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La Cascina Linterno

Premessa

Per secoli, il contado intorno a Milano, ricco di vegetazione, boschi, fiumi, ruscelli, stagni, risorgive, è stato polo d’attrazione per gli amanti della quiete e della natura e regno incontrastato di animali e selvaggina. Sono numerose le ville patrizie (le famose ville di delizia) sparse per il territorio, oltre a monasteri, grange e cascinali disseminati qua e là, in tutta l’area.  

Ndr. – Il termine grangia (o grancia) originariamente indicava una struttura edilizia utilizzata per la conservazione del grano e delle sementi; poi, il complesso di edifici costituenti un’azienda agricola e, solo in seguito, passò ad indicare una vasta azienda produttiva, per lo più di proprietà monastica.

Nella zona ovest, in particolare, in un’area che si estendeva per alcune miglia dal Castello, nel XIV e XV secolo, vi era il famoso Barcho, terreno notoriamente usato sia dai Visconti, che dagli Sforza per le loro frequenti battute di caccia, e poi, un po’ più in là, oltre l’Olona, una vasta distesa di campi, boschetti. fontanili e marcite.

Per approfondimenti sul Barcho si consiglia di cliccare sul seguente link
Galeazzo Maria Sforza (Duca dal 1466 al 1476)

A parte la bellezza della natura e, a quei tempi, la salubrità dei luoghi, queste zone avevano il grosso pregio di essere davvero a due passi dalla città, raggiungibili addirittura a piedi, avventurandosi lungo i rari sentieri che, allora, univano fra loro le varie borgate ed i cascinali della zona.

La presenza di cascine nella campagna milanese, è già testimoniata in tutta l’area, a partire dal X secolo: si trattava per lo più, di depositi per prodotti agricoli oppure fienili, talvolta annessi alle abitazioni contadine. In seguito, intorno al XIII secolo, tali costruzioni iniziarono a caratterizzarsi come strutture insediative composite, fatte di complessi abitativi e rustici.

La Cascina Linterno

Milano, si sa, non ha mai avuto particolare vocazione per la conservazione della memoria del proprio passato. Tanti, troppi sono i monumenti, anche importanti, andati distrutti nel corso dei secoli, non a causa di guerre o di eventi naturali, ma sacrificati dagli stessi milanesi o per speculazione edilizia o per favorire la viabilità, in nome della mobilità e del progresso.
La cascina, che oggi conosciamo col nome ‘Linterno‘, ha rischiato di fare la stessa tristissima fine; in questo caso, vittima dell’ignoranza e della solita speculazione edilizia. Vista oggi, apparentemente sembra una delle tante cascine in stato di semi-abbandono, con i muri scrostati, i mattoni a nudo, i soffitti cadenti, etc, ma non è esattamente così. Qui sono state applicate le più recenti tecniche di salvaguardia dei monumenti. con l’evidenziazione degli strati (cioè dei vari interventi di ristrutturazione, avvenuti nel corso dei secoli). Non lo si direbbe, ma questi muri hanno quasi un migliaio di anni di storia alle spalle, e il complesso è un monumento storico, oggi tutelato dal Ministero dei Beni Culturali, non ancora totalmente ristrutturato, comunque miracolosamente sopravvissuto, insieme al prezioso territorio agricolo circostante, alla tumultuosa invasione di cemento del dopoguerra.

Perché è così importante?

Conviene fare, a questo punto, una piccola digressione storica.

Siamo nel periodo delle crociate (anni 1000-1100) e dei pellegrinaggi verso l’Oriente, seguendo le antiche strade della fede, verso il Santo Sepolcro, in Palestina.

Il tratto Canterbury-Roma dell’itinerario di Gerico, uno dei tragitti che componevano la via Francigena

