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La Storia dal 1895 al 1941 letta attraverso il diario di Ettore Conti (parte 2)

Per la lettura della prima parte di quest’articolo, cliccare sul seguente link:
La Storia dal 1895 al 1941 letta attraverso il diario di Ettore Conti (parte 1)

Ndr. – Questa seconda parte, ricopre il periodo fra il 1918 (dopo la fine della prima guerra mondiale) al 1941 anno in cui l’autore ha completato la stesura delle annotazioni su questo diario. In questo periodo Ettore Conti fu costretto, fra l’altro, a darsi anche alla politica. Vi fu tirato dentro a forza, come si avrà modo di leggere dalle sue stesse note.

Nomina ad Alto Commissario (1918)

Pochi giorni dopo la firma dell’armistizio con l’Austria e la conseguente fine della prima Guerra Mondiale, arrivò ad Ettore Conti un telegramma da Roma, da parte del Presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando.
Ndr. – Francesco Saverio
Nitti (Ministro del Tesoro) Giovanni Villa (Ministro delle Armi e Munizioni)

17 dicembre 1918
Un telegramma di Orlando mi ha chiamato alla Capitale. Ho subito pensato che si richiedesse la mia opera per collaborare alla ripresa economica del Paese in questo periodo tumultuoso, e non mi sono sbagliato.
Sceso al Boston, vi ho trovato una lettera di Nitti, nella quale mi dà dell’Eccellenza e del caro collega, e mi fissa un appuntamento presso il Presidente del Consiglio. Orlando mi ha mostrato senz’altro un decreto, già fermato da sua Maestà, per la costituzione di un Alto Commissariato che riassuma i due precedenti Ministeri delle Armi e Munizioni e dell’Aeronautica e regoli il passaggio dalla guerra alla pace; ed un secondo decreto per la mia nomina ad Alto Commissario; come tale, potrò intervenire alla seduta del Senato e della Camera, dove in vita mia non avevo mai messo piede, e vi andrò, sedendo al banco del Governo. Non mi è stata lasciata la possibilità di discutere e ho dovuto senz’altro giurare nelle mani del Presidente del Consiglio, avendo testimoni Nitti e Villa; tutti e tre mi hanno coperto di lodi e di auguri, magnificando l’importanza del compito affidatomi, e la singolarità del fatto, senza precedenti in Italia, di un privato cittadino che assurge ai fastigi del potere senza vantare precedenti parlamentari. Non mi meraviglio delle parole di Orlando che mi ha sempre mostrato molta benevolenza, e neanche di quelle di Villa che è stato mio Presidente nella Commissione per lo studio della legge sulle acque pubbliche, e che ho sempre avuto l’aria di stimarmi; ma da parte di Nitti, sinceramente, non mi aspettavo tanta ammirazione dopo gli aspri battibecchi che ho avuto con lui.
Sento tutta la responsabilità che vado ad assumere; e, poiché non ho mai avuto ambizioni di questo genere, intraprenderò il mio lavoro soltanto come un pesante dovere, non cercandovi lode o riconoscimenti: ma sono anche sicuro che non verrò meno a quanto si attende da me. Mai come in questo momento, l’insegnamento dei miei genitori è stato presente al mio spirito: ed è a loro che scrivo la mia prima lettera su carta ministeriale, assicurandoli che farò onore all’educazione impartitami. Pure a Gianna scrivo, povera cara, che sarà seccatissimo di lasciare la nostra casa e le solite occupazioni, proprio quando speravamo di alleggerirle, con l’avvento della pace. Mi sovviene un pensiero di Massimo D’Azeglio: “L’amor di patria (come ogni altro amore) se non è sacrificio, diventa amore di se stesso.”

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 100-101 (edizione Garzanti)

Un pizzico di gelosia da parte della moglie

Gianna è ovviamente orgogliosa per la nomina del marito a così alta carica, ma molto dispiaciuta che lui, costretto per lunghi periodi a Roma per portare a termine i compiti assegnatigli, debba restare a lungo lontano da casa. Ma a Roma, essendo “obbligato”, per motivi istituzionali, ad accettare inviti a cene di lavoro, feste ecc. c’è, soprattutto fra la buona società, tanta concorrenza femminile “assetata”, in mezzo a tanto vecchiume, “di baldi giovani come lui”. Ed ecco affiorare in lei (trentaduenne) i primi cenni di “sana gelosia” …. che lui (trentottenne) puntualmente annota sul suo taccuino …

Roma, 12 gennaio 1919
Gianna, ben sicura del mio affetto, potrebbe concedersi il lusso di non essere troppo gelosa; tuttavia, non si trattiene, con modulata insistenza, dal sostenere la tesi, astratta e filosofica, della speciale difficoltà per i mariti a mantenersi fedeli nella Roma di oggi.
Diventato uomo politico di un certo grido e non alieno dalla “buona società”, raccolgo da parte delle signore, cortesie di solito negate ai non più giovani. Le alletta la nomea, pretende Giannina; io so che mi attrae solo la bellezza loro; una diavoleria che noi uomini, non meno affascinati delle donne da altri lustri e lustre, anteponiamo talvolta all’affetto, al carattere, all’intelligenza, alla bontà, insomma alle solide sagge doti che rendono tranquillo e nobile il matrimonio.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pag. 105 (edizione Garzanti)

La burocrazia

Per un milanese come Ettore Conti, soggetto per sua natura, spiccio e pratico, fedele al suo motto “Agere, non loqui” (cioè Fare e non parlare), la figura di Alto Commissario si addiceva a pennello. Scandalizzato per il farraginoso sistema statale esistente, il compito di smontare in “quattro e quattr’otto” il mastodontico apparato burocratico messo in piedi in tempo di guerra per favorire gli imboscati, era indubbiamente un lavoro divertente. In fine dei conti doveva emanare dei decreti di dismissione di Enti vari, che sarebbero diventati operativi dopo l’approvazione del Parlamento.

