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El Tredèsin de Marz

Davvero strana questa Milano, città piena di storia, una storia che spesso si perde nella notte dei tempi! Se volessimo scoprire il più antico reperto conservato in città, una pietra speciale, dovremmo andare a cercarla non in centro, dove sarebbe logico trovarla, ma in un posto sicuramente impensabile! La troveremmo infatti in una chiesetta semisconosciuta, quella di Santa Maria al Paradiso, in Corso di Porta Vigentina 14, ben lontano dal centro città! Incastonata nel pavimento, al centro dell’unica navata di quella chiesa, scopriremmo infatti, una pietra circolare particolarissima, addirittura di origine celtica!

Ci si potrebbe chiedere: ma come mai quella pietra è finita lì? La risposta è semplice: Grazie alle riforme del giuseppinismo! Ma lo vediamo più avanti.

Ndr. – Con il termine giuseppinismo si indica la politica ecclesiastica di Giuseppe II d’Asburgo-Lorena, attuata dal 1780 al 1790 e volta a ridimensionare l’autorità della Chiesa cattolica nella Monarchia asburgica del Sacro Romano Impero. Quindi l’eliminazione di chiese, il ridimensionamento degli ordini religiosi e la soppressione di molti monasteri

pietra del Tredèsin de Marz o di San Barnaba

E’ un caso, forse più unico che raro, che proprio questa pietra “pagana”, chiamata pietra del Tredèsin de Marz”, o “pietra di san Barnaba” o ancora “pietra Sacra”, simbolo celtico in un luogo della cristianità, sia pubblicamente venerata, con la benedizione della chiesa cattolica!

Ma il “Tredèsin de Marz” è anche una festa antichissima, di origini prettamente celtiche. E’ forse la più antica tra quelle conosciute, talmente datata, che la realtà si confonde con la leggenda. È una festa tipicamente milanese, chiamata anche “Festa dei Fiori“, perché, essendo il 13 marzo a ridosso dell’equinozio di primavera, con essa, si festeggia la stagione del risveglio della natura.

13, numero davvero magico per Milano! Il 13 marzo infatti, qui si fa iniziare la primavera, con una settimana di anticipo rispetto a quella astronomica di tutto il resto dell’Italia! Come mai questa diversità? Forse una ragione c’è effettivamente, anzi, meglio, una tradizione, ma per tentare di scoprirne il motivo, bisogna tornare molto indietro nel tempo, raccontando una storia che, non trovando sempre giustificazione certa nella realtà, finisce per assumere i connotati di una leggenda.

Il significato di questa data ha radici decisamente antiche e si basa su un episodio della cui veridicità, non disponendo di sufficienti riscontri scritti, oggi non rimane che fare puro atto di fede. Comunque sia, visto sotto l’aspetto religioso starebbe ad indicare l’inizio del processo di cristianizzazione della Mediolanum di allora. Sotto l’aspetto laico, indicherebbe invece con la “Festa dei fiori”, il preannuncio della primavera.

Non sono particolarmente amante delle leggende, perché, di solito si usa celare dietro quel nome, storie al limite del verosimile. che spesso sconfinano nell’improbabile. Tuttavia, fra le varie interpretazioni che vengono date a questa ricorrenza, volendo attenermi il più possibile alla storia documentata, senza stravolgere la tradizione, riporto una versione sicuramente più originale delle altre, perché fuori dal coro, versione che, accennando a fatti storicamente accaduti, rende, a mio avviso, più “reale” questa leggenda.

Mediolanum, città romana

Si era nell’anno 51 d. C . La Mediolanum di allora, era una città che, pur essendo già da tempo, assoggettata ai Romani e quindi abituata alle loro usanze pagane, continuava a mantenere ancora viva la propria tradizione celtica. Il Cristianesimo non era ancora arrivato da queste parti.

Gesù Nazareno, era morto sulla croce pochi anni prima (parecchi studiosi concordano sulla data del 7 aprile del 30 d.C ). I dodici discepoli che lui scelse come speciali continuatori della sua predicazione, ed altri missionari del cristianesimo primitivo da essi convertiti, cominciarono l’opera di evangelizzazione delle genti nei territori che via via attraversavano. Erano chiamati genericamente tutti “Apostoli” (da apóstolos, letteralmente “inviato” o “messaggero”). Tra questi,Paolo da Tarso, Barnaba e Sila.

