km; l’Italia, fanalino di coda, solo 500 metri. Quindi praticamente eravamo buoni ultimi già allora, anche in campo ferroviario!.

Come annullare il ‘gap’ tecnologico?

Come avrebbe potuto l’Italia recuperare il tempo perduto? Ed ecco un ingegnere trentanovenne, tal Piero Puricelli (1883 – 1951), milanese, figlio di Angelo, imprenditore del settore stradale, sfoderare dal cilindro del suo cappello, un’ idea tanto semplice, quanto geniale:

Costruire una strada ‘veloce’, ad uso esclusivo dei mezzi a motore, capace di unire direttamente fra loro due città, senza i problemi delle strade “normali”, facendo pagare un pedaggio a chi la usa, quale contributo sia alle spese sostenute da chi l’ha costruita, che a quelle della sua gestione e manutenzione.

Piero Puricelli
ing. Piero Puricelli

A pensarci, è difficile oggi, per tutti noi, immaginare un mondo senza autostrade. E forse, allora era difficile pensare l’inverso, cioè immaginarne uno, dotato di “strade veloci” che migliorassero gli spostamenti. Il parco macchine di cui disponevamo, non giustificava sicuramente idee simili! La genialità del Puricelli, sta nel fatto che i suoi studi di fattibilità e il progetto di ‘strada veloce’ che stese, furono fatti sulla base di previsioni, non su dati e necessità reali! Cioè lui lavorò nella convinzione che anche l’Italia avrebbe finito per seguire a breve, l’orientamento degli altri paesi europei. Nessuno gli commissionò nulla e questa progettazione venne fatta quasi un anno prima che Benito Mussolini diventasse primo ministro.

Puricelli, conte di Lomnago, allora, incarnava l’autentico giovane italiano del XXmo secolo, legato al mito della modernità e della velocità, in netta contrapposizione con quella che era stata fino allora, la società italiana, ancorata ai vecchi schemi. Bisogna dargli atto, che, sotto questo punto di vista, lui fu uno di quei “visionari” che riuscì a intravedere in questo suo progetto, una delle leve fondamentali per la crescita e lo sviluppo del nostro Paese sia in termini commerciali che turistici. Questa idea, allora, era effettivamente originalissima, prova ne sia che non vi aveva pensato ancora nessuno dei nostri partner sia europei, che d’oltre oceano.

A proposito di velocità, Piero Puricelli, proprio quell’anno, aveva già fatto parlare di sé a livello internazionale. Insieme ad Arturo Mercanti (direttore dell’Automobile Club di Milano) e all’ingegnere Alfredo Rosselli, aveva steso nel 1921, il progetto dell’Autodromo di Monza. La costruzione del circuito fu decisa nel gennaio del 1922, per celebrare il 25mo anniversario dell’A.C. Milano. I lavori iniziano il 15 maggio e il circuito di 10 km– il terzo più vecchio al mondo tra quelli permanenti,  dietro IndianapolisBrooklands – venne da lui completato in soli 110 giorni, cosa davvero incredibile, dati i mezzi tecnologici disponibili in quegli anni.

Questa sua idea della ‘strada veloce’ aveva cominciato a prendere corpo, poco dopo la fine della prima guerra mondiale. Già da alcuni anni, seguendo gli orientamenti del mercato internazionale, si era convinto che la trazione animale, anche qui da noi, sarebbe stata ben presto rimpiazzata dai veicoli a motore, ben più efficenti e che quindi era necessario cominciare a pensare a strade adeguate. A parte la politica del governo che, come visto, fino ad allora aveva optato per la strada ferrata, rispetto al trasporto su gomma, lui si era convinto che la scarsa affezione dell’italiano medio per l’automobile, fosse essenzialmente dovuta allo stato deplorevole in cui versavano le nostre strade, non asfaltate e piene di buche. Questo significava pericolosità dovuta allo scarso livello di sicurezza, frequenti guasti ai veicoli, elevati costi di gestione. E questa non era l’unica motivazione. C’era anche una legislazione, assolutamente assurda, in termini di guida … un regio decreto del 28 luglio 1901, ancora in vigore, autorizzava ogni provincia italiana, a scegliere autonomamente, la direzione di marcia dei veicoli, nell’area di propria competenza … In questo clima di confusione e di totale insicurezza, era abbastanza evidente la scarsa propensione dell’utenza italiana per le automobili.