12 Febbraio 1919
Dello svolgimento di questo mio Dicastero posso dirmi soddisfatto. I miei collaboratori mostrano un’attività e, per me personalmente, una devozione che non potrebbero essere maggiori.
La firma dell’armistizio rendeva ormai inutili quel servizi, istituti ed uffici che si erano dovuti creare durante la guerra, e molti dei quali rappresentavano già prima della cessazione delle ostilità, dei veri pleonasmi. E’ meravigliosa la facilità della burocrazia a gonfiarsi al di là delle necessità per cui è stata creata. Vi sono dei casi nei quali essendosi istituito un ufficio con l’assegnazione di compiti che nell’industria privata richiederebbero l’opera di due persone, si è cominciato con adibirvene istituzionalmente quattro. Ma i quattro hanno sentito il bisogno di un appartamento speciale, e quindi di un usciere, poi di una signorina dattilografa e di una telefonista, e quasi subito di un archivista e del Capo del personale. Per aderire a molto autorevoli interventi che richiedevano di imboscare i figlioli di padre influenti, i funzionari sono poi andati aumentando, richiedendo un secondo appartamento e così di seguito. Soltanto in Roma sono stati così requisiti e sono tuttora occupati più di 100 appartamenti, ivi compresi parecchi alberghi.
Tutto ciò va immediatamente smobilizzato, il che costituisce uno dei miei scarsi divertimenti.
Malgrado le solite opposizioni, già col Decreto Luogotenenziale da me proposto, in data 31 dicembre 1918, e cioè dieci giorni soltanto dopo la mia nomina, vennero introdotti negli uffici della Mobilitazione Industriale importanti modificazioni e semplificazioni. Abolito l’istituto della ausiliarità per gli stabilimenti industriali che attendevano alle produzioni belliche; aboliti gli incarichi affidati agli ufficiali per la sorveglianza dei militari esonerati o comandati; soppressi gli uffici mano d’opera borghese, nonché il servizio di vigilanza tecnico-sanitario, il servizio elettrotecnico, i servizi di accertamento e distribuzione trasporti.
Ho così potuto mettere a disposizione del Ministero della Guerra migliaia di ufficiali che quello penserà a congedare. Alla prossima riunione del Comitato Interministeriale porterò altre proposte di decreti per sopprimere la Commissione istituita in seno al Comitato Centrale di M.I. per gli infortuni in zona di guerra, demandando alla Cassa Nazionale la liquidazione delle eventuali indennità: potrò così sopprimere i Comitati Centrali e Regionali di Mobilitazione Industriale e tutti le Commissioni e Sottocommissioni istituite in seno ai medesimi, nonché la Direzione stessa della Mobilitazione Industriale.

Nello stesso giorno, proporrò l’abolizione dell’istituto delle esonerazioni temporanee dei militari da servizio attivo e di conseguenza di tutte le Commissioni Locali e della Commissione Centrale delle esonerazioni.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 107-108 (edizione Garzanti)

Nomina a Senatore del Regno d’Italia (1919)

Naturalmente vi fu chi tentò di ostacolare questo suo lavoro di “pulizia”. Incredibilmente, la tenace opposizione ai suoi decreti da parte di quanti avevano evidenti interessi nel mantenere in piedi il faraonico apparato burocratico, favorì, senza volerlo, l’Alto Commissario. Non essendo il proponente un parlamentare, i suoi decreti furono bocciati adducendo a giustificazione che, essendo lui solo un “privato cittadino”, la responsabilità politica delle deliberazioni prese sarebbe ricaduta sui Ministri che erano Deputati o Senatori.

Fu quindi giocoforza per il Presidente del Consiglio Orlando, che per primo, chiamando Conti, aveva avvertito la necessità di “snellire l’apparato burocratico”, il far firmare subito al Re, la nomina del “privato cittadino” Conti, a Senatore, facendo così decadere la principale motivazione di opposizione all’approvazione di quei decreti. Ripresentati nuovamente in Parlamento gli stessi, bocciati in prima istanza, questi furono approvati grazie alla nuova autorità conferitagli, consentendogli di portare avanti, senza ulteriori intoppi, il suo mandato di dismissione degli apparati inutili.

Ecco cosa racconta Conti, in occasione della cerimonia della sua nomina a Senatore del Regno d’Italia

10 Marzo 1919
Giornata emozionante quella d’oggi per me.
In solenne adunanza abbiamo avuto a Palazzo Madama la convalida ed il giuramento dei nuovi Senatori nominati, Caviglia ed io, col decreto del 22 febbraio, Badoglio, Pecori-Giraldi, Cagni, Hortis, Valeria e Zippel, con quello del 24.

L’aula era estremamente affollata, con tribute rigurgitanti: io avevo per padrini Peppinetto Greppi il centenario decano dei Senatori lombardi e il professore Righi che ha avuto la bontà di assistermi in omaggio alla mia origine elettrotecnica: e poiché all’infuori della mia modesta persona, si trattava di onorare gli artefici della Vittoria, od i precursori dell’italianità delle province redente, ad ogni giuramento era uno scoppio di applausi; applausi che hanno salutato anche me, mentre non mi erano affatto dovuti: ma l’entusiasmo dell’assistenza non faceva distinzioni. L’adempimento della sola aspirazione politica della mia vita si à svolto così in un’atmosfera di simpatica commozione.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 109-110 (edizione Garzanti)

Un “giro” in dirigibile

Il lavoro permetteva, ogni tanto, qualche piccolo svago, sempre per motivi istituzionali naturalmente, come in questo caso:

24 Marzo 1919
(….)

Questa mattina ho condotto i  rappresentanti della stampa a fare un giro in dirigibile sui Castelli Romani, per dimostrare loro i progressi fatti, anche col più leggero, dalla nostra navigazione aerea.
Prima di scendere a terra, al nostro ritorno, i giornalisti hanno circondato mia moglie, che era pure della partita, per chiederle un pensiero sull’aeronautica. Preoccupata dei pericoli ai quali, secondo lei, il marito si espone quando vola, Gianna ha risposto esattamente così, come vedo riportato dal “Piccolo del Giornale d’Italia”: “Se io fossi al posto di mio marito, emanerei subito un Decreto così concepito: articolo primo: vietato volare. Articolo secondo è inutile perché c’è già l’articolo primo”.
Domando che figura ci fa il Capo Supremo dell’Aeronautica, che per il momento, sono io. È pur vero che, se vogliamo bilanciare i vantaggi, in tempo di pace, di arrivare con qualche ora di anticipo, con le distruzioni che si sono fatte e più si faranno in avvenire con questo portato della tecnica, c’è da chiedersi se non era meglio per l’umanità, rinunciare al nuovo sistema di locomozione.
Non imitando la consorte, mi guarderò bene dal comunicare questo mio pensiero alla stampa
.
(…..)