La leggenda narra che quell’anno (51 d. C.), Barnaba arrivò in vista della città di Mediolanum accompagnato dall’amico Paolo da Tarso, per predicare il Vangelo di Cristo. Per non essere costretto ad onorare le statue degli “dei pagani”, poste ai vari ingressi della città, si fermò ai bordi di una radura, al limite della boscaglia, al di fuori delle mura, dalle parti di Porta Orientale (che allora si trovava in prossimità dell’attuale piazza san Babila). La leggenda continua raccontando che, fatta una croce rudimentale, la fissò nel buco centrale di una pietra rotonda e intorno a lui si riunì una moltitudine di persone, tutti pronti ad ascoltare le sue parole.

L’immagine dell’Apostolo che attiri a sé la moltitudine, potrà essere anche affascinante, ma onestamente, non è realistica e comunque poco credibile. Forse più aderente alla realtà dei fatti, potrebbe essere che la moltitudine di cui la leggenda parla, si fosse riunita lì in quell’area, fuori città, non certo per Barnaba che nessuno conosceva, ma piuttosto per qualche motivo diverso: ad esempio per celebrare o per festeggiare qualcosa. Ma cosa? In effetti, riflettendo, un motivo di festeggiare poteva esserci davvero!

Ndr. – I Celti, chiamati Galli dai Romani, erano politeisti.  Le loro divinità erano spiriti che risiedevano nell’insieme della natura: alberi, colline, laghi e monti avevano tutti una propria anima e rappresentavano una divinità. Superstiziosi per la credenza che gli spiriti risiedessero ovunque, avevano paura della malasorte e delle punizioni divine. I druidi erano i gran sacerdoti celtici, figure sia religiose che giuridiche, e poiché conoscitori delle proprietà medicinali delle piante, svolgevano anche il ruolo di medici. La loro funzione principale era mettere in comunicazione i mortali con le divinità, per far loro conoscere il volere degli dei. Erano soliti riunirsi in luoghi particolari, per compiere i loro riti magici. Generalmente, venivano scelti i luoghi che, secondo la superstizione celtica, rappresentavano il punto di contatto tra varie forze della natura. In presenza di alture, in punti che potevano essere visibili anche da molto lontano, venivano costruiti monumenti in pietra come dolmen o menhir, che avevano un particolare significato religioso, ancora ignoto oggi agli storici e agli archeologi. Mediolanum, essendo in pianura, non offriva alture quindi simbolicamente i riti venivano celebrati intorno ad una pietra particolare.

Il 13 marzo, era in effetti, la ricorrenza di un fatto per loro molto importante, avvenuto esattamente 95 anni prima. guarda caso, nel 44 a. C ! Poteva essere abbastanza logico un assembramento di persone fuori dalle mura della città per celebrare a modo loro, secondo i rituali tramandati dai loro avi, un evento che i Romani, per le loro usanze e la loro cultura, avrebbero celebrato nel Foro della città in maniera sicuramente diversa.

Celebrazione in onore di Bruto

Con tutta probabilità, si trattava di un rito celtico in onore di Marco Giunio Bruto per celebrare l’anniversario dell’assassinio per mano sua, del loro peggior nemico Caio Giulio Cesare, Si trattava di un evento che, per la sua importanza, non poteva essere dimenticato, un dramma che aveva coinvolto da vicino tutto il loro popolo. Il delitto era avvenuto a Roma, dove il “maledetto”, aveva pagato con la vita, i suoi misfatti e la sua sete di potere. A causa della sua ambizione, più di un milione di Galli erano stati uccisi, nel corso della lunga campagna gallica fra il 58 ed il 50 a.C. (come riporta il famoso “De Bello Gallico“, scritto da Cesare stesso). Fu ucciso con 23 coltellate, da parte di un gruppo di sicari a capo dei quali vi era Marco Giunio Bruto, personaggio amato e molto stimato dal popolo lombardo. Era stato proprio il console Cesare a mandarlo a Mediolanum e farlo conoscere ai milanesi. Gli aveva affidato l’ufficio di legato propretore della Gallia Cisalpina (47 a.C – 45 a.C ) e quello di pretore urbano nel 44 a.C, attività che Bruto, aveva condotto in maniera davvero esemplare. Appena avuta notizia del cesaricidio, il Senato della città aveva inteso ricordare l’evento, facendo erigere nel Foro, una statua di bronzo, in onore di Bruto.