Leggi l’articolo sulla guida a sinistra 100 anni fa

CHI ERA PIERO PURICELLI
Laureatosi nel 1906, in ingegneria meccanica, al Politecnico federale di Zurigo, Puricelli, tornato a Milano, aveva cominciato a lavorare nell’azienda del padre. Nel 1914, Piero fondò la nuova Società Anonima Puricelli Strade e Cave, che, durante la prima guerra mondiale, collaborò con il Genio militare, fornendo all’esercito compressori e altri strumenti per le lavorazioni stradali, costruiti nella sua officina di Sesto San Giovanni.
Finita la Grande Guerra, nel 1920, istituì al Politecnico di Milano, un corso di specializzazione in Ingegneria Stradale per neolaureati. In quella sede, cominciò a prendere forma l’idea del progetto di una strada veloce, capace di unire direttamente tra loro due località importanti, seguendo il percorso più breve, evitando l’attraversamento di borgate e paesi, senza quindi incroci o strade collaterali. Era questo infatti, il motivo principale dei pericolosi incidenti col traffico lento di carri a trazione animale. I vantaggi di questa intuizione, erano evidenti in termini sia di sicurezza, che di maggior flessibilità, anche rispetto alla strada ferrata. Nel 1921, Piero Puricelli, imprenditore di costruzioni stradali e industriali, fondò la Società Anonima Autostrade e ottenne le autorizzazioni per fare dichiarare “di pubblica utilità” alcuni suoi progetti, per poter quindi cominciare a realizzarli concretamente.

I vantaggi di una nuova strada veloce

Rispetto ad una strada normale poi, escludendo completamente la presenza di pedoni, biciclette, carri e carretti a trazione animale, la strada riservata solo ai mezzi a motore, avrebbe consentito di raggiungere molto più velocemente la destinazione, riducendo drasticamente i tempi di percorrenza, i consumi, ma soprattutto, la probabilità di incidenti. Pure la manutenzione del manto stradale, evitando i continui sobbalzi dei mezzi sulle buche, avrebbe garantito la riduzione dei guasti, l’allungamento della vita dei veicoli, concorrendo ad una miglior sicurezza generale. L’utente quindi sarebbe stato invogliato a pagare un pedaggio a fronte di questi innegabili vantaggi.

Data la scarsissima presenza di veicoli a motore in Italia, sembrava un controsenso ed illogico l’andare a pensare alla costruzione di una strada di collegamento diretto fra due città con i costi che un’opera del genere avrebbe sicuramente comportato. Quindi in teoria poteva essere un azzardo l’andare a progettare soluzioni per problemi non ancora presenti ma che sicuramente in un futuro più o meno vicino si sarebbero presentati. Indubbiamente, l’idea di costruire l’infrastruttura in modo che questa potesse poi fare da volano per lo sviluppo economico, era una scommessa, che valeva la pena di tentare.  

Da dove cominciare?

Puricelli, vivendo a Milano, conosceva benissimo lo stato della viabilità lombarda. C’era solo l’imbarazzo della scelta! La sua attenzione si concentrò in particolare sulle strade provinciali entro un raggio di una cinquantina di chilometri dalla città. La Milano-Varese, la Milano-Como e la Milano-Lago Maggiore, strade tutte, molto trafficate e in condizioni stradali particolarmente deplorevoli. Creare un’autostrada da Milano per queste destinazioni, avrebbe significato incrementare il turismo e non solo.

La Milano-Varese (l’attuale A8)

Decise nel 1921, di fare un progetto per la realizzazione di una strada che collegasse direttamente Milano con Varese. Nei primi mesi del 1922, avendolo fatto sufficientemente dettagliato, in modo da consentire di comprenderne le caratteristiche ed i costi dell’opera, pensò di presentare il suo progetto, ai vertici del Touring Club Italiano e Automobile Club di Milano, gli ambienti più storicamente legati all’automobile. Il progetto riscosse subito un notevole consenso in questi ambienti, al punto che gli stessi vertici decisero di promuovere congiuntamente, la nascita di un comitato per sostenere l’esecuzione dell’opera, presso il potere pubblico.

In quel periodo, si era ancora nel contesto di forte instabilità politica e sociale successivo alla Grande Guerra, culminata poi (il 16 novembre del 1922) con la presa del potere da parte di Mussolini.

