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La Sinagoga di Milano

Fu proprio grazie al lascito testamentario di Salomone Ottolenghi, ricco commerciante ebreo di origini veneziane, che, nel 1886, destinando ben 200.000 lire “alla costruzione di un Tempio Israelitico in questa città di Milano”, si dava l’avvio definitivo al proposito, da anni auspicato dal rabbino Ariani, di erigere una sede più degna e più rispondente alle esigenze del culto. Fino ad allora, la Comunità ebraica di Milano aveva usufruito di una sala di preghiere in via Stampa 2/4, di un centinaio di metri quadrati, inaugurata nel febbraio del 1843, che faceva parte dell’appartamento che, a partire dal 1855 sarebbe stato occupato dal rabbino Prospero Moisè Ariani. Tale oratorio continuerà ad essere utilizzato sino al 1892, data del completamento della nuova Sinagoga di via della Guastalla 19.

A differenza di quanto avveniva in diverse altre città, sia in Italia che all’estero, a Milano, fin dal Medioevo, non è mai esistito un quartiere dedicato espressamente agli ebrei (vedi Ghetto di Roma, di Venezia, di Varsavia, ecc.).

Ndr. – ‘Il termine “ghetto” deriva dall’omonimo campo di Venezia del XIV secolo. Prima che venisse designato come parte della città riservata agli ebrei, era una fonderia di rame: il nome del quartiere deriva dal veneziano ‘geto’, pronunciato ‘ghèto’ dai locali ebrei Aschenaziti di origine tedesca, inteso come ‘getto’, cioè la gettata (colata) di metallo fuso. Il 29 marzo del 1516 il governo della Serenissima stabilì che il Ghetto Novo sarebbe diventato la sede del “serraglio degli ebrei”, ovvero della comunità ebraica comprendente all’epoca, ebrei di origine tedesca, francese e italiana. [ rif. Wikipedia]

Legislazione ai tempi della Signoria e del Ducato

Già sotto i Visconti e gli Sforza, agli ebrei era vietato risiedere in città, se non temporaneamente, per questioni di affari. Ai tempi di Ludovico il Moro infatti, era in vigore una legge che vietava agli ebrei di restare in città oltre tre giorni, dopodiché, avendo necessità di fermarsi più a lungo, erano costretti ad andare a dormire nelle località vicine e tornare in città ogni giorno, sino al completamento dei loro affari. Banditi quindi per secoli, da tutti i territori del ducato di Milano, una piccola comunità ebraica poté cominciare a stabilirsi in città, soltanto all’inizio dell’Ottocento, grazie alle libertà concesse da Napoleone Bonaparte, nel periodo di dominazione francese. Così, praticamente, solo agli inizi dell’800, venne permesso agli ebrei di professare liberamente la propria fede e di realizzare degli edifici di culto.

Lo sviluppo della Comunità israelitica a Milano

Nel 1820, la Comunità ebraica milanese, ancora molto esigua, una trentina di persone in tutto, dipendeva da quella di Mantova. Si ingrandì tuttavia rapidamente, soprattutto per l’immigrazione, in quegli anni, di ebrei provenienti proprio da Mantova e da altri centri minori. Nel 1849, la popolazione ebraica in città aveva già raggiunto le 200 unità, motivo questo, che aveva giustificato qualche anno prima, la creazione di quella piccola sala di culto in via Stampa.

Nel 1855,  fu istituito un locale “Consorzio israelitico”, il primo embrione dell’attuale istituzione milanese. Undici anni dopo si rese indipendente da Mantova, assumendo le caratteristiche giuridiche dettate dalla legge Rattazzi. Nel 1870, si contavano già 700 appartenenti, e appena vent’anni dopo, la presenza ebraica era già arrivata a 2000 persone su una popolazione cittadina totale di 400.000 abitanti. Indubbiamente poi lo sviluppo economico conseguente alla forte industrializzazione di quegli anni e il clima cosmopolita di tolleranza della città, ne favorirono la loro crescita.

Nei primi decenni del Novecento, la Comunità continuò a crescere costantemente, particolarmente negli anni trenta quando, a causa dell’avvento di Hitler al potere, molti ebrei tedeschi lasciarono la Germania, rifugiandosi in Italia. Nel 1938, al momento della promulgazione delle leggi razziali, gli ebrei a Milano erano già dodicimila.