Dopo la Guerra Civile (49 a.C – 45 a.C) e la definitiva vittoria sul suo rivale Pompeo, infatti, Cesare non aveva più ostacoli sul proprio cammino, e dopo aver assunto la carica di dittatore a vita nel 44 a.C ed aver persino designato un successore (proprio come un monarca), sembrava in procinto di smantellare la vecchia Repubblica Romana per accentrare tutto il potere, nelle mani di un solo uomo. Fu questo il motivo per cui, nel 44 a.C., un nutrito gruppo di senatori progettò il suo assassinio, attentato che ebbe luogo alle idi di marzo di quell’anno, cioè il 15 marzo, durante la riunione del Senato nella Curia Pompeia del grande Teatro di Pompeo al Campo Marzio. I congiurati, capeggiati da Gaio Cassio e  Marco Giunio Bruto, si consideravano custodi e difensori della tradizione e dell’ordinamento repubblicano che, per cultura e formazione, era contrario a ogni forma di potere personale assoluto.

La morte di Cesare alle Idi di Marzo del 44 a. C. dipinto di Vincenzo Camuccini

I Celti non avevano nozione del significato di “idi”: per loro, quel giorno, era semplicemente il quindicesimo del mese di marzo: il triduo di festeggiamenti sarebbe quindi iniziato due giorni prima, il 13, proprio il giorno dell’arrivo di Barnaba alle porte della città. Indubbiamente, se la leggenda avesse menzionato questa storia, anche il discorso che, si dice, l’Apostolo fece alla gente, avrebbe trovato ampia giustificazione essendo il Vangelo di Cristo e la Buona Novella, le migliori premesse per ogni riconciliazione.

Il miracolo dei fiori

Tornando a Barnaba, che abbiamo lasciato ai bordi della radura, è presumibile che si sia avvicinato al gruppo che stava celebrando l’evento attorno ad una pietra forata con tredici tacche incise. Quella pietra rappresentava il cuore Vivo dell’Anima Celtica. Quanto al fatto che l’Apostolo abbia effettivamente cominciato a conversare con loro è probabile anche. se ben pochi di loro, comunque. non conoscendolo, gli avrebbero dato retta. In quell’occasione, a destare l’attenzione generale nei suoi confronti, fu la curiosità per un inusuale fenomeno. La leggenda narra infatti che la neve, che quell’anno, ancora ricopriva il terreno, si sciolse d’incanto al passaggio di Barnaba, facendo subito sbocciare i primi fiori.

La pietra celtica

Improvvisata una rudimentale croce di legno con due rami incrociati,, e fissatala sulla pietra forata intorno a cui si erano raccolti tutti, cominciò a predicare e fare proseliti. Meglio sorvolare su come facessero a comunicare, visto che difficilmente parlavano la stessa lingua … facciamo atto di fede! Quanto alla pietra, con tutta probabilità, quella era una pietra tombale, trovata in un’area cimiteriale nei pressi di Porta Orientale, fuori le mura.

In Oriente, il foro centrale di quella pietra circolare,( attualmente chiuso da una borchia), viene chiamato “porta della liberazione”, a causa della credenza che da quel buco fuoriesca, cioè si liberi l’anima staccandosi dal corpo del defunto già sepolto.

Quanto alle 13 tacche, escludendo possa esserci riferimento al giorno 13 in cui Barnaba giunse a Milano per evangelizzare la città, siamo nel campo delle pure ipotesi: fra gli studiosi, vi è chi pensa trattarsi di un riferimento alle tredici lunazioni, o alle tredici costellazioni, poiché i Celti erano soliti celebrare la ciclicità della Vita, con le festività legate al movimento degli Astri e del Sole stesso, oppure che quella rappresenti la ruota della Vita, simbolo del dio Belenos e della dea Belisama.

pietra-forata El tredesin de Marz
La leggenda del tredèsin de Marz a Milano

Ndr. – La tredicesima costellazione nota agli astronomi, non agli astrologi, è il Serpentario o Ofiuco, che il Sole attraversa fra il 30 Novembre e il 17 Dicembre. E’ l’unica costellazione che non ha ancora dato il nome a un segno astrologico.