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pag. 111 (edizione Garzanti)

Alla ricerca di una nuova abitazione

La decisione di cambiare casa, certamente maturò dopo l’elezione a Senatore del Regno. Quella che aveva in via Aurelio Saffi n, 25, data la sua nuova posizione, era diventata piuttosto stretta, certo non adatta a ricevimenti o banchetti con personalità di un certo livello conosciute nella Capitale. Venendo questi a Milano, prima o poi, sicuramente avrebbe dovuto ospitarli, anche per contraccambiare gli inviti da lui ricevuti durante il suo soggiorno romano.
Nel giugno del 1913, l’architetto Pietro Portaluppi (di cui Conti parla qui sotto) aveva sposato Lia Baglia, nipote di Conti (che verrà da lui adottata “ex sorore” nel 1939). Quindi fra Conti e Portaluppi, esisteva, alla data, un rapporto di parentela. L’architetto era al corrente dell’intenzione di Conti di cambiare casa.

Roma, 18 Aprile 1919
Da parecchio tempo meditavo di riformare la nostra casa di via Aurelio Saffi, per darle un carattere più personale con l’adozione di un ingresso speciale e di uno scalonetto riservato per noi; ma mi sono sempre arrestato davanti all’importanza della spesa in confronto del modesto vantaggio che se ne poteva ritrarre; avevo anche accarezzato un’altra idea: quella di acquistare qualche vecchia o meglio antica casa, con giardino, da adattare a nostra abitazione, rinunciando alla pretesa di farne contemporaneamente un impiego di capitale fruttifero; in frequenti visite al cugino Agostino Casati in Porta Magenta, mi ero detto che la casa abitata da lui sarebbe stata molto adatta ai miei progetti se i conti Cigala di Torino, proprietari, l’avessero messa in vendita.

Proprio in quei giorni, Pietro Portaluppi mi telefona, informandomi appunto che i Cigala sono disposti a vendere ma che bisogna decidersi subito, essendo in vista altri compratori. Ho senz’altro autorizzato Piero a procedere per mio conto all’acquisto, senza perdere tempo, e quindi senza neppure la possibilità di esaminare in dettaglio quanto vado a comparare; nel complesso, la somma richiestami non mi pare eccessiva; per quanto poi si riferisce alla mia tesoreria ritengo che, con l’inevitabile aumento che subiranno gli stabili, potrò realizzare bene la casa di via Saffi ed avere così i mezzi, senza troppo disturbo, per introdurre nella mia nuova proprietà tutto quanto sarà necessario, per farne una comoda ed anche artistica dimora

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 114-115 (edizione Garzanti)

Presiedere una cerimonia può comportare rischi

In qualità di Capo Supremo dell’Aeronautica, Ettore Conti, fra i suoi vari compiti, doveva presenziare a cerimonie di propaganda aeronautica: in visita all’aeroporto di Taliedo (MI), c’era in quell’occasione, Sua Altezza Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta Conte di Torino (primo cugino del Re Vittorio Emanuele III), particolarmente interessato agli ultimi modelli di trimotori Caproni.

Milano 27 Aprile 1919
Ho fatto una corsa a Milano per presiedere una cerimonia di propaganda aeronautica. A Taliedo, dopo la visita agli hangar, ho tenuto un discorso sul passato, presente ed avvenire dell’aviazione; uno di quei discorsi che sono preparati dai funzionari del Ministero e che il sottoscritto si è limitato ad infiorare di episodi e di citazioni, ciò che gli ha permesso di non seguire il testo che gli avevano predisposto, avendo quasi l’aria di improvvisare.

Dopo la cerimonia ufficiale con Sua Altezza il Conte di Torino e Gianni Caproni, siamo scesi sul prato dove Caproni aveva preparato un triplano munito di carlinga chiusa: una novità!
Poiché era stato messo in programma un breve volo, Sua Altezza, Gianni Caproni ed io siamo montati sulla carlinga, aspettando la partenza; ma dopo numerosi tentativi di avviamento non si riusciva a demarrare perché, dei tre motori, uno non voleva avviarsi. Malgrado il pensiero del costruttore che riteneva di poter partire anche con due soli motori, e l’evidente desiderio di Sua Altezza di non rinunciare alla gita, mi sono opposto per evidenti ragioni.
Sua Altezza, alla quale mi sono permesso di osservare che egli non aveva bisogno di dar prova di coraggio, mentre un incidente capitato a lui avrebbe fatto una cattiva propaganda al nuovo mezzo di locomozione, mi ha risposto sorridendo: “ Caro collega (per ischerzo egli chiama così i Senatori), obbedisco non senza osservare che lei, cattivo carattere mi valuta  ….. industrialmente.”
Dopo dieci minuti da che ci siamo allontanati dal triplano, questo, malgrado i miei precisi ordini, si è sollevato. Sto gridando al colonnello che mi accompagnava: ”si ricordi di mettere agli arresti quel signor pilota”, ed ecco, l’aeroplano precipitare al limite del prato. Saltiamo in auto per raggiungere il luogo del disastro. Il pilota ferito, spero non mortalmente, la carlinga letteralmente schiacciata. Sempre sorridendo, il Conte di Torino si volge a me: “Mi ricredo, Eccellenza, ella ha un fortunatissimo carattere.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 115-116 (edizione Garzanti)
Triplano trimotore Caproni Ca-41

L’acquisto della casa in Corso Magenta

Roma, 19 maggio 1919
L’acquisto della casa in corso Magenta è stato fatto mediante procura, e senza il mio intervento diretto, perché non mi è stato possibile assentarmi da Roma in un periodo in cui ogni minuto della mia giornata è preso, anzi caricato anche troppo: ma nelle rare serate che passo solo con Gianna, mi sono divertito a tracciare, sui piani fatti rilevare, le linee di massima che dovrebbero trasformare le catapecchie, principalmente del n. 65, in una dimora decorosa o meglio ancora, in una casa artistica; anche l’appartamento del piano terreno occupato dall’Agostino Casati, l’unico decente, dovrà essere sacrificato, perché vorrei abbattere i muri che chiudono gli antichi portici che circondano la corte, riunire attraverso ad essi i due fabbricati del n. 65 e del 67, e ricavare tra i due, il mio appartamento.