Ndr. – Le leggi razziali del 1938 furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Esse furono rivolte prevalentemente – ma non solo – contro le persone di religione ebraica. Il loro contenuto fu annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, da un palco posto davanti al Municipio in Piazza Unità d’Italia, in occasione di una sua visita alla città. Furono abrogate con i regi decreti-legge nn. 25 e 26 del 20 gennaio 1944 , emanati durante il Regno del Sud. [rif. – www.welfarenetwork.it]

Di costoro, all’inizio dei rastrellamenti in città (8 novembre 1943), circa cinquemila riuscirono a fuggire, altri si nascosero. I meno fortunati furono deportati nei campi di sterminio, partendo dal famigerato binario 21 della stazione centrale. Quanti furono quelli catturati qui? Chi dice furono sicuramente 896, ma probabilmente molti di più.

Per via della segretezza e della portata delle operazioni, non è stato possibile ricostruire il numero preciso dei deportati che partirono dal Binario 21. Sappiamo che di tutti i viaggi che si susseguirono fino alla Liberazione nel 1945, il più impressionante e disumano fu quello che lasciò la stazione il 30 gennaio 1944, quando la soluzione finale era a pieno regime. Nei vagoni vennero stipati 605 cittadini italiani di origine ebrea. Il giorno stesso in cui raggiunsero il lager di Auschwitz-Birkenau, 477 di loro vennero uccisi nelle camere a gas. I rimanenti 128, vennero immessi nel campo di concentramento. Di questi, sopravvissero 14 uomini e 8 donne. Tra loro c’era anche Liliana Segre (1930), superstite dell’Olocausto e testimone della Shoah italiana, che, il 19 gennaio 2018, in occasione del settantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali, fu nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Oggi vivono a Milano circa seimila ebrei, provenienti da diversi paesi. Molti di questi, volendo mantenere riti, usi e costumi del paese d’origine, si sono organizzati autonomamen­te con proprie sale di preghiera.

1887 – Raccolta fondi per il nuovo Tempio

Tornando al 1887, era quindi più che giustificata la costruzione di un luogo di culto per questa minoranza, che, all’epoca, contava già oltre le 1000 presone. La sala di via Stampa, così angusta, non era ovviamente più sufficiente per accogliere tutti, sia per ragioni di spazio, che di sicurezza.

Quell’anno, fu quindi fondata “L’Opera del Tempio Israelitico di Milano”, elevata a “corpo morale” con Decreto Reale del 12 luglio 1888, avente lo scopo di “erigere e conservare un Tempio destinato al detto culto”, per “apprestarne i locali e gli arredi”, senza tuttavia assumerne l’officiatura. Il suo scopo fondamentale era di gestìre il capitale del lascito di Ottolenghi, oltre a raccogliere ulteriori offerte dei fedeli sino al raggiungimento della somma di 400.000 lire, stimata sufficiente per far fronte sia alle spese di acquisto del terreno e di realizzazione del tempio, (circa 310.000 lire), che a quelle della sua manutenzione.

La stesura del progetto venne affidato all’architetto Luca Beltrami (1854 – 1933), già diventato molto noto in città nonostante la giovane età, essendogli stata affidata in quegli anni, la ristrutturazione di Palazzo Marino, e la costruzione ex-novo della sua facciata lato ex-vicolo dello Straccione (piazza della Scala). Questo nuovo Tempio avrebbe dovuto essere il simbolo cittadino dell’emancipazione ebraica (ottenuta in Italia nel 1861).

Ndr. – L‘emancipazione degli ebrei fu un processo che vide l’espansione dei diritti della popolazione ebraica, compreso il riconoscimento dei diritti di cittadini paritari, e l’assegnazione formale di cittadinanza ai singoli individui. Comprese pure l’impegno, nell’ambito delle varie comunità, di integrazione nella società come cittadini.

La scelta del luogo

Il primo passo per la costruzione del nuovo Tempio, fu la scelta del luogo, che naturalmente doveva rispondere a certi requisiti minimi. Anzitutto non essere troppo lontano dalla Sala di preghiere di via Stampa, doveva poi trovarsi in un’area sufficientemente centrale, e possibilmente tranquilla.

La scelta cadde su un lotto fra la cerchia interna dei Navigli e le mura spagnole, nella zona di Porta Vittoria, subito dietro la Ca’ Granda. Si trattava di un’area di circa 1150 metri quadrati, sita in via della Guastalla 19, occupata da un vecchio edificio di 4 piani con tre botteghe e giardino annesso. In aggiunta a questo lotto si aggregò una area confinante, già annessa alla Caserma di San Filippo e ceduta dal Demanio, posta sul retro. La proprietà del terreno venne perfezionata il 28 febbraio 1890.