Il miracolo delle statue distrutte

La leggenda continua raccontando che diverso tempo dopo, in una bella giornata di avanzata primavera, Barnaba, che fino ad allora si era rifiutato di entrare in città per non dover onorare, come d’uso, le statue degli dei pagani poste ai suoi ingressi, decise, con i suoi proseliti, di fare una processione intorno alle mura della città, impugnando la croce. La tradizione dice che al suo passaggio, accadde un nuovo miracolo: transitando davanti alle varie porte, tutte le statue “pagane” caddero in pezzi, sbriciolandosi. A questo punto, Barnaba, non più obbligato a onorare quegli dei, poté entrare in città da Porta Ticinese (luogo non lontano da dove sarebbe stata, in seguito, costruita la Basilica di S. Eustorgio), sia per predicare, che per celebrare i suoi primi battesimi.

Quando lasciò Mediolanum, Barnaba regalò ai milanesi come pegno di fede, la sua croce di legno, infissa nella pietra rotonda; pietra che ancora oggi si può ammirare  a metà della navata nella Chiesa di Santa Maria al Paradiso, in Corso di Porta Vigentina.

tredesin_660_2 El tredesin de Marz
La leggenda della “pietra del del tredesin de Marz” a Milano

La pietra, collegata al culto di San Barnaba, fu oggetto di grande venerazione, nel corso dei secoli. Nel IV secolo, nello stesso posto del suo ritrovamento, venne edificata, per volontà di sant’Ambrogio, la basilica di San Dionigi, come piccola cappella di un monastero, posta in mezzo a un cimitero paleocristiano. Gli studiosi avrebbero identificato la sua collocazione, esattamente dove oggi sorge il Planetario Ulrico Hoepli. Sembra che sempre lì, andata in rovina la cappella, venne riedificata intorno al IX secolo, una chiesa più grande. Fino alla data della sua demolizione attorno al 1560,questa custodì la pietra celtica come reliquia. Questa venne quindi trasferita e conservata nella nuova chiesa costruita nel 1550 da Pellegrino Tibaldi, all’altezza del lato nord dell’attuale Museo di Storia Naturale, fino a quando pure questa non venne demolita nel 1783 (in ottemperanza alle disposizioni del giuseppinismo), per permettere la realizzazione dei Giardini Pubblici di Porta Orientale.

Il primo fonte battesimale

Fra i luoghi che la tradizione lega all’evangelizzazione operata dall’Apostolo nella Mediolanum di allora, vi è anche il primo fonte battesimale della città nei pressi di Sant’Eustorgio, fuori dalle mura romane, in cui, si dice che san Barnaba battezzasse i convertiti.

La tradizione riporta l’esistenza di una sorgente prodigiosa presso Sant’Eustorgio. Sembra che Barnaba, non intendendo dimorare in una città ancora pagana, avrebbe posto la propria residenza fuori dalle mura, presso la sorgente e qui avrebbe celebrato all’aperto la sua prima messa. Il “fonte di S. Eustorgio” come è denominato in documenti a partire dalla fine del XIII secolo, dopo l’età medievale, conobbe un lungo periodo di abbandono e degrado e venne utilizzato come lavatoio; Federico Borromeo decise di restaurarlo e vi fece costruire sopra la chiesa di San Barnaba, progettata dal Richini, che venne consacrata nel 1623 e demolita nel 1844. Oggi il fonte è conservato sotto il cortile di una casa prossima alla basilica (in Piazza Sant’Eustorgio 8) e si presenta come un semplice bacino in granito serizzo di circa 2 m di lato.