Ad ovest della città di Milano, uno dei percorsi di pellegrinaggio più antichi, era la cosiddetta “via Francigena” , la via che proveniva dal regno dei Franchi. Questa, partendo da Canterbury, sede dell’arcivescovo d’Inghilterra, seguendo un percorso quasi rettilineo, arrivava fino a Roma, sede del Papato. Attraversata la Borgogna e superate le Alpi sul Mons Iovis (l’attuale Gran San Bernardo), proseguiva verso Mortara e Pavia. Passata poi la Cisa, costeggiando l’Appennino, continuava in direzione della Lunigiana, arrivando infine a Roma.
Quando, dopo le ultime scorrerie degli Ungari, le strade cominciarono essere più sicure, una variante a questo percorso, passava per Novara, Magenta, Settimo, e Quarto Cagnino, sfiorando Milano ad ovest e proseguendo poi in direzione di Pavia.
Da Porta Vercellina, ad ovest di Milano, iniziava la strada Vercellese. una delle principali strade già in epoca romana, l’antica ‘ad Novarium‘. Le località lungo questo itinerario, portano ancora oggi infatti, i nomi romani di allora, come ad esempio Trenno (Tremnum), Quarto Cagnino (Quartum Castrum), Quinto Romano, (Quintum Sanctus Romanus), Settimo (Septimum). La via era anche un importante percorso di pellegrinaggio, come testimoniato da una pergamena del 1153, trovata nell’archivio della canonica di Sant’Ambrogio, che indica la presenza di uno ‘xenodochium‘, cioè di un ospedale per pellegrini, a Garbaniate, località ora scomparsa, fra l’attuale Baggio e Seguro.

Ci troviamo in via Fratelli Zoia, davanti a uno dei luoghi più antichi e forse meglio conservati della parte esterna dei bastioni di Milano. Situato nel Parco Agricolo Sud, nella zona sud-ovest della città, è ubicato proprio al limite dell’attuale Parco delle Cave, nel Municipio 7, in zona Baggio.
Questa, al pari delle altre cascine intorno alla città, rappresenta non solo un importante patrimonio storico e culturale della campagna milanese, ma è pure una testimonianza dell’antica tradizione agricola della regione.

Il Parco delle Cave Evidenziata nel cerchio rosso, la Cascina Linterno

La «strada per Quarto»

Quasi mille anni fa, disposto sulla strada o strada per Quarto (non aveva un reale nome allora, l’attuale via Fratelli Zoia), vi era un insieme di costruzioni, chiamato ‘Infernum‘. Era una grangia, cioè un insediamento rurale fortificato, con torre di guardia, della quale, recentemente, si sono trovate le fondamenta. Era comunque una struttura aperta, non come la vediamo oggi.
Diversi indizi portano ad affermare l’esistenza, in questo punto, nel XII secolo, di una sorta di ostello, un luogo di ospitalità per viandanti e pellegrini, gestito da una comunità monastica giovannita o più probabilmente templare. Da documenti trovati dagli storici, pare che questa struttura dipendesse dallo hospitale de Sancto Iacopo ad Ristocchanum  (San Giacomo al Ristocano). Di questo ‘hospitale‘, situato nell’attuale via del Molinazzo (dietro piazzale Siena), resta una chiesa dalle linee romaniche, attualmente sconsacrata.  Localmente, (cioè in vicinanza della cascina), la «via per Quarto», collegando la pieve di Trenno, con quella di Cesano Boscone, incrociava (poco più a nord), l’antica strada consolare delle Gallie (oggi via Novara), nata per collegare Milano, alla Francia.

Ndr. – La strada consolare delle Gallie era stata fatta costruire da Augusto, sulla traccia di sentieri preesistenti per collegare la Gallia Cisalpina situata in Pianura Padana, con la Gallia Transalpina, da cui deriva il nome della strada. Prima opera pubblica realizzata dai Romani in Valle d’Aosta, attraversava parte dell’ Italia, della Francia e della Svizzera di oggi.

Continuando a percorrere la strada verso sud invece, vi erano altre cascine, la Cassina Badarhoco (Cascina Barocco), la Sella Nuova e, un centinaio di metri oltre, lungo il percorso dell’attuale via Bisceglie, la Carthusia Garignani (Certosa di Garignano), oggi scomparsa. Proseguendo oltre, in direzione sud, la strada conduceva al nuovo complesso monastico cistercense di Chiaravalle, fondato proprio in quel periodo (1134).

NOTA SULLA CARTHUSIA GARIGNANI’

La Certosa di Garignano cui si fa riferimento qui sopra, non ha nulla a che vedere con l’attuale Certosa di Garegnano (zona Musocco, in fondo a viale Certosa).
Era un monastero femminile dedicato a Santa Maria di Garignano (dal XVII secolo dedicato a S. Antonio), oggi non più esistente, faceva capo alla pieve di Cesano Boscone. Distante circa 1/4 di miglio a sud della ‘cassina ad Infernum‘ (l’attuale Cascina Linterno), era situata all’inizio di via Bisceglie.