Come al solito, una volta sistemata la questione finanziaria, che nel mio animo borghese precede ogni deliberazione, mi sono preso di grande amore per questo compito, che mi distrae e mi riposa dagli altri massacranti che qui mi sono assunto; è già nella mia mente anticipatrice, vedo svolgersi tutto un progetto di restauro, che le sapienti cure di Portaluppi tradurranno in atto.

Il mio dotto amico Lorenzo Allievi, che scherzosamente ho intrattenuto dei miei progetti, mi ha portato i volumi delle novelle del Bandello, quattordici delle quali sono state dette nelle sale a terreno o nel parco, allora di proprietà dei Della Tela,  e così è oramai deciso che la mia nuova dimora si chiamerà “la casa degli Atellani”. (……..)

 Gianna non divide ancora il mio robusto entusiasmo. Domenica abbiamo fatto insieme una corsa a Milano e, come naturale, dalla stazione ci siamo recati direttamente a visitare il nuovo acquisto; mentre io, invaso dai miei progetti, senza dare importanza alcuna allo starnazzare delle galline che ingombravano la Corte e nemmeno al legname accatastato, riserva destinata a lenire il freddo del lontano inverno per la corpulenta portinaia, non vedevo che la futura sistemazione, la mia consorte molto avvilita, ha esclamato: ”Non vorrai mica che noi si venga ad abitare in questa topaia!”. “Ci abiterai come una regina!” le ho risposto con enfasi, che è più giustificata dal mio entusiasmo, che dalle reali possibilità. Il mio entusiasmo è però diviso da Portaluppi che sta svolgendo programmi e dettagli della trasformazione, promettentissima.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 117-118 (edizione Garzanti)
La Casa degli Atellani prima del restauro

La prima grossa esperienza per il giovane architetto, fu proprio la ristrutturazione di questa casa, lavori che durarono ininterrottamente per alcuni anni.

Aprile 1920
(….)
A mano a mano che i lavori procedono affiorano i ricordi della storica casa. Nel grande cortile, resti di decorazioni in cotto attestano una preesistente costruzione del 1300, mentre i fedelissimi degli Sforza, gli Atellani, vi dimorarono nella prima metà del sedicesimo secolo: pare anzi che il primo di essi, di cui si abbia memoria, Giacomotto, vissuto tra il 1450 e il 1510, ricevesse la casa in dono da Ludovico il Moro del quale era scudiero, mentre il fratello Vincenzo ne era il Consigliere intimo. Ed è verosimile che Leonardo, proprietario della famosa vigna e che ebbe saltuaria dimora in Milano sino al 1513, abbia frequentato la casa degli Atellani, tanto più che vi si teneva circolo e ospiti insigni convenivano nelle sale o nel giardino come è ripetutamente affermato nelle novelle del Bandello. Sono stati figli di Giacomo Atellano, Scipione e Carlo, tesorieri ducali, che vollero rendere duraturo omaggio ai loro signori facendo decorare dal Luini una saletta terrena, con quattordici medaglioni costituenti la serie degli Sforza.
Ma anche altre tracce del passato vanno ritornando alla luce col procedere dei lavori: e così, liberato lo stabile dalla numerosa colonia di inquilini, aperti e riattati i due cortili intercomunicanti, che separano la facciata dal maggiore e retrostante corpo di fabbrica, in fondo ad uno di essi, là dove si era allogato in sei luridi bugigattoli un imbianchino, si scoprì, sotto vari strati di intonaco, una serie di affreschi del 400: una scena di caccia, un paesaggio di architettura fiamminga, tra cui figurano una torre del nostro castello, una Madonna, una Venere, tutte pitture pregevoli, se anche di autore ignoto.
(…..)

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pag. 147 (edizione Garzanti)

Un “qui pro quo

In qualità di Senatore, Conti fu nominato Presidente di varie Delegazioni per instaurare rapporti diplomatici e commerciali con l’estero- Ebbe modo, viaggiando, di trattare con omologhi stranieri, esponenti di varie istituzioni, che naturalmente non conoscevano la dizione corretta dei nostri organi ausiliari di Governo, di rilievo costituzionale. Facile quindi prendere delle cantonate clamorose ….

5 luglio 1922
Stavamo per coricarci. Un telegramma per Giannina. Lo scorre, lo butta a terra, ridendo amaro. Che c’è? L’architetto Moretti e Momi Corradi, da Buenos Aires:

“Piangiamo con lei immatura scomparsa nostro caro Ettore”.

E’ la seconda volta che mi fanno morire prematuramente: la prima due anni fa, quando, avendo l’allora Ministro degli Esteri Sforza chiesto al Prefetto di Milano Pesce, di comunicarmi l’esito della mia votazione al Circolo della Caccia, il Prefetto, nuovo di Milano, ha consultato un vecchio elenco dei Senatori e avendo trovato che il mio omonimo Emilio era mancato da qualche anno, si era affrettato a comunicare al Ministro la notizia della mia dipartita, donde telefonate commosse di Sforza a casa mia, condoglianze e simili. Dicono che queste notizie allungano la vita ….

8 luglio 1922
ho chiarito l’equivoco sulla notizia della mia morte.

Al telegramma degli amici Moretti e Corradi, ho risposto due sole parole:

“Vivissimo, Ettore”

Oggi, un più diffuso telegramma da Buenos Aires, spiega che il morto è il mio collega Bernardi Presidente della Corte dei Conti: In Argentina hanno creduto morto il Senatore Conti, Presidente della Corte dei Bernardi. Nel telegramma dei miei amici, a loro giustificazione, vi si preannuncia l’invio dei giornali locali, col mio necrologio. Sono curioso di vedere che cosa sono stati capaci di raccontare a mia lode nell’”épitaphe menteur”

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 187-188 (edizione Garzanti)

All’indomani della Marcia su Roma

Re Vittorio Emanuele III invita Benito Mussolini a formare il nuovo Governo. Ecco le considerazioni di Conti sul fascismo in generale:

La Marcia su Roma 28 ottobre 1922

Galbiate 31 ottobre 1922
la banda del paese suona in terrazza l’inno “Giovinezza”. La musica baldanzosa, dopo il crisma reale della Marcia su Roma, convince anche i meno preparati di me. Si era un po’ tutti inquieti della piega rivoluzionaria presa all’ultimo dal fascismo: quel crisma ci ridona la confidenza. I colleghi della Associazione fra le Società per Azioni e della Confederazione Generale dell’Industria, pur dissentendo da parecchi postulati del fascismo ne condividono … dal 1914 lo spirito ottimistico. E’ allora che eravamo costituiti in Comitato d’Azione per l’Intervento; ed è dall’armistizio che combattiamo contro la debolezza dei governi inadeguati ai tempi, tanto nella politica come nell’economia: pavidi governi al rimorchio degli avvenimenti anziché al timone.