Il progetto divenne operativo, quasi subito, già nel dicembre del 1922, dopo l’incontro risolutivo che Puricelli, ebbe con il nuovo presidente del Consiglio, Benito Mussolini, che ne approvò la realizzazione. Nel febbraio del 1923, Puricelli entrò a far parte del Consiglio superiore dei Lavori pubblici.

La sfida del Duce

Pare che Benito Mussolini, rimasto impressionato per la velocità con cui Puricelli era riuscito a realizzare il circuito di Monza, lo sfidò a costruire l’autostrada in ancora minor tempo rispetto a quello impiegato per l’Autodromo (naturalmente in proporzione al chilometraggio da realizzare). E Puricelli vinse la sfida! Il tempo di costruzione di tutta la Milano-Laghi fu effettivamente da record (una media di 1 km ogni 10 giorni), record che ritengo difficilmente superabile ancora oggi, nonostante le più avanzate tecnologie disponibili!

I lavori della Milano-Laghi (di cui la Milano-Varese è il primo dei rami), iniziarono il 26 marzo 1923 e finirono nel settembre del 1925. Seguendo le direttrici principali di una zona già molto sviluppata dal punto di vista industriale, l’autostrada, da Milano raggiunge Lainate dove si dirama un braccio per Como. A Gallarate si biforca in altri due rami rispettivamente in direzione di Varese e Sesto Calende. Ci furono diverse contestazioni per l’impegno finanziario dello Stato, ma i lavori iniziano regolarmente il 26 Marzo 1923 e la prima tratta (la Milano-Varese), fu ultimata entro i 16 mesi previsti. La società promotrice fu la Società Anonima Autostrade di Milano (S.A.A.M.)

La Milano-Laghi
La Milano-Laghi

Fu il Duce in persona a presenziare alla cerimonia di avvio dei lavori per la realizzazione della prima tratta della nuova ‘strada-veloce’, la Milano-Varese (della Milano-Laghi).

La sua realizzazione non fu un discorso semplice, privo di problemi, tutt’altro! Per completare solo quella tratta, fu necessario costruire alcuni grossi manufatti come il lungo cavalcavia a tre campate da 21 mt l’una, per il superamento della stazione ferroviaria di Milano Certosa, un ponte di 48 mt sul fiume Olona, all’altezza di Castellanza, oltre ad una galleria ad Olgiate Olona per 70 mt di lunghezza, senza contare poi una miriade (220) di manufatti minori per il superamento di diversi canali ed incroci con varie strade più o meno importanti. Nonostante i ritardi burocratici e legali (gli espropri effettuati furono oltre 3000) , il tutto venne realizzato in circa cinquecento giorni, impiegando 4000 operai. Efficienza davvero mostruosa, se lo rapportiamo ai tempi cui siamo abituati oggi!

n.p. viene spontaneo pensare ai 50 anni e forse più, impiegati per portare a termine la Salerno- Reggio Calabria!

L’inaugurazione

La tratta Milano-Varese venne inaugurata il 21 settembre 1924 da Re Vittorio Emanuele III, che, a bordo di una Lancia Trikappa 8 cilindri, tagliò il nastro inaugurale. Al posto di guida l’ing. Piero Puricelli in persona (n.p. – lo si vede in foto – il volante della macchina era a destra, perchè in Lombardia si guidava tenendo la mano sinistra!). Altro ospite in macchina, Gabriele D’Annunzio, che ebbe parole lusinghiere nei suoi confronti, soprannominandolo “maestro di vie nuove”. Dietro di loro, un lungo corteo diautomobili di invitati e l’immancabile stampa. Il cronista del quotidiano La Tribuna di Roma,  presente alla cerimonia, l’indomani scrisse: 

Viaggio attraentissimo su un cemento liscio come un parquet, senza callaie insidiose o ciclisti o simili da mandare all’altro mondo ….

Inaugurazione della Milano-Varese il 21 settembre 1924
Inaugurazione della Milano-Varese il 21 settembre 1924

Il Corriere della Sera del 22 settembre 1924, non fu da meno:

Mentre tutt’intorno scrosciano gli applausi, la vettura parte di scatto tagliando lo sbarramento simbolico costituito dal nastro. La Milano Varese è ufficialmente aperta. Dietro la vettura reale si snoda il corteo di auto sulle quali hanno preso parte autorità e giornalisti. Singolare corteo automobilistico perché si vedono sopra le vetture da turismo anche signore in toilette e diversi guidatori in tuba”. 