E’ documentata una ‘Carthusia Garignani‘ nella ‘Biblioteca scriptores mediolanensis‘ del fondatore della società palatina, Filippo Argelati, in cui si cita un manoscritto del sacerdote e storico Bartolomeo de Guerci, appartenuto nel 1257, alla Certosa di Garegnano, dove si legge ‘qui olim spectavit ad Monasterium Carthusiam Garegnani prope Mediolanum. Questa pertinenza era impossibile nel 1257, poiché la Fondazione della Certosa (che tutti conosciamo) risale al 19 settembre 1349 con la dedicazione a S. Maria domus Agnus Dei.
[rif – Infernum&Linterno, A Milano rivive Casa Petrarca – CSA Casa Petrarca pagg. 30-31].

Riaffiora quindi dal passato, l’antica Certosa di Garegnano Marcidus (Marzidus) nella pieve di Cesano preesistente alla Certosa di Garegnano Corbellara nella pieve di Trenno.

Casa di villeggiatura di Francesco Petrarca

Questa Cascina è una tra le realtà storiche di maggior pregio del Parco Agricolo Sud Milano. Secondo un’antica e radicata tradizione infatti, la Cascina Linterno, è considerata la villa “pel tempo d’estate” in cui soggiornò il sommo Vate Francesco Petrarca (1304 -1374), poeta che potremmo considerare come “ecologo ante litteram”, per il suo amore per l’ambiente agreste e la sua passione per la natura, temi questi, così frequentemente descritti nelle sue opere. 

Ndr. – Invitato in città dall’arcivescovo e Signore di Milano Giovanni Visconti, perché lo aiutasse nella sua intraprendente politica espansionistica viscontea (ai danni delle altre potenze italiane, fra cui Firenze), Francesco Petrarca accolse di buon grado l’offerta. Malgrado le critiche degli amici fiorentini (tra le quali, quella risentita del Boccaccio, che gli rimproverava la scelta di essersi messo al servizio dell’acerrimo nemico di Firenze), Francesco svolse, per conto dei Visconti, varie missioni diplomatiche ed ambascerie all’estero. Fece viaggi a Parigi, a Venezia, a Mantova e a Praga ove ebbe pure l’occasione d’incontrarsi con Carlo IV di Lussemburgo, re di Boemia ed Imperatore del Sacro Romano Impero.

Quando, nel 1353, era arrivato in città, il sommo Vate proveniva dalla Provenza. La prima casa in cui aveva dimorato nei primi tempi, era stata quella di via Lanzone, a ridosso dell’istituto delle Orsoline di San Carlo (al tempo monastero maschile), proprio di fronte alla basilica di Sant’Ambrogio e a due passi dalla relativa Pusterla, una delle porte secondarie ad ovest della città. Uscendo da quella porta, amava fare le sue lunghe passeggiate in campagna, oltre le mura, lontano dalla confusione della vita frenetica della città, perennemente alla ricerca della ‘deliziosa solitudine‘ che tanto bramava. Si era poi trasferito a San Simpliciano, fuori le mura. I frati di quel monastero gli avevano assegnato una cella sul retro, l’unica con una porticina segreta che gli consentiva di uscire in campagna non visto da alcuno, per soddisfare il suo bisogno di solitudine a diretto contatto con la natura. Aveva pure soggiornato per qualche tempo presso la Certosa di Garegnano (presso Musocco), pur essendo ancora tutta un cantiere. Sarebbe stata consacrata infatti, appena nel 1367. Ma tradizione vuole che il posto più ambito di tutti fosse la ‘cassina ad Infernum‘, l’unica ove, nella deliziosa solitudine agreste, riusciva a trovare l’ispirazione migliore per i suoi scritti. Non gli dispiacevano affatto né Milano né i suoi dintorni, e vi sarebbe anche rimasto per il resto dei suoi giorni se, in seguito ad una improvvisa epidemia di peste scoppiata in città nel 1361, ed aver perso proprio a causa del morbo, quell’anno, il figlio Giovanni, non fosse stato costretto ad abbandonarla, per trovare rifugio dapprima a San Colombano al Lambro, poi a Venezia ed infine ad Arquà, sui Colli Euganei.

A dire il vero, a quasi 500 anni dalla morte del Petrarca, nel 1845, qualche negazionista aveva manifestato scetticismo circa la reale attendibilità del fatto che il Vate avesse effettivamente soggiornato a Cascina Linterno, tesi queste, comunque non suffragate da documenti in grado di smentire quanto testimoniato dai coevi del Poeta (ne parla lo stesso Boccaccio, suo amico) o successivamente documentato dai suoi biografi.