Il fascismo, nato rivalutando l’idea della patria, ha, sia pure con azione rivoluzionaria, debellato i partiti antinazionali, ed entra ora nella normalità, perché, per volontà del Sovrano, è chiamato nella persona del suo artefice a costituire un Governo. Se saprà far dimenticare la sua origine, ed assicurarsi, come pare, la collaborazione dei vari partiti, potrà giovare al Paese.

In questi ultimi tempi ho potuto seguire il corso degli avvenimenti, perché, come Presidente dell’Associazione delle Anonime, ho veduto parecchie volte il Mussolini. Scopo delle mie visite, il tentare di frenare il movimento evoluzionario: dovevo anche esporgli un programma di ricostituzione economica e di riassetto del bilancio statale secondo direttive di decentramento e di sburocratizzazione che ho poi visto affiorare nel discorso di Udine.

In questi colloqui mi ero fatta la convinzione che il fondatore de il “Popolo d’Italia” fosse propenso alla costituzione di un Governo parlamentare presieduto da Orlando o da Salandra, con larga partecipazione di elementi fascisti: Agli Esteri non sarebbe dispiaciuto lo Sforza; è questo l’indirizzo che avrei preferito. All’ultimo, il pensiero e l’azione Mussolini si orientarono invece verso l’assunzione diretta di tutta la responsabilità, pure assicurandosi larga collaborazione di altre partiti.

Arrivata ieri l’altro in Prefettura dove mi trovavo, l’informazione che il Re avrebbe dato a Mussolini l’incarico di comporre il Gabinetto, pregato da Lusignoli, ne ho portato la notizia al “Popolo d’Italia” lieto che si affrettasse la fine dell’azione rivoluzionaria. Mussolini mi ha intrattenuto comunicandomi i nomi di coloro che intendeva chiamare come ministri. Egli voleva arrivare a Roma con una lista completa evitando le solite lungaggini dei periodi di crisi: designati Diaz alla Guerra, Thaon di Revel alla Marina; a De Capitani, che era venuto con me, l’Agricoltura: ha fatto il nome di Lusignoli come Sottosegretario agli Interni.

Un episodio voglio segnare qui. Il neo Presidente mi ha offerto il portafoglio dell’Industria e Commercio; non ho voluto sobbarcami, non desiderando partecipare ad un governo nato dalla rivoluzione: per acquistare tempo e consultare i colleghi industriali prima di suggerire un Cireneo, ho intanto fatto il nome di Teofilo Rossi. Pensavo che, firmatario dell’appello del Governo Facta, egli non avrebbe accettato. Vedo invece che Rossi è Ministro e che le mie poco intelligenti previsioni, non si sono avverate.

Di un governo forte avevamo bisogno. Quando si pensi alla lotta per il prezzo politico del pane che, nonostante il danno di sei miliardi annui per l’ Erario (e quando io ne avevo finalmente proposto l’abolizione), si volle mantenere per stupida speculazione demagogica; quando si ricordino le lotte quotidiane che gli ultimi Governi dovettero sostenere contro le varie fazioni politiche della Camera richiedenti nuove spese e nuovi sperperi a favore di enti rovinosi, o per lavori parassitari o per concessioni a dipendenti dello Stato organizzati all’arrembaggio della pubblica finanza; quando si pensi allo sfacelo economico e funzionale dei pubblici servizi e all’impossibilità di sanarli per la resistenza di una massa di dipendenti riottosi o ribelli; quando si pensi che tale resistenza era sostenuta dalla fede nel trionfo di un preannunciato sfacelo universale, nessuna meraviglia che il popolo abbia sentito la minaccia che gli incombeva, e si sia liberato da una situazione politica che era l’ostacolo principale alla sua salvezza economica.

Personalmente non mi nascondo però i pericoli della nuova situazione e del modo col quale è stata raggiunta: ma confido che il buon senso popolare e l’accortezza dei nuovi dirigenti scelti fra i vari partiti, ci scamperanno dai primi e faranno dimenticare il secondo.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 191-193 (edizione Garzanti)

Il colpo basso


Nel dicembre 1924, a poco più di un anno di distanza dalla gestone Mussolini, in una votazione per appello nominale sulla politica del Governo, Conti, astenendosi dal voto (assieme ad altri trentatré Senatori) aveva espresso “praticamente” il voto contrario ai pieni poteri al Capo del Governo. Passato poco più di un anno da quel evento …,

30 Marzo 1926
Improvvisamente, giorni neri. Ne sentivo la pressione con amaro presagio.
In questi casi, analisi psichica ed esame dei fatti. Che diamine ho addosso? Prima di tutto non sto bene. Pago il figlio di anni faticosi: raro caso in me, stanchezza e preoccupazioni mi tolgono il sonno, accasciandomi in una dolorosa prostrazione nervosa; io non mi sono mai accorto di avere nervi! Poi mi contrista dolorosamente la morte di un congiunto venuto a mancare dopo sei mesi di malattia in agonia penosissima.
In tanta depressione, al ritorno dal funerale del caro Piero Besostri, passo alla “Conti” e trovo l’ingegnere Sacerdoti, Consigliere Delegato della nostra rivendita del Ticino, con una notizia tale da sconvolgermi.
Falsificando le bollette di fornitura della “Conti” in accordo tra il capo contabile ed il cassiere, questi hanno sottratto alla mia società somme che, ad una prima indagine, pare superino le 600.000 lire. Per un’azienda come la mia il danno materiale in sé non ha alcuna importanza: ma che due miei funzionari, che ho con me da venticinque anni e che ho sempre seguiti nella loro attività con paterna sollecitudine (proprio in questi giorni l’avevo fatti insignire di una onorificenza) abbiano tradito la mia fiducia è cosa di cui non so darmi pace.
Mi pare che questo fatto getti un’ombra su tutta quella che è stata l’opera amorosa e fortunata di un quarto di secolo di lavoro. Invano mi dico che c’è della esagerazione in questo mio avvilimento, e che le mie condizioni di salute entrano per molto in questo pessimistico modo di vedere; non riesco ad acquietarmi vietarmi e guardo all’avvenire con un senso di desolato smarrimento.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 224-225 (edizione Garzanti)