I casellanti erano naturalmente tutti in pompa magna, già erano stati aperti i primi distributori di benzina e ovunque, lungo il percorso, il re veniva accolto dalle bande musicali e dalle rappresentanze locali dei paesi vicini al tracciato.

Caratteristiche e numeri dell’opera

  •  Lunghezza, 43 km
  • Una sola corsia per senso di marcia e a una sola carreggiata (larga dagli 11 ai 14 metri, di cui 8 o 10 pavimentati)
  • rettifilo più lungo, 18km
  • Le curve non avevano un raggio inferiore ai 400 metri
  • Le pendenze non erano superiori al 3%.
  • Pavimentazione in calcestruzzo ad alta resistenza, composto da lastre spesse dai 18 ai 20 cm
  • ogni 5km, un’uscita di collegamento con la viabilità ordinaria
  • Non era dotata di propri caselli: ce n’era uno solo a Legnano, in area di servizio con sosta obbligatoria 
  • 35 sovrappassi
  • 71 i sottopassi.
  • oltre 3000 espropri

Il pietrisco necessario per la costruzione dell’autostrada, veniva estratto dalle cave Puricelli di Bisuschio in Valceresio (Varese) e trasportato con treni, fino alle stazioni più vicine ai vari cantieri.

vagoni di pietrisco per la costruzione dell’autostrada

t treni fino alle stazioni più vicine ai vari cantieri[

Costo dell’opera 90 milioni di lire del 1924, equivalenti a circa 84 milioni di Euro di oggi (comprensiva di tutti i manufatti indicati)

Il pedaggio

Ovviamente non c’era ancora il Telepass o la Viacard. Inizialmente il pedaggio non veniva pagato al casello (che ancora non esisteva) ma nell’area di servizio e sosta, dove la fermata era obbligatoria.

Il costo del pedaggio era commisurato alla potenza dei cavalli. Qui di seguito, riporto l’importo equivalente in € che si pagherebbe oggi.

Nel 1924, il pedaggio della tratta Milano-Varese era di:

  • 9 lire (€ 7.40) per le moto,
  • 12 lire (€ 9,90) per veicoli fino a 17 cv.
  • 17 lire (€ 14,00) per i veicoli tra 17 e 26 cv.
  • di 20 lire (€ 16,50) per veicoli oltre 26 cv.
  • da 40 a 60 lire (da € 33,00 a € 50,00) per gli autobus a seconda della lunghezza.
  • Uno sconto del 20% veniva praticato per il biglietto di andata e ritorno.

. Riscosso il pagamento del pedaggio, il casellante alzava rigorosamente a mano, una sbarra metallica

Altra curiosità: Fino al 1946, i casellanti avevano l’obbligo di vestire la divisa aziendale e di salutare militarmente ogni veicolo.

Apertura giornaliera

L’autostrada era aperta dalle 6:00 del mattino fino all’1:00 di notte. La Milano-Varese ebbe, per i primi anni, un traffico medio di poco più di 1.100 veicoli al giorno. L’anno dopo (1925) verrà ampliata con il tratto da Lainate verso Como e quello da Gallarate verso Sesto Calende.

Ingresso a Lainate della Milano-Varese
Ingresso a Lainate della Milano-Varese

Lainate-Como (l’attuale A9)

Inaugurata il 28 giugno 1925
Lunghezza 24 km

Costo 57 milioni di lire del 1925, pari a circa 48 milioni di Euro odierni

I successivi lavori che hanno interessato questa direttrice sono stati la realizzazione del tratto Como-Chiasso, aperto al traffico il 10 settembre 1960, e la nuova barriera di Como-Grandate che risale al 1971.

Gallarate-Sesto Calende (attuale A8/A26)

Inaugurata il 28 settembre 1925
Lunghezza 11 km

Prima autostrada al mondo

A differenza di noi italiani che dimostriamo totale disinteresse per la cosa, la Germania, molto furbescamente, insiste per ‘soffiarci’ il titolo di prima autostrada al mondo. Il vero problema, comunque, sta nell’intendersi nella definizione di quella che noi intendiamo per autostrada, cioè qual’è la sua finalità.

Per “autostrada” s’intende una tipologia di via di comunicazione, pianificata per agevolare la circolazione di grandi volumi di traffico veicolare ad alta velocità, in alternativa ad una strada della viabilità ordinaria che non garantisce la stessa capacità di transiti e non gestisce gli stessi problemi di sicurezza.