Gli indizi della sua presenza alla ‘cassina ad Infernum‘, sono davvero tanti e non unicamente dei passaparola, ma lettere autografe (che Petrarca scrisse agli amici più stretti), e le concordi conclusioni in merito, da parte di vari eminenti ‘petrarchisti‘ che, nel corso dei secoli, a diverso titolo, ebbero modo di studiarne la vita e le opere.

Fra le missive dello stesso Petrarca:

La lettera all’amico Guido Sette

Francesco Petrarca

In una celebre lettera inviata, nel 1357, all’amico d’infanzia, Guido Sette (a quella data, già arcivescovo di Genova), il Petrarca, pur non facendo esplicito riferimento alla ‘cassina ad Infernum‘ (così si chiamava allora la Cascina Linterno), quale sua residenza di campagna, ben descrive il luogo bucolico dell’allora contado milanese. Anche se non può quindi esserci certezza assoluta, non è particolarmente difficile identificare il posto, considerando sia la distanza dalla città che le caratteristiche dell’ambiente agreste circostante, che gli consentiva di godere della ‘deliziosa solitudine‘, che tanto cercava, per dare libero sfogo alla sua ispirazione letteraria:
” … Pel tempo d’estate, ho preso una casa di campagna assai deliziosa presso Milano, ove l’aria è purissima, ed ora dove mi trovo. Essa è lontana dalla città solo tremila passi; s’erge in mezzo ad una pianura; è cinta d’ogni intorno da fonti non uguali, per vero dire, a quelli della transalpina nostra selva, ma piccoli e lucidi, e così intrecciati tra loro che appena si può comprendere donde vengano e donde vadano; così si uniscono, così si separano, così si affrontano sé medesimi, che diresti che un nuovo Meandro scherzi qui fra rive oblique. Meno in questa villa l’ordinaria mia vita; se non che vi sono ancora più libero e più lontano dalle noje della città; e la farei da sfaccendato se narrar ti volessi di quanti agresti piaceri io abbondi, e quali poma dagli alberi, quali fioretti dai prati, quali piccoli pesci dai fonti, quali anitre dalle paludi, mi rechino a gara gli umili miei vicini …”

Le descrizioni dettagliate che fornisce, relativamente alla reale ubicazione di questa sua ‘casa di campagna assai deliziosa‘, portano inevitabilmente alla Cascina Linterno, l’unica nei dintorni, con le caratteristiche descritte. Trovandosi effettivamente a ponente della città, nell’ambiente idilliaco che Petrarca descrive, si è portati indubbiamente a concludere, che la villa di cui scrive non può essere altro che questa.
(Ndr. – A dire il vero, i tremila passi indicati, sono un po pochini … d’altra parte è anche vero che non vi è nulla di più vicino a Milano con le caratteristiche riportate).
Del resto, passeggiando lungo i sentieri campestri che costeggiano le aree agricole e naturali dell’attuale Parco delle Cave, il locus amoenus, intorno a questa cascina, è ancora oggi effettivamente osservabile. I ‘fonti piccoli e lucidi‘, cui fa riferimento nella sua lettera all’amico, sono indubbiamente i fontanili, dei quali il comprensorio è sempre stato particolarmente ricco.

L’epistola che scrisse a Modius de Modiis

Alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, risulterebbe conservata una pergamena autografa del poeta, indirizzata a Modius de Modiis (tale Modius di Moggio), un suo amico parmense. L’epistola è la celebre Papiae 20 juni ad vesperam raptimscritta il 20 giugno 1369, nel periodo in cui il Petrarca non era più residente a Milano ma a Padova, al servizio di Bernabò Visconti (nipote di Giovanni Visconti, morto nell’ottobre del 1354). Dal 1362 al 1369 tornava a Milano saltuariamente o per la visita alla figlia Francesca o per altre necessità.

Accennando, in questa lettera, alle sue lunghe passeggiate fuori porta, nei rari momenti di libertà che si poteva concedere, il poeta gli esprimeva così, le sue intenzioni di tornare, per alcuni giorni, nella sua casa di campagna:

Lettera di Petrarca all’amico Moggio

«aliquot dies, si dabitur tranquillos rure acturus, cuius ethimologiam tibi committo. Ego quidem  Infernum  dicere solèo»
Tradotto dal latino, significa:
Se sarà possibile, trascorrerò alcuni giorni tranquilli in campagna di cui lascio a te divinare l’etimologia. Veramente sono solito chiamarla Infernum‘.