Nelle immediate vicinanze di quel lotto, erano ubicate importanti strutture pubbliche cittadine come l’Ospedale maggiore, la Rotonda della Besana e le due caserme di Santa Prassede e di San Filippo.

Ndr. – La caserma di Santa Prassede sarebbe in seguito diventata caserma Principe Eugenio di Savoia, ed infine Palazzo di Giustizia, progettato da Marcello Piacentini (1931-1940)
La caserma di San Filippo sarebbe diventata a breve, la sede della Società Umanitaria, fondata nel 1893 per volere del banchiere ebreo Prospero Moisè Loria.

Altra presenza rilevante in zona, alcuni palazzi privati importanti come il Carcano-Mellerio e il Sormani, che conferivano signorilità ed eleganza ad un’area con spiccata vocazione pubblica. Indubbiamente poi, la presenza di un giardino pubblico (giardino della Guastalla) esattamente di fronte al lotto, avrebbe conferito alla futura costruzione monumentale, un po di “respiro”, in una strada stretta e poco trafficata come quella. La facciata del tempio sarebbe risultata visibile da lontano, mentre i rumori del traffico gravitante praticamente tutto su via Sforza, non avrebbero causato disturbo allo svolgimento delle funzioni religiose. Infine l’orientamento ovest-est della costruzione, sarebbe stato conforme a quanto prescritto, rendendo possibile pregare, con lo sguardo rivolto a Gerusalemme.

La costruzione della Sinagoga

Il progetto definitivo dell’architetto Luca Beltrami, venne approvato nel maggio 1890. Chiusasi, il successivo 30 giugno, la gara d’appalto, vinta dalla Ditta Fratelli Vittorio e Alessandro Noseda, che già stava collaborando con Beltrami nel cantiere di restauro di Palazzo Marino (1888-1894), a fine luglio, venne siglato il contratto per “le opere di nuova costruzione per il Tempio Israelitico di Via Guastalla 19”. Ovviamente la stessa ditta si assunse l’onere della demolizione del fabbricato preesistente. Presentato in Comune per l’approvazione, il progetto completo, nell’agosto del 1890, venne finalmente posta la prima pietra del nuovo Tempio nel dicembre di quell’anno, mentre i lavori, diretti personalmente da Beltrami, si avviarono nel febbraio del 1891.

L’inaugurazione

Conclusi i lavori nell’agosto dell’anno successivo, l’inaugurazione ufficiale si tenne il 28 settembre 1892, in presenza di tutta la Comunità ebraica, delle autorità istituzionali e cittadine oltre a quella di un nutrito gruppo di notabili e cittadini illustri, fra cui Giuseppe Verdi.
La cerimonia coincise inoltre con l’insediamento del nuovo Rabbino capo Alessandro Da Fano, subentrato al Rabbino Prospero Moisè Ariani, che instancabilmente si era adoperato in tutti quegli anni, affinché Milano “avesse un tempio degno di lei”

Ndr. – Alessandro Da Fano, uomo decisamente fuori dal comune, quanto a brillantezza, cultura ed intelligenza, promosse l’acquisto delle villette di via Eupili 6 – 8, che diventeranno il primo nucleo delle nuove scuole ebraiche di Milano.
Era pure amico personale di Achille Ratti, il futuro papa Pio XI, al quale, quando Ratti era ancora prefetto dell’Ambrosiana, insegnò l’ebraico.

L’edificio di Beltrami ricalcava uno schema della basilica a tre navate, secondo i nuovi indirizzi dell’emancipazione.

 pianta del piano terra (a sinistra) e del matroneo (a destra) , progetto definitivo, Luca Beltrami, 1890(Collezione privata)

Il Tempio da lui realizzato, presentava forme eclettiche, ove l’assimilazione del modello delle chiese cristiane, specialmente nell’impianto, si univa a rimandi alla classicità. Vi era qualche riferimento all’architettura bizantina, leggermente orientaleggiante, ma a differenza di quanto era avvenuto per il Templi di Firenze (1882) e Torino (1884), questa struttura non presentava riferimenti arabi o moreschi. Il tempio di Milano aveva uno sviluppo longitudinale (un ambiente di circa 19×24 metri, alto circa 18), suddiviso in tre navate, una maggiore centrale terminata a est con un’ampia abside semicircolare, e due navate minori laterali con soprastante matroneo (che però si sviluppava anche sopra il vestibolo), definite da un doppio ordine di arcate sorrette da pilastri al pianterreno, e da colonne corinzie, al primo piano.