In Germania avevano fatto qualcosa di simile diversi anni prima di noi, nel 1904, nei dintorni di Homburg, una cittadina del Saarland sede della nota birreria Karlsberg (Karlsbräu), ma con finalità totalmente diverse: quella strada era stata fatta allestire dall’imperatore Guglielmo unicamente per farvi svolgere la quinta edizione della Coppa Gordon Bennett, una gara automobilistica di velocità che, nei suoi intendimenti, avrebbe avuto notevole risonanza sulla stampa internazionale. Per fare bella figura, non badò a spese …. stanziò qualcosa come 120.000 marchi di allora, per fare ricoprire la strada di un manto di catrame per evitare che al passaggio delle automobili, si sollevassero di nugoli di polvere, e si spostassero i sassi sulla carreggiata.

I tedeschi sostengono ancora oggi che la prima autostrada al mondo sia la loro Avus di Berlino, realizzata, nel 1921, in occasione del Salone dell’Auto. Avus sta per Automobil Verkehrs und Übungs-Straße in italiano Strada per il traffico (V) e per le prove (U) delle Automobili. E’ in realtà una strada urbana, di circa 10 km, riservata solo ai soli veicoli a motore, utilizzata per testare le auto (basti vedere in foto le curve rialzate) e non per la circolazione comune dei mezzi. Pertanto anche questa, per noi, non può essere ritenuta un’autostrada!

Avus di Berlino

L’idea del Puricelli era, viceversa, totalmente nuova. Il collegamento diretto fra due città, con una strada a pedaggio, riservata unicamente ai veicoli a motore, senza attraversamento di paesi o la presenza di incroci, oltre a dare maggior sicurezza e minore probabilità di incidenti, garantiva maggior velocità, quindi tempi di percorrenza decisamente minori e consumi sicuramente più accettabili. Quando la gente avesse preso coscienza della cosa, automaticamente anche da noi, l’acquisto di automobili nuove avrebbe avuto un’impennata, mettendo in moto commercio e turismo, cioè l’economia del Paese.

I commenti

Il sentimento di ammirazione e meraviglia che si destò per quest’opera mi sembra ben espresso da una cronaca di quegli anni, dallo stile un po’ pretenzioso, ma efficace:

… strada ben tipica del ventesimo secolo: uniforme, disadorna, ma levigatissima, che taglia i campi dilungandosi come la guida di un corridoio d’albergo, evitando fino al possibile le curve ed ogni contatto, ogni intimità e ogni emozione, il pittoresco e il romantico; arida e muta come un’asta, precisa come una pagina d’orario, obbediente a una disciplina, la brevità, e a uno scopo, l’utilitarismo. E’ strada del ventesimo secolo, in conseguenza, anche per questo: che ai lati si assiepa e strepita con mille silenziosi richiami, con cento ingegnose trovate di réclame e accosta alla sua frigidità di prodotto di laboratorio la spregiudicata e illusoria festività del lunaparco.
E’ un che di mezzo tra la strada comune e la via ferrata, poiché il movimento vi è regolato con segnalazioni: banderuole verdi, arancione, rosse, ad ala fissa o manovrate alla mano, e fanali e fari luminosi di notte; e vi sono caselli e cantoniere: regole severe di marcia, sorveglianza di agenti montati su motocicletta; e si ha un servizio di biglietteria e di abbonamenti…

Conclusione

Puricelli vinse solo in parte la sua scommessa iniziale: gli introiti dei pedaggi non risultarono sufficienti a coprire i costi di realizzazione dell’opera, e lo Stato fu costretto a metterci il resto.

Dal punto di vista dell’immagine, invece, l’intuizione si rivelò un successo di portata mondiale, al punto che dal 1924 in avanti, a Lainate cominciarono ad arrivare tecnici da varie nazioni, per studiare e copiare questa nuova strada veloce per auto, a pagamento. Era nata qui la “madre” di tutte le autostrade a pedaggio che hanno poi invaso il mondo.

La fama di Piero Puricelli superò i confini nazionali: nel 1930 andò a far parte del team che avrebbe poi realizzato la rete autostradale in Germania, con carreggiate separate e la pavimentazione in lastre di cemento.

Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale bloccò il progetto di costruzione di una rete europea di ben 17.000 km, alla cui stesura partecipò attivamente lo stesso Puricelli che, nel 1938, ricevette, in segno di gratitudine per le sue preziose consulenza, una laurea “ad honorem” da parte dell’Università Politecnica di Berlino.

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