Proprio da questo curioso rimando, ci arriva la testimonianza del fatto che Petrarca soggiornò anche qui. A quanto pare, quindi, in questa lettera, il Petrarca esprime un desiderio di ritornare a godere della quiete della sua villa di campagna, appena libero dagli impegni di lavoro.

Fra gli studiosi che si occuparono di studiare la sua biografia e le sue opere:

Pier Candido Decembrio (1399 – 1477)

Pier Candido, figlio di Uberto Decembrio (1350-1427), archivista ufficiale dei Visconti, è considerato il principale biografo del Petrarca per il fatto che essendo suo padre coevo del poeta (anche se molto più giovane), Pier Candido poteva avere da lui notizie di prima mano sul Vate, tutto sommato abbastanza esatte.
Figura autorevole (essendo letterato, storico e segretario personale di Filippo Maria Visconti), nella sua seconda biografia petrarchesca del 1473, a proposito della vita del poeta, scriveva:
…. si steva a Millano per la maggior parte hebbe la sua habitatione in villa lungo de la città miglia .iiii. a uno luoco ditto inferno: dove la casa dallui assai moderatamete edificata anchora si vede ….’.

Parte della pagina di un incunabolo conservato nella Biblioteca Trivulziana, – Pier Candido Decembrio (?) – Vita di Petrarca, in Canzoniere, Trionfi, Memorabilia de Laura, Venezia.

Nel ‘700, nella sua ‘Storia di Milano’, Pietro Verri riferisce che:
… aveva Petrarca una piccola villa poco discosta dalla città nelle vicinanze della Certosa di Garignano: e quel casino solitario lo chiamava Linterno col nome della villa di Scipione Africano (villa Literno) comunemente poscia acquistò nome l’Inferno, parola più nota della prima. Si dice che Giovanni Boccaccio per amore del suo amico Petrarca, vivesse qualche tempo con lui in Milano, e al suo Linterno.

Ndr. – Come si può notare, anche Pierto Verri fa riferimento alla vecchia Certosa di Garignano, che, specifica, si trova nelle vicinanze della villa del Petrarca.

Cesare Cantù (1804 – 1895)

Nel 1865, Cesare Cantù, altra fonte autorevole in quanto direttore dell’Archivio di Stato di Milano, scrive nel II volume ‘Della letteratura italiana: esempi e giudizi’, che ‘il Petrarca soggiornò lungamente a Milano e a Linterno qui presso, e avea disposto d’essere sepolto qui‘.

Appare plausibile quindi, che il Poeta abbia trascorso alla Linterno, un periodo della sua vita; semmai, non vi è certezza assoluta che la villa (che, dicono, si fece costruire fra il 1351 e il 1353, su questo terreno, a quei tempi, di proprietà dei Visconti, forse usato come casino di caccia), sia stata da lui abitata effettivamente solo come residenza estiva, o piuttosto come casa ‘fuori porta‘ usata in alternanza con quella iniziale di via Lanzone, o quella successiva di San Simpliciano. Lui stesso si definiva peregrinus ubique, uomo in viaggio continuo, senza una dimora stabile. Essendo quindi, caratterialmente, un soggetto piuttosto inquieto e fieramente amante della propria libertà, era molto forte in lui – quando non impegnato in attività diplomatiche all’estero – il bisogno d’isolamento in ‘deliziosa solitudine‘, lontano dal caotico traffico e dal trambusto della città. Il giardinaggio, e le rilassanti passeggiate nei boschetti e lungo i sentieri vicino ai fontanili (di cui ancora oggi è ricca tutta la zona), erano per lui una deliziosa distrazione, che lo aiutavano a ritemprare lo spirito.

Perché questo luogo era chiamato Infernum?

Si ritiene che il termine ‘Infernum’ (probabilmente latinizzato), derivi dall’idioma alto germanico dei Longobardi ‘In fernem Land’ (In paese lontano). Nome questo, effettivamente strano e curioso, la cui attribuzione a questo luogo può essere giustificata, essendo tutta la zona in mano ad antiche famiglie longobarde (i ‘de Marliano‘, i ‘de Badagio‘ ecc. )

I primi documenti trovati riguardanti la cascina Linterno, denominata proprio come ‘cassina ad Infernum‘, risalirebbero addirittura ai tempi di Federico Barbarossa.