Aprile 1926
Le conseguenze della truffa sofferta dalla mia società ingrossano ogni giorno nel modo più doloroso. Denunciati, dopo qualche esitazione, ed arrestati i colpevoli, allo scopo dichiarato di esaminare se, oltre alla cifra subito scoperta, non si siano verificate altre irregolarità imputabili agli stessi, si è impiantato un ufficio di indagine, composto di personale della Edison, che scruta tutta la contabilità dell’Azienda, dalla sua costituzione allargando a poco a poco le ricerche, col fine di trovare ragioni di critica, anche all’infuori dei limiti amministrativi, investendo anche il campo tecnico ed oltre. L’uomo che dirige dietro le quinte, si propone evidentemente uno scopo che va molto al di là delle responsabilità dei due colpevoli.
Affiorano così delle richieste di chiarimenti che sono addirittura offensive. L’altro giorno le critiche erano rivolte alle ordinazioni date al Tecnomasio e alla Tosi per la Centrale a vapore di Novara; rintracciate le minute di tali ordinazioni, si è trovato che erano tutte di pugno dello stesso accusatore, allora consulente della Società.
Si riesuma un vecchio contratto col Consigliere Delegato del “Piemonte Orientale”, come a lui troppo favorevole: pescati i verbali di consiglio relativi, firmati da Esterle, risulta che l’accordo era stato stipulato appunto da Esterle.
Altra magagna, si è tentato di imputarmi e l’imputazione mi offende fino allo stupore. Dai libri contabili risulta che io prelevo annualmente la non cospicua somma di lire ventimila come rimborso di spese di rappresentanza: si inventa un arbitrio da parte mia. Presento una lettera di Della Torre che funzionava da Presidente subito dopo la morte di Esterle; ed una precisa deliberazione del Consiglio che stabiliva e sanzionava la spesa.
So di aver sempre amministrato la mia Società con uno scrupolo che vorrei chiamare eccessivo: ma l’intuire lo scopo a cui si vuole arrivare, mi irrita enormemente; e non ho la possibilità di reagire perché tale scopo, ed il modo di raggiungerlo, non sono confessati. Purtroppo lo stato della mia salute mi toglie anche quell’energia che avrei avuta in tutt’altre circostanze.

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Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pag. 225 (edizione Garzanti)

La serie di sospetti ventilata dalla Edison sul suo conto  obbligò Conti, da persona integerrima qual era, a lasciare (anche a causa del suo stato di salute), con grande amarezza, la conduzione della Società per Imprese Elettriche che aveva creato con le sue mani venticinque anni prima e diretto fino ad allora, con “affetto paterno”. Fu indubbiamente un “colpo basso” quello della partner nei confronti della “Conti”: un ottimo affare per la Edison che così avrebbe incamerato impianti, reti e zone di distribuzione, ad integrazione della compagine esistente, a costo quasi nullo. L’atto definitivo di fusione fra le due Società fu siglato il 15 novembre 1926. Tentarono di alleviargli la pillola amara, dandogli da presiedere una decina di Società del gruppo Edison (cosa che lui accettò) e dando il suo nome alla Centrale di Verampio, la più bella fra quelle del Toce e del Devero, riconoscendogli naturalmente una congrua buonuscita per la cessata carica. Ciò non toglie, nel suo diario confessa:

Eppure, a casa, nel mio studio, silenziosamente le lacrime alleviarono il grande dolore, facendomene assaporare l’amaritudine. Dalla morte di mia madre non avevo pianto.

Nel frattempo aveva già assunto la presidenza dell’Agip appena costituita, carica che avrebbe lasciato dopo un solo biennio, adducendo a motivo i numerosi incarichi societari assunti nell’interesse della BCI (Banca Commerciale Italiana), specialmente dopo la morte dell’altro vicepresidente Pietro Fenoglio

Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri

Nel novembre 1921, fra le altre attività, Conti aveva assunto di buon grado la Presidenza della Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri (SIAM), della quale già da qualche anno era consigliere. Istituzione questa, benemerita, fondata nel 1838 dai commercianti di Milano e, covo nei primi decenni dei patrioti redenti. Nella sua vita da industriale Conti aveva apprezzato il grande contributo portato dal questa scuola nella elevazione culturale e morale delle maestranze. Gli insegnamenti impartiti di meccanica, elettricità, chimica, tessitura hanno contribuito a rendere più produttivo il lavoro dei giovani operai

Milano 21 maggio 1927
Ritorno dalla cerimonia della distribuzione dei premi a quella che io chiamo la mia Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri; cerimonia che, ogni anno, mi commuove. Questi numerosi giovani operai (ed alla distribuzione non possono intervenire che i più degni) si presentano vestiti più che decorosamente, disposti in file regolari, come i campi seminati a grano, silenziosi e rispettosi, ben diversi dagli studenti delle nostre università, di cui molti frequentano gli studi soltanto perché i genitori li obbligano a farlo.
Anche le manifestazioni del loro affetto per me, spontanee e calorosissime, superano di gran lunga i miei meriti. Evidentemente, vedendo il mio nome in calce a programmi, ordini di servizio od altro, si devono essere fatta la convinzione che io passo la mia vita pensando unicamente alla Società di Incoraggiamento, mentre il tempo che io posso dedicarvi è infinitamente minore del mio desiderio. Professori ed allievi hanno voluto che la “Scuola superiore serale” che ormai funziona da anni con innegabile successo, si intitoli al mio nome, ed io ne sono felicissimo. Alla soluzione provvisoria del primo esercizio, quando non confidavo nei risultati, è subentrata un’ottima organizzazione permanente; nuove capaci e luminose aule ho ottenuto innalzando di un piano gran parte del fabbricato di via Santa Marta e piazza Mentana. L’attuazione di questo programma ha richiesto la spesa di oltre un milione e mezzo, che mi è stata facile di raggranellare fra enti e persone favorevoli, più a fatti che parole, all’elevazione della classe lavoratrice. Ed i risultati sono superiori a qualunque mia previsione; quando esamino i disegni ed i progetti di questi giovani operai e li paragono a quelli che facevo io al Politecnico, il confronto è tutto a mio disfavore.
Dalla scuola escono dei periti industriali che le varie aziende assumono ben volentieri; spero ottenere per loro un titolo, giuridicamente pareggiato a quello degli allievi licenziati dalle scuole diurne statali.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 238-239 (edizione Garzanti)