veduta prospettica di una delle logge laterali (matroneo), a sinistra, e L’abside del tempio visto dall’ingresso (1892) foto A. Demarchi

Per dare maggiore sfogo, la facciata del Tempio venne arretrata di tre metri rispetto alla stretta via della Guastalla. Larga circa 30 metri e alta al centro circa 24, presentava una struttura a capanna spezzata con la parte centrale serrata da pilastri coronati da quattro merli (in pietra grigia di Sarnico) e alla sommità del timpano, un’edicola con colonnine in marmo rosso di Verona, con le tavole della legge. Le vetrate della trifora di facciata, sopra il portale, raffiguravano al centro l’arca sacra e ai lati, accampamenti nel deserto. A sinistra e a destra del fronte vennero collocati due bassi corpi, che consentivano l’accesso agli ambienti sul retro, senza dover passare dalla sala del tempio. In particolare quello a destra, si apriva su uno spazio libero percorribile dalle carrozze.

Dettaglio delle vecchie vetrate della trifora (1892)

L’ingresso si aprìva su un ampio vestibolo, dotato di lavabi prescritti dal rito, che anticipava l’accesso alla sala del tempio; due accessi secondari nel vestibolo consentivano alle donne di raggiungere, tramite scalinate, i matronei disposti al primo piano, onde poter assistere al rito separatamente dagli uomini, come prescritto; sul retro della sala di preghiera, venne previsto un corpo secondario destinato ad ospitare locali sussidiari, come una sala per i matrimoni e le abitazioni del rabbino e del custode.

Internamente, il soffitto ligneo della navata centrale, a cassettoni sfondati a calotta circondanti tre grandi cupole disposte al centro, era sorretto, tra l’altro, da una sequenza di colonnine in rosso di Verona su mensole in pietra di Breno poste in corrispondenza delle travi maestre; mentre quello delle navate laterali e del vestibolo era in gesso con ricche decorazioni a stucco. Il pavimento era alla veneziana “in mosaico di marmi policromi”. L’uso dei marmi era riservato alle partii architettoniche più importanti, mentre le pareti erano finite con intonaco e abbellite da cornici e “decorazioni in stucco e oro” Completavano l’insieme, gli arredi lignei, gli scranni per i rabbini e circa 500 banchi con o senza leggio, e quelli per l’illuminazione tra cui dodici grandi lampadari in ottone e due Menoroth.

Soffitto ligneo della navata centrale prima del bombardamento del 1943 (collezione privata)

Ndr. – menorah ‹-rà› s. f. [dall’ebr. mĕnōrāh «candeliere»]. – Il candelabro a sette bracci del Tempio ebraico, in cui i sette candelieri simboleggiano i sette giorni della creazione e i sette pianeti; in uso anche nelle sinagoghe odierne, fa oggi parte dello stemma dello Stato d’Israele. [rif. Vocabolario Treccani]

Le distruzioni della guerra

Il Tempio di via della Guastalla, riuscì a superare indenne i difficili anni del fascismo, quando vi era chi auspicava la sua demolizione, essendo giudicato un “autentico capolavoro del cattivo gusto”, proprio perchè voluto ed ispirato dagli ebrei (Pagine nere della storia cittadina. Gli ebrei a Milano, “Milano”). Nulla potè purtroppo, di fronte alle bombe incendiarie sganciate dagli anglo-americani nel bombardamento aereo di Milano, la notte tra il 7 e l’8 agosto 1943. Eccetto la facciata, miracolosamente rimasta in piedi, tutto il resto, l’interno della Sinagoga, subì fortissimi danni. Si salvò soltanto qualche singolo tratto di muratura, particolarmente nella parte absidale.

La Sinagoga di Milano dopo il bombardamento del 1943

La rinascita

In questo storico edificio tornò a vita dopo lo scempio delle persecuzioni fasciste e naziste la Comunità ebraica di Milano. Qui furono attivi tra il 1945 e i primi anni ’50 un luogo di culto, un centro di accoglienza profughi. Qui decine di migliaia di ebrei strappati alle loro case e alle loro famiglie, trovarono amorevole assistenza, rifugio, sostentamento, cure mediche, notizie di familiari dispersi. Per molti fu da qui organizzato l’approdo alle sponde della Terra Promessa”.