La Carta Investiture

A riprova di ciò, la scoperta di una pergamena, un atto notarile risalente al 1154, la cosiddetta “Carta Investiture“, documento conservato oggi presso la Canonica della basilica di Sant’Ambrogio, in cui la località ‘ad Infernum‘ esisteva già allora.

Carta Investiture’ – pergamena del 1154

In tale documento, Garicianus detto de Marliano‘, figurerebbe essere il proprietario di questa ‘cassina‘ e di tutti i vasti prati dell’area circostante. I ‘de Marliano‘ erano naturalmente una famiglia capitaneale della zona. Pare che, come si legge qui sotto, con tale atto, il Garicianus pretendesse da parte del prevosto della chiesa di Sant’Ambrogio, il pagamento di una sorta di pedaggio (di otto soldi di buoni denari milanesi d’argento) per permettere ai monaci della suddetta chiesa, il libero attraversamento dei suoi campi, per poter raggiungere i terreni di proprietà della chiesa, che si trovavano al di là di quelli suoi, in zona Quinto Romano.

CARTA INVESTITURE
1154 settembre 1, Milano
Carta accesii prati de Inferno (traduzione in italiano)
Garicianus 
detto de Marlian
o, investe Alberto, prete e preposito della chiesa di S. Ambrogio, e la chiesa stessa, rappresentati da Domenico detto Abbas di Milano, dell’accesso che, passando per il prato del detto Garicianus situato in località ad Infernum, giunge ai prati di proprietà della chiesa di S. Ambrogio. Garicianus promette inoltre alla detta chiesa, sempre rappresentata da Domenico, di difendere tale accesso e di non impedirlo mai in alcun modo, e riceve in cambio dalla chiesa otto soldi di buoni denari milanesi d’argento.

Gli Statuti delle acque e delle strade del Contado di Milano

Traccia di tale nome – ‘Cassina de Inferno‘ (o Cassina ad Infernum), vicina alla “Cassina Badarhoco” (Cascina Barocco). e alla “Cassina de le Done Bianche e Moreto” (Cascina non più esistente, nell’area della piazza d’armi, di fianco all’Ospedale Militare di Baggio), – figurerebbe pure negli ‘Statuti delle Acque e delle Strade del Contado di Milano‘ risalenti al 1346, redatti da Pietro Lambertenghi, per conto dei co-Signori di Milano Giovanni e Luchino Visconti. Queste infatti risulterebbero essere le tre cascine che si incontravano lungo la “… strata de Bagio comenzando al ponte dela Preda overo al cornise el quale se va al locho de Bagio”.

Ndr. – Probabilmente il ponte dela Preda, doveva essere il ponte sull’Olona, all’altezza del borgo La Maddalena (l’attuale piazza de Angeli), all’inizio della strada per Baggio.

Vi è chi ipotizza che il Petrarca abbia scelto questo “remotissimo posto”, probabilmente incuriosito dall’insolito nome che gli rammentava l’amata “solitudine” di Scipione l’Africano, nella sua casa (Villa Literno), in Campania.

Risulta che il nome ‘Infernum‘ o ‘Inferno‘ di questa cascina, restò inalterato sino a tutto il Cinquecento.
Infatti, come già precedentemente accennato, l’incunabolo del Decembrio, conservato presso l’Archivio Trivulziano di Milano, realizzato nel 1473, in occasione del primo centenario della morte di Petrarca, fa un preciso riferimento al “luoco ditto Inferno”, addirittura quale residenza principale del poeta a Milano.

Ndr. – Con incunabolo (o incunabulo), si intende un libro stampato con la tecnica a caratteri mobili, prima dell’anno 1501.

Non si conoscono altre cascine Infernum nel contado milanese; ne esiste solo una, chiamata in maniera simile, “Invernum”, ma si trova nel lodigiano, troppo lontana essendo ad una trentina di chilometri da Milano. La ‘cassina ad Infernum‘ (Cascina Linterno), si trova invece nei pressi del borgo di Quarto Cagnino che, come lascia intuire lo stesso nome, è situato a solo quattro miglia dalla città.