Santa Maria delle Grazie

Cappella Atellana

19 maggio 1930
Oggi con una breve funzione religiosa, è stata riaperta al culto la cappella Atellana che ho fatto restaurare in Santa Maria delle Grazie. I restauri sono stati condotti da Portaluppi con singolari sobrietà e perizia. Il nuovo pavimento a tarsia marmorea, composto di larghe lastre di aurora Rezzato,di rosso Levanto e di Macchiavecchia, dà all’ambiente una dignità che ben si accompagna alle sobrie tinte dei rinnovati affreschi dei Fratelli Fiammenghini, ai due banconi intagliati che riproducono delle vedute della mia casa e all’elegante cancello in ferro battuto.
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Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 286-287 (edizione Garzanti)

Ndr.- La Cappella degli Atellani venne distrutta dal bombardamento nella notte del 13 agosto 1943

Il “regalo”

Viaggio di piacere in Sud Africa (ma non è questo il regalo!).

A bordo del “Duilio” navigando verso Dakar, 5 dicembre 1934
Si va in Africa del Sud. Viaggia con noi l’ottimo amico Scalini che rasenta gli ottanta e gliene daresti cinquanta per la gaiezza e freschezza di vita. Porto con me un regalo che mi sono fatto: per Gianna, un segreto.
Gianna, da accurata massaia, non permette alla generosità di fare prodigalità: e dirò che i nostri dispendi, in parte, sono possibili per l’estrema modestia dei suoi.
Dunque, il giorno della partenza, passato dalle Grazie per il buon viaggio, perlustravo con gli occhi quelle pareti grige, quelle volte miseramente canute. Eppure la deplorevole decadenza del tempio non riesce a mortificare le linee sublimi. Pensavo alle reiterate mie premure presso il Governo: invano. Un infinitesimo restauro in corso da qualche anno minaccia di non finire più; e non sono sicuro che avvenga con criteri sani.
Me ne uscivo impensierito. Che mano mi rivolse, dal fondo verso la Tari maggiore? Mi scosse ed ascoltai una parola interiore “Perché non lo faccio io restauro?” senza valutare né onere né responsabilità, corsi dal priore l’ottimo padre Righi.
“Mi lasciate restaurare le Grazie?”
“Dice le fondazioni della cupola che ci danno tante preoccupazioni?”
“Si, ma anche il resto”.
“Ripristinare la cupola dunque?”
“Tutto!”
Lo sa che ci sono tre navate ed altre 12 cappelle malandate?”
“insomma tutto”.
“Dio la benedica” veniva dicendo il buon frate, mentre mi accompagnava alla porta del tempio.
Di lì passai dal Regio Soprintendente, per confermare il mio proponimento.
Dovrò disporre i mezzi necessari, felice di toccare il capitale: ai ragionieri, terribile minaccia.
Da allora, sono letteralmente invaso da tale compiacenza, che i sacrifici sono già scontati in anticipo.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 330-331 (edizione Garzanti)

La generosità sottaciuta

Cape Town 22 dicembre 1934
Arrivati in questo lembo estremo dell’Africa, prima di guardarci intorno ad ammirare le bellezze di questa città così moderna, malgrado i numerosi sudici negri che vi si incontrano, ci siamo gettati sulla posta che ci aveva preceduti per via aerea e che ci ha portato le ottime notizie di cari lontani.
Appena iniziato lo spoglio, Gianna, leggendo un ritaglio di giornale che le era stato inviato esclama: senti che cosa dicono questi stupidi giornalisti! Che tu ti sei molto generosamente assunto il compito di ricostruire la chiesa delle Grazie! Si vede che a loro i soldi costano poca fatica! Avevo detto al padre Priore e al Soprintendente che tacessero il mio nome. Leggerlo sul giornale unito a quello del tempio Insigne mi ha dato una punta di quello che gli asceti chiamano vanagloria. Povero me, debbo confessare il mio peccato: legare il mio nome alle Grazie mi sorride. Siamo immortali? Sarà lecito volerlo essere anche nella memoria dei posteri. Se scrivo un’eresia morale, ne avrò indulgenza dal ridonare, alla mia città, un monumento di bellezza.
Non ho voluto confermare per intero la verità della notizia: esagerati quei giornalisti! Andrò gradatamente abituando la mia saggia compagna, all’idea del grave dispendio. Sicuro, del resto, che finirà con l’essere entusiasta della decisione.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pag. 333 (edizione Garzanti)

La scoperta durante gli scavi

12 giugno 1936
Avant’ieri, a Santa Maria delle Grazie, compiendosi uno scavo sotto la cupola per la fondazione di uno dei quattro piloni, venne alla luce, alla profondità di circa due metri, una bara di piombo.
Eseguito con ogni precauzione lo sterro, apparve la bara, ricoperta da frammenti di un’altra cassa in legno. Nello sfacelo dell’involucro era salvo il cranio, ancora provvisto di capigliatura lunga e scura. Resti di Beatrice d’Este,  l’introvabile? P. Carlini ci giura. A dir vero, l’esame macroscopico non mi persuade: i brandelli dei tessuti non mi sembrano esimi: e se la medaglia di San Carlo rinvenutavi, può a rigore essere stata sub introdotta in manomissioni successive, pur declama contro l’autenticità presunta.
Comunque data l’emozione generale, nomino una commissione di archeologhi e di chirurghi per chiarire il mistero.
Intanto la costruzione integrale dell’Interno della Chiesa prosegue, assistita non soltanto dal vivissimo amore, ma anche da quello dei dirigenti, degli artisti, e degli operai, anche dei più umili, infervorati tutti dalla passione per l’opera bella.
Com’era da aspettarsi, i lavori vanno acquistando un’importanza ben maggiore di quella che, a prima vista, poteva prevedersi, ed io mi rallegro di non aver fatto fare dei preventivi accurati perché in tal caso molto probabilmente mi sarei spaventato e ritirato dall’iniziativa: mentre così, potendo d’altronde distribuire la spesa su parecchi esercizi, mi sono procurato una soddisfazione, direi un godimento, anche questi di molto superiori ai previsti.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 346-347 (edizione Garzanti)