Con queste parole, ricorda i giorni della rinascita dell’ebraismo milanese, alla fine della seconda guerra mondiale, la targa commemorativa apposta nel cortile di Palazzo Odescalchi in via Unione 5, sede che la Comunità Ebraica di Milano prese in affitto per anni, in attesa della ricostruzione della Sinagoga distrutta, e oggi in uso alla Polizia di Stato.

Era necessario ripartire da zero, dopo la distruzione del Tempio. Rinascita che, incredibilmente, venne da lontano …. dal campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia (Cosenza) in Calabria. Dopo la proclamazione delle leggi razziali, nel 1940, il governo fascista di allora, aveva deciso di rinchiudere in questo campo, appositamente costruito allo scopo, tutti gli ebrei, presenti sul territorio nazionale, che non avevano richiesto od ottenuto la nazionalità italiana. Visto che le condizioni di vita in questo campo consentivano un minimo di libertà ai prigionieri, fu concesso loro di costruirsi una mini-Sinagoga per il culto.

Campo di concentramento Ferramonti di Tarsia (Cosenza)

Finita la guerra e chiuso il campo, la piccola Sinagoga fu smontata pezzo per pezzo e trasferita a Milano proprio in via Unione 5, per essere riutilizzata come Sinagoga militare. L’Aron Hakodesh, cioè l’armadio sacro in cui vengono custoditi i rotoli della Torah, oggi traferito al Centro Studi di Beth Shlomo di Corso Lodi 8, è ancora lo stesso armadio che i soldati della Brigata ebraica inquadrata nell’esercito Britannico, donarono allora, alla comunità ebraica milanese rimasta priva della sua Sinagoga.  I Sifrei Torah (testi sacri) furono portati a Milano dal rabbino capo di Genova Riccardo Pacifici. Il Beth Shlomo oggi è il punto di incontro di una piccola comunità ebraica all’interno di un edificio dove è stata ricostruita la Sinagoga, simbolo della rinascita del Tempio di Milano.

Beth Shlomo

La ricostruzione (1951-1953)

Su progetto degli architetti Manfredo D’Urbino ed Eugenio Gentili Tedeschi, il Tempio venne ricostruito, tra il 1951 e il 1953, a forma prismatica, ricalcando il perimetro del vecchio edificio, ma usando materiali e forme più moderne. Del manufatto originario, venne preservata la facciata, che gli architetti vollero lasciare “materialmente distaccata dal nuovo edificio” visibile all’esterno e all’interno col suo aspetto storicamente eloquente, di “cosa sopravvissuta”.

La ristrutturazione (1994-1997)

Quarant’anni dopo, fra il 1994 e il 1997, la struttura subì un nuovo profondo restauro conservativo ed ammodernamento ad opera degli architetti Pinto e Alhadeff, che crearono pure una grande cupola a vantaggio di una linea più slanciata e di una migliore luminosità dell’interno.

A completamento dei lavori di ristrutturazione, Il Tempio, attualmente sede del rabbinato centrale, assunse il nome “Hechàl David u-Mordechai”. In esso si pratica il rito italiano.

L’esterno

La facciata, vagamente orientaleggiante, con i mosaici azzurro e oro, è l’unica cosa rimasta dell’originale sinagoga costruita nel 1892, quale ‘documento’ e ‘memoria storica’ dell’edificio e della Comunità che lo aveva così caldamente voluto.

La Sinagoga Centrale di Milano

L’interno

Il pavimento è rimasto inalterato, in marmo rosso di Trani e in marmo perlato bianco di Sicilia. Le vetrate delle 23 finestre, opera dell’artista newyorkese ebreo Roger Selden, costituiscono uno degli elementi più caratterizzanti della nuova sala, sia per la vivacità dei colori (dal rosso al blu, dal giallo all’azzurro, tutti trasparenti alla luce), che per la ricchezza delle immagini, tra cui la stella di David, simboli liturgici e lettere dell’alfabeto ebraico. Impiegò un intero anno per fare le 23 vetrate. 

Le vetrate della trifora della facciata

Allora aveva detto: “Il lavoro fatto per le vetrate della Sinagoga di Milano. nella mia esperienza di artista. è stato molto affascinante, per aver dovuto affrontare materiali nuovi, dimensioni nuove. Ho lavorato insieme ai maestri vetrai e soprattutto ho affrontato il peso della responsabilità di un’opera che doveva restare nel tempo esposta al giudizio dei contemporanei e dei posteri”.

L’interno della Sinagoga oggi

Lo spazio interno della Sinagoga è diviso in due piani in modo che uomini e donne possano assistere alle funzioni separatamente. Questa usanza, che può sembrare discriminatoria, in realtà è finalizzata a consentire ai maschi di seguire lo svolgimento delle preghiere, senza distrarsi. L’Ebraismo infatti è una religione matriarcale, che tiene in grande considerazione la donna. Non a caso, per entrare in questo luogo sacro, sono gli uomini a dover indossare il famoso copricapo circolare, il classico zucchetto (la kippah), e non le donne. Si ritiene che queste ultime, al contrario dei maschi, siano sempre in connessione con il divino.

Ndr. – La kippah è un copricapo a forma di calotta emisferica a sette spicchi usato correntemente dagli Ebrei maschi obbligatoriamente nei luoghi di culto. Sta a significare «la mano di Dio» sopra il capo, perché l’uomo rimanga sotto la protezione divina.

L’interno della Sinagoga di Milano

La Sinagoga, come da tradizione, è priva di statue, di immagini sacre o quadri ma prevede solo alcune scritte perché per la religione ebraica, la preghiera può essere fatta in qualunque luogo, purché non vi siano sculture o immagini che ritraggano persone do animali.

Al centro della sala, vi è l’altare, posto in mezzo ai fedeli e non in posizione separata. Il rito viene fatto dal rabbino che non è rivolto verso le persone ma verso la Torah: questo perché non prega per i fedeli ma con i fedeli. .Sull’altare è posta la menorah, il famoso candelabro a sette bracci, a memoria dei sette giorni della creazione. All’altezza dell’abside, si trova un’ampia parete di marmo a ricordo del muro del pianto di Gerusalemme ed una tenda rossa che nasconde la Torah, una grande pergamena contenente testi sacri

Ndr. – la Torah, (lett. istruzione, insegnamento), ossia i primi cinque dei ventiquattro libri del Tanakh, la Bibbia ebraica, detti Pentateuco dai cristiani. Essi comprendono l’insieme gli insegnamenti e precetti riconosciuti dagli ebrei, come rivelati da Dio tramite Mosè.

Alle spalle della grande sinagoga, si trova un piccolo oratorio, la Schola Carlo e Gianna Schapira, di rito italiano, i cui arredi provengono dalla scomparsa sinagoga di Fiorenzuola d’Arda.

Sinagoga di Milano durante una celebrazione

Le radici dell’odio verso gli ebrei

L’Ebraismo non è solo la religione degli Ebrei, ma è soprattutto uno stile di vita, di tradizioni e di cultura. E’ la prima e più antica fede e religione monoteista radicale, le altre due sono il Cristianesimo e l’Islamismo.

Un breve excursus storico

Fin dai tempi antichi, si ha notizia che gli assiri, dominarono gli ebrei, deportando anche molti di loro. Persecuzione che si ripropose già a partire dal 438 d.C., quando, con gli editti di Valentiniano e di Teodosio, vennero trattati come un popolo inferiore, dapprima esclusi da ogni carica pubblica e poi pure dal diritto di accesso alle università.

La discriminazione proseguì sotto varie forme, sia nel Medioevo che nel Rinascimento, e durò, in generale, fino al 1791, con l’intervento di Napoleone che prese le loro difese, emancipando di fatto la popolazione di origine ebraica. Caduto Napoleone, diversi divieti nei loro confronti vennero ripristinati dal Congresso di Vienna, nel 1815, durante il periodo della cosiddetta Restaurazione. A parte la Russia, che concesse fin da subito la massima libertà agli ebrei, nel 1861 il regno Sabaudo (Italia unita) riconobbe la loro emancipazione, seguita a ruota e nell’arco di una decina d’anni, da tutte le altre nazioni europee che riconobbero loro, in forme diverse, le libertà fondamentali.

Tutto questo s’interruppe nel periodo del fascismo e del nazismo, dove stabilendo l’inferiorità degli ebrei e la “superiorità della razza ariana, iniziò la triste storia delle deportazioni, delle discriminazioni e dei campi di concentramento e di sterminio. Oggi si sta registrando, negli stati europei, un’accelerazione delle partenze verso Israele: soprattutto dalla Francia, dall’Ucraina e dal Belgio. Questo a causa dell’ antisemitismo sempre presente, dell’instabilità interna dei tre paesi citati e delle difficoltà economiche. Molte partenze per Israele si stanno registrando anche qui da noi.

Perchè la discriminazione e persecuzione degli ebrei?

Tradirono Gesù

Essendo stati gli ebrei a crocifiggere Gesù, l’antisemitismo da parte dei cristiani, era giustificato. La popolazione ebraica rappresentava quindi un pericolo costante nei confronti di una società medievale prevalentemente dominata dalla religione cristiana.

La convinzione che diffondessero la peste

Nel Medioevo, bastava che qualcuno mettesse in giro la voce che l’insorgere della peste, fosse tutta colpa degli ebrei che avvelenavano i pozzi, perchè nel popolo si creasse la convinzione che la diffusione della malattia fosse opera loro per cancellare i cristiani dalla faccia della terra.

Dediti all’usura

Probabilmente giustificata dall’attività di prestasoldi a tassi da strozzinaggio e da quella di cambiavalute, molti ebrei passarono per avari usurai pronti ad arricchirsi sulle disgrazie altrui. Fu papa Innocenzo III nel XII secolo ad emanare norme tendenti a “ghettizzare” gli ebrei, nel tentativo di escluderli dalle associazioni professionali.

Mancanza di volontà d’integrazione

 La ritenuta scarsa volontà o addirittura la rinuncia all’integrazione nel mondo cristiano e occidentale era un altro giustificato motivo di persecuzione degli ebrei. Sempre più isolati e relegati nei ghetti, la loro diversità, dal modo di vestire, alle abitudini quotidiane, e la loro forte ricchezza culturale, sono sempre stati motivo di attacchi da parte di chi li ospitava. 

La presenza in ruoli chiave nelle istituzioni

La presenza di ebrei in posizioni di responsabilità anche nelle istituzioni, faceva paura. Fu questo un altro motivo di persecuzione, un implicito riconoscimento della loro superiorità in tanti campi. Il nazismo e il fascismo, promuovendo una lotta senza quartiere contro di loro, marcarono ulteriormente queste differenze. L’aver voluto stabilire la superiorità della razza ariana sugli altri, e la conseguente promulgazione delle leggi razziali era l’implicito riconoscimento di un senso di inferiorità e di debolezza percepiti. L’autostima creata per legge, dava loro ulteriore motivo per giustificare le terribili atrocità che di lì a poco avrebbero messo in atto contro di loro.

Alcune tradizioni ebraiche

Gli Ebrei considerano le giornate scandite dalla luna e non dal sole.

La nascita di un bambino è una grande gioia e rappresenta anche l’obbedienza a un comandamento. Se il bambino è maschio, viene circonciso l’ottavo giorno dalla nascita.

I bambini ebrei raggiungono l’età della maturità a tredici anni e diventano così responsabili per se stessi nei confronti della legge religiosa ebraica.

Anche la festa del sabato appartiene alla cultura ebraica. Per gli ebrei il sabato deve essere interamente dedicato al Signore. Inizia dopo il tramonto del venerdì e si conclude all’apparire delle prime stelle del sabato. Il sabato, in ebraico Shabbat, ricorda il giorno in cui il Signore concluse la creazione. Prima che inizi, la padrona di casa accende le candele, che indicano la fine del lavoro e l’inizio del riposo. Un giorno di riposo assoluto. Nelle ventiquattro ore bisogna astenersi da qualsiasi attività e non chiederne ad altri; i cibi devono essere preparati in precedenza; il riposo deve essere assoluto per tutti; non si possono provocare scintille e ci si può spostare solo a piedi.

Infine il rito della rottura del bicchiere durante la celebrazione del matrimonio. Le nozze ebraiche si possono celebrare sempre, tranne durante lo Shabbat (dal venerdì sera dopo il tramonto fino al sabato sera). L’ultimo gesto della cerimonia, prima dei festeggiamenti, è la rottura del bicchiere da cui hanno bevuto gli sposi, da parte dello sposo con un piede; questo gesto sta a significare il ricordo della distruzione del Tempio di Salomone a Gerusalemme, nel 70 d.C. per opera dei Romani e la conseguente diaspora.

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