Fonte battesimale di San Barnaba

Uscendo dalla Basilica di sant’Eustorgio, a sinistra, si trova un edificio color rosa sulla cui facciata è apposta una lapide, che attesta la presenza del primo fonte battesimale di Milano, costruito nei tempi apostolici, restaurato e benedetto dal Card. Federico Borromeo il 28 ottobre 1623.
Questa sede fu scelta perché scorrendo proprio lì un corso d’acqua, la Vettabbia, l’evangelizzatore di Milano la utilizzò per fondare il primo fonte battesimale; inoltre, esso era situato in prossimità di  un cimitero pagano già esistente.
[rif. – http://www.santeustorgio.it/tradiz]ioni.html]

Lapide in Piazza Sant’Eustorgio

Poiché Barnaba sarebbe così entrato in città da Porta Ticinese, e avrebbe eletto il suo compagno di viaggio, Anatalone, primo vescovo della diocesi di Mediolanum, secondo un’antichissima tradizione, ancora oggi il vescovo che entra in Milano per prendere possesso della sua diocesi, lo fa da qui, da Porta Ticinese. E la sosta in Sant’Eustorgio, è ovviamente di rito.

Dubbi storici smentiti dalla tradizione

Anche se sembra che la storia oggi, voglia smentire i fatti, dato che metterebbe in dubbio che San Barnaba sia mai giunto a Mediolanum, la tradizione  popolare meneghina continuò per secoli (fino al 1396) a festeggiare tale data, con grande solennità, come fosse una giornata festiva. La festa verrà riconfermata due secoli dopo, nel 1583 da San Carlo Borromeo, come vero “dies festus”, per ricordare con cerimonie religiose, il miracolo della fioritura anticipata.

Da allora, ogni anno, in ricordo di questa ricorrenza, mentre la Chiesa festeggia il Santo con una celebrazione religiosa in Santa Maria al Paradiso, viene allestito lì vicino, nella domenica della seconda settimana di marzo, un mercato, nato come antica fiera dei fiori di Milano e oggi è costituito da bancarelle di ogni genere.

Questo è il motivo per cui , a Milano, “el tredèsìn de marz è diventato il primo giorno di primavera.

Una curiosità

Un’antica credenza vuole che al “tredèsìn de marz” si taglino i capelli ai bambini: questi ricresceranno più folti e robusti!

Chi era Barnaba

Nato con il nome di Giuseppe, era un giudeo di famiglia levitica emigrata a Cipro. Per questa sua ascendenza levitica, era probabile la sua frequente presenza in Gerusalemme. Secondo gli Atti degli Apostoli, non molto dopo l’episodio della Pentecoste, vendette tutti i suoi averi e consegnò il ricavato alla Chiesa cristiana appena nata; dopo il battesimo fu rinominato Barnaba, che significa “figlio della consolazione” o “figlio dell’esortazione”[. Fu lui, divenuto un membro autorevole della prima comunità cristiana, a farsi garante di Saulo di Tarso, ex-persecutore dei cristiani, recentemente convertitosi a Damasco, che verrà chiamato Paolo.

Quando ad Antiochia iniziò la conversione dei primi cristiani non ebrei, Barnaba vi fu inviato lì insieme a Paolo, divenendo uno dei capi della comunità. L’enorme successo della loro predicazione ad Antiochia, inizialmente creò dubbi nella Chiesa di Gerusalemme; ma Paolo e Barnaba tornarono a riferire agli Apostoli come si era svolta l’evangelizzazione. Da Antiochia di Siria, visto il successo tra i gentili, partirono per evangelizzare altri popoli, accompagnati da Giovanni Marco, futuro Marco evangelista e parente di Barnaba.

Ndr. – L’appellativo gentili derivato dal latino biblico (gentes, gentiles), designa tutte le genti non giudaiche partecipi dei costumi e della cultura greca nel mondo romano. In opposizione al popolo israelita, gentili equivale a pagani. [rif. Enciclopedia Treccani]

Negli Atti degli ApostoliPaolo partì per l’Asia con Sila, mentre Barnaba e Marco andarono a Cipro, tra il 50 e il 53; poi negli Atti non lo si menziona più: da qui inizierà il suo viaggio in Italia.

Secondo quanto attestano alcuni cataloghi bizantini sui discepoli del Signore (VII-VIII sec.), Barnaba si recò prima a Roma, insieme a Pietro, poi si spostò velocemente verso il nord d’Italia, per fondare la Chiesa in Mediolanum. Una leggenda devozionale milanese lo vede arrivare in città il 13 marzo del 51.

San Barnaba

Secondo la leggenda, Barnaba continuò a viaggiare e a predicare fino al 61 d. C, quando arrivò a Salamina, isola greca del mar Egeo, luogo del suo martirio. Venne infatti lapidato da un gruppo di giudei. Pare che al momento del martirio, avesse in mano una copia del Vangelo di Matteo

Chiesa di Santa Maria al Paradiso

La sua facciata ottocentesca realizzata nel 1897, su progetto dell’architetto Ernesto Pirovano, indurrebbe a pensare che sia relativamente recente. Invece la prima pietra di questa chiesa, fu posta il 27 giugno 1590 dall’Arcivescovo di Milano Gaspare Visconti, immediato successore di San Carlo Borromeo. L’interno è a navata unica di ordine ionico con otto cappelle laterali intercomunicanti. Sulla volta a botte della navata vi è un affresco raffigurante l’Assunta originariamente dipinto da Andrea Pellegrini, rifatto da Ferdinando Porta nel 1737. Nella prima cappella a destra, è visibile l’affresco della Predicazione di San Barnaba a Milano, di anonimo del sec XVII.

Era originariamente una chiesa conventuale dei frati del Terzo Ordine Regolare di San Francesco. I Francescani rimasero in questa chiesa fino al 1782, quando, un decreto imperiale austriaco, fece chiudere sei monasteri maschili di quell’Ordine, tra cui il loro. Nel 1783 giunsero a Santa Maria al Paradiso, i Serviti, sfrattati a loro volta dalla Basilica di san Dionigi di Porta Orientale, in base alle riforme disposte dal giuseppinismo. Nel loro caso, l’Abbazia e la relativa basilica si San Dionigi a Porta Orientale avrebbero dovuto essere demolite per lasciar posto ai Giardini Pubblici.

Ndr. – I Serviti o Ordine dei Servi di Maria è un ordine mendicante della Chiesa cattolica, fondato a Firenze, probabilmente nel 1233, da un gruppo di sette persone, poi conosciuto come i sette santi fondatori

Chiesa di Santa Maria del Paradiso

Questi, trasferendosi nella nuova sede, portarono con loro  opere d’arte, ricordi e reliquie. Fra queste, il Crocefisso di Ariberto, che poi nel 1872, venne collocato in Duomo, sulla tomba dell’Arcivescovo Ariberto da Intimiano fondatore dell’Abbazia di S. Dionigi (e ora collocato nel Museo del Duomo), la Santa Lucia attribuita a Francesco Fabbrica collocata nella seconda cappella a sinistra e infine la pietra celtica, posta al centro della navata, in cui per tradizione il 13 marzo del 51 d.C. San Barnaba piantò la croce quando arrivò a Milano per annunciare il Cristianesimo. La presenza di questa pietra nella chiesa diede origine della festa laica del Tredèsin de Marz (in dialetto milanese: del 13 marzo) come festa dei fiori, ancora viva nel quartiere.

La Chiesa Santa Maria al Paradiso e la pietra sacra, pertanto, sono una meta turistica irrinunciabili per tutti coloro che sono in visita a Milano. Se poi si ha pure la fortuna di capitare lì la domenica della seconda settimana di marzo, visitata la chiesa, non si può non andare ad ammirare il tripudio di colori della primavera alle bancarelle dei mercatini alla festa dei fiori.

La pietra sacra incastonata nel pavimento della navata centrale della chiesa di Santa Maria al Paradiso

Negli anni la memoria religiosa di questa festa della seconda domenica di marzo, si è colorata dei fiori e delle piante che i coltivatori della provincia espongono ogni anno per la vendita  tra via Crema, via Piacenza, via Giulio Romano e nei pressi del sagrato della chiesa di S. Andrea. Sacro e profano come spesso accade in Italia si sono fusi e ci hanno così tramandato questa tradizionale fiera ambasciatrice della primavera, che tutti i milanesi amano. Infatti il Tredèsin per quantità di espositori e di pubblico viene subito dopo la mitica fiera natalizia di Oh Bej Oh Bej.

La festa dei fiori

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Come arrivare

Queste linee hanno fermate in corrispondenza di Santa Maria Al Paradiso in Corso di Porta Vigentina 14

Metro : MM3 – linea gialla (Stazione Crocetta)
Bus : 60, 62, 65, 81, 91, 94

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