Da Inferno a Linterno

Come già detto quindi, qui fino a tutto il XVI secolo, il posto si chiamava Infernum o Inferno.
Successivamente ci fu una evoluzione relativamente a questo nome: da Inferno, il nome diventò poi Interno o Interna. Non è chiaro se per un errore di lettura, diventato consuetudine, o altro.

Nel catasto teresiano del 1722, la Cascina Linterno compare infatti col nome di ‘Cassina interna‘, come compresa, nel territorio di Sellanuova, nella pieve di Cesano Boscone. Altrettanto dicasi esaminando la mappa del contado, datata 1791 (vedi qui sotto, esattamente al centro della mappa).
Dall’Ottocento in poi, il nome diventò l’attuale Linterno.

Mappa del contado di Milano, zona ovest, con i confini delle pievi (1791)
Poco sopra Sella Nova (in centro), si vede la cascina Interna

Loratorio

Ndr. – L’ipotesi della presenza della chiesetta alla data del soggiorno del Petrarca, è indubbiamente affascinante, anche se non garantita, non essendoci notizie certe al riguardo. Intendo dire che, in proposito, non tutti gli storici sono concordi. Alcun asseriscono sia di parecchio posteriore.

Verso la metà del Settecento, un esponente della nobile famiglia Aquanio, tale Domenico, a quel tempo, proprietario della Cascina Linterno e dei terreni circostanti, fece costruire il piccolo oratorio dell’antica corte. . Unica nota di rilievo, una pala d’altare della scuola lombarda del Seicento (oggi scomparsa) e raffigurante l’Assunzione di Maria, cui la chiesetta è dedicata. 
Per quanto riguarda l’ogiva a sesto acuto delle finestre, si tratta di un rifacimento “neo gotico” ottocentesco. In una splendida acqueforte di Giovanni Migliara del 1820, la porta e la finestra della Chiesetta sono più ampie ed hanno la classica forma rettangolare. Segni questi, venuti alla luce nel corso del 2014 surante i lavori di pulizia delle facciate compiuti da Juan Carlos Usellini nell’ambito del progetto di restauro e di consolidamento strutturale promosso dal Politecnico di Milano.

Il fare costruire o ristrutturare la cappella, agli occhi dell’Arcivescovo dell’epoca, era indubbiamente cosa lodevolissima e sicura testimonianza della “vitalità religiosa” dell’Aquanio nei confronti della Chiesa. Incuriosisce come mai all’epoca fosse pratica comune da parte della nobiltà, l’accollarsi l’onere della costruzione di chiese o di cappelle private. Ma era effettiva devozione? Solo in apparenza perché avevano il loro tornaconto: l’effettuazione di queste opere garantiva in perpetuo la totale esenzione dalle tasse, o comunque una significativa riduzione delle stesse, senza contare poi i ‘benefici spirituali(cioè Messe per le loro anime, sia in vita che in morte), spettanti per diritto canonico ai detentori del giuspatronato.
Avendo l’Aquanio il giuspatronato di quell’ oratorio, in quanto proprietario, predispose che, alla sua morte come era usanza comune a quei tempi, si sarebbe dovuto celebrare una messa festiva al mese in suffragio della sua anima. Per officiare la messa, il celebrante sarebbe stato pagato con 30 lire imperiali all’anno, garantite dai beni posseduti dagli eredi presso la stessa cascina …” (Fonte : Archivio Giorgio Uberti_120514).

In Cascina non vi era la Canonica. Pare che il sacerdote fosse il parroco della chiesa del vicino borgp di Quarto Cagnino, e che, non abitando alla Linterno, venisse a dire messa nelle festività religiose più importanti, e, solo saltuariamente, durante la settimana.
Su un piccolo campanile a vela eretto sul tetto della casa Aquanio (sul lato orientale), vi furono collocate due piccole campane. Completata la ristrutturazione, la chiesetta della Cascina, fu benedetta e consacrata il 9 Ottobre 1754 dal prevosto di Trenno, don Flaminio Brugora, e l’oratorio venne dedicato alla Vergine Assunta.

Anche la piccola chiesetta fu arricchita di altri dipinti a carattere religioso che andarono ad aggiungersi alla Pala dell’altare della scuola lombarda del 600 e raffigurante l’assunzione di Maria, a cui la chiesetta è dedicata. Al suo interno, oltre alla pala d’altare, si potevano ammirare anche alcune statue di pregevole fattura. La balaustra era di marmo rosso, l’altare in legno finalmente intarsiato, beh, archi affrescati e frosoni, e una poltrona che nella tradizione sarebbe appartenuta a Petrarca.

Quando, all’inizio del ‘900, la Cascina Linterno era di proprietà Bellini-Lucini, la chiesetta fu visitata da Achille Ratti, allora prefetto della Biblioteca Ambrosiana e futuro Papa Pio XI (1922 – 1939). In quell’occasione, una lapide di marmo scuro fu posta a ricordare l’avvenimento.

Ecce homo

Ecce homo

Ancora oggi è rimasta, nella nicchia a destra dell’altare, una statua in cartongesso, non di particolare pregio, raffigurante l’Ecce Homo, con il mantello strappato, il corpo insanguinato e la testa cinta da una corona di spine.
Da secoli, questa statua risulta essere sempre in quellla nicchia nal suo posto. Sarà forse per scaramanzia ….. secondo un’antica leggenda infatti , se questa statua venisse rimossa da quella nicchia, ed asportata altrove, fuori dalla cascina, accadrebbe sicuramente il “finimondo”!

Giovanni riporta nel suo Vangelo l’espressione Ecce homo che significa “Ecco l’uomo”: il suo significato è strettamente legato all’azione da parte di Ponzio Pilato, di mostrare Gesù al pubblico dei Giudei in seguito agli episodi di flagellazione che lo avevano coinvolto.
Nel Vangelo, infatti, è possibile trovare traccia del racconto dell’arresto di Gesù che però, da quanto si legge, fu ritenuto innocente da parte del Governatore. Fu ugualmente flagellato, come sappiamo, perché i Giudei volevano vederlo giustiziato: sulle richieste di questi ultimi il Governatore decise di eseguire ugualmente la pena.
Proprio in seguito alla flagellazione Gesù fu mostrato ai Giudei: il suo corpo mostrava segni evidenti di tortura, era coperto di piaghe e ferite dalle quali usciva sangue. Sul capo gli fu posta una corona di spine, accompagnata da un mantello che richiamava la figura del re e fra le mani uno scettro di canna.

Le campane

Anche le campane del piccolo campanile della chiesa avevano la loro leggenda.
Ora sono state smontate perché il campanile a vela della chiesetta, non è più agibile a causa delle lesioni strutturali che si sono manifestate nel corso degli anni. Il piccolo campanile era stato fatto fare dall’Aquanio e sistemato sul tetto della camera da letto del Petrarca (casa allora abitata dalla famiglia di Domenico Aquanio).
Oltre a richiamare i fedeli per le funzioni religiose, quelle campane preannunciavano ai contadini l’ora d’inizio della giornata sui campi, quella della pausa meridiana e quella della fine della giornata lavorativa secondo l’ora italica.

Secondo una suggestiva leggenda, anch’essa tipica del mondo contadino, si racconta che la più piccola delle due campane, fusa nel 1753, veniva comunemente chiamata “la campana de la tempesta”. Questo perché, in prossimità di un fortunale con prevedibile grandinata, veniva suonata nella convinzione che le vibrazioni generate dai rintocchi del suo battacchio, avessero il potere di convertire i chicchi di grandine, in pioggia. In pratica era un modo per sperare, con tale mezzo, di tenere lontani dalla zona i temporali più violenti e le grandinate, in modo da riuscire a salvare i raccolti. La cosa avrebbe funzionato, solo se la campana fosse stata suonata, possibilmente da un minore, bambino o bambina, purché con sufficiente anticipo e in direzione del fortunale!

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Sistema di misurazione ad ore italiche

Il porticato

Di fianco all’Oratorio (nella foto qui sotto, la casetta più bassa a destra con porta e finestre in stile gotico) , vi è un piccolo porticato a due colonne, sopra il quale vi è una delle sale della dimora petrarchesca.

Sopra il porticato, la casa del Petrarca, a destra c’è la chiesetta

Vi sono due diverse tesi circa la datazione di queste colonne: vi è chi propende per farle risalire al 1100 e chi al 1400. Tutto si basa, in realtà, sull’esame dei capitelli che, essendo scudati, fanno propendere certamente più per la seconda tesi, che non per la prima. Comunque sia, pur non avendo certezza sulla loro datazione esatta, hanno sicuramente valore storico.
Secondo la tradizione, sono del XII secolo, quindi antecedenti all’arrivo del Petrarca a Milano. I capitelli sono particolari per la presenza di un monogramma piuttosto singolare FCF, con sopra una croce