L’adozione dei due nipoti

In qualità di Ambasciatore straordinario, nel maggio-luglio 1938 fu a capo della Missione Economica italiana, inviata in Giappone e Manchukuo per creare saldi rapporti economico-commerciali col nuovo alleato asiatico. In quell’occasione, portò con sé anche la moglie

19 maggio 1939
Già nel nostro viaggio in Giappone, ci sentivamo spesso chiedere: quanti figli avete? Alla nostra risposta negativa si diceva: e perché non li adottate? Presso i giapponesi il bisogno di continuare a vivere, dopo la morte, in qualcuno che preghi per loro, li spinge ad assicurarsi una discendenza che continui la famiglia, ed anche il nome.
Se da un matrimonio non sono nate che femmine, ad una di queste si trova uno sposo con altri fratelli, che sia disposto ad assumere il nome della moglie e si consideri come figlio del suocero.
Tuttavia, non i giapponesi mi hanno convertito all’idea dell’adozione, bensì l’affetto per i miei due carissimi nipoti (ex sorore, come dice il decreto), Piero Gadda e Lia Portaluppi.
Come di solito la preparazione spirituale è stata, in me, lenta e inavvertita: la decisione improvvisa.
Gianna ha accettato con entusiasmo la mia idea. Condotte le pratiche con ogni sollecitudine, il decreto dell’11 Marzo mi ha dato per figli quei due cari nipoti: Pietro Gadda ha aggiunto al suo nome, il mio.
Eccomi tutto in una volta padre, suocero, nonno e bisnonno. I due maggiori interessati sono stati sempre amati da me profondamente e sempre mi hanno ricambiato di affetto filiale (“Si vis amari, ama”, diceva Seneca): ma l’atto che me li avvicina di fronte agli altri, ha provocato da una parte e dall’altra un’ esuberanza di sentimenti già vivissimi.

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 404-405 (edizione Garzanti)

Hitler invade la Polonia

“I faggi” 5 giorni dopo
Senza dichiarazione, guerra di Hitler alla Polonia. Conseguente dichiarazione di guerra alla Germania da parte della Francia e dell’Inghilterra così stoltamente misconosciuta dalla retorica ignorante dei nostri giornalisti ed uomini politici. Sarà l’eruzione vulcanica dell’Europa.

Non sono fatti da diario: eventi che portiamo su di noi, come i santi le stigmate roventi. Ne scrivano i competenti, cioè i politici che fanno la nuova storia, gli storici che la narrano. Giornali e giornalisti no; ché sono essi, da anni, la guerra chimica.
Le due parti si scagionano della responsabilità della guerra; e su questo punto ne sapremo qualcosa il giorno del giudizio: certo è che la teoria e la preparazione della guerra sono dalla parte della Germania: e sul piano egemonico di Hitler nessun dubbio: egli riprende il vecchio programma della Germania guglielmina, con più metodo, migliore arte diplomatica e di tanto più forte.

(…..)
Un’altra volta l’Europa andrà in fiamme. Tant’è vero che la ragione umana serve le nostre passioni a nostro danno. Milioni di uomini si organizzano per commettere contro altri milioni di uomini uccisioni, saccheggi, distruzioni, incendi, inganni di ogni sorta, proponendosi di perpetrare tanti misfatti, quanti nella vita normale non potrebbero essere giudicati da tutti i tribunali del mondo durante secoli e secoli: ma durante la guerra, questi delitti non saranno ritenuti tali: anzi si chiameranno atti di eroismo. Se un aviatore riuscirà a provocare le più spaventose distruzioni, sarà onorato; se un comandante di sommergibile affonderà la più grande nave, annegando molte migliaia di uomini ed annientando incommensurabili ricchezze, avrà diritto alla maggiore considerazione.
Non sai se sia più patetico o iroso il darsene a vicenda la colpa.

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Tuttavia se Hitler e Mussolini non fossero mai esistiti, si sarebbe evitato l’immane flagello? O si tratta soltanto di una fatalità storica che spinge, ad ogni intervallo di tempo, gli uomini a danneggiarsi e distruggersi per delle ragioni incomparabilmente futili in confronto dell’immensità dei sacrifici? Nessuno studioso d’oggi, nessuna storico dell’avvenire potrà rispondere a queste domande e allora?

Noi neutrali e fino a quando?

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pagg. 412-414 (edizione Garzanti)

La Cappella delle Grazie (o Cappella Conti)

Milano giugno 1941
Finalmente anche la Cappella delle Grazie destinata a raccogliere il nostro ultimo sonno, è terminata; degno  sigillo all’opera dei restauri.

Minerbi ha ideato plasticamente il dogma dell’Assunta. Nel sepolcro vuoto di Lei, giace Eva, la donna ferita dal peccato originale e di esso dolente. E’ il nostro Purgatorio terreno; non privo di grazia, se guardi la casta nudità della sofferente. A questo piano terrestre, che punta con sue vette montane nel cielo superiore del quadro marmoreo, fa riscontro la serenità della scena celeste: un cielo concavo che nel suo moto indìa La Vergine Risorgente.
L’Angelo dell’Annunciazione, latore del Giglio, vigila estatico il prodigioso evento.
I due sarcofaghi sono del Wildt. Su ognuno di essi, due altorilievi riproducono delle scene bibliche, e la cerimonia dell’inaugurazione dei restauri: lo scultore ha trovato modo di mettere tra i personaggi Gianna e me, di buon sembiante.
Questi lavori della nostra Cappella mi tengono presente il pensiero della Morte, pensiero che da anni mi appare circondato di pacata serenità.
Ricordo gli ultimi momenti della vita terrena di mio Padre. Gli eravamo tutti intorno: ed Egli, presago della fine imminente, veniva dicendo che la Divina Provvidenza eragli stata misericordiosa avendolo benedetto nella compagna della vita e nei figli: aggiunse dover noi mantenerci uniti e concordi come sempre eravamo stati, contento Egli di raggiungere l’amata Consorte. Così ci lasciò.
Mi auguro altrettanta serena morte, così come Egli l’ha avuta, e come per chi non ha vissuto invano, la intravedeva l’animo presago di Leonardo:  “Come giornata bene spesa dà lieto dormire, così vita bene spesa dà lieto morire.”

Da “Dal taccuino di un borghese” di Ettore Conti pag. 437 (edizione Garzanti)
Il dogma dell’Assunta – Cappella Conti, Santa Maria delle Grazie (Milano) – Opera di Arrigo Minerbi (1881-1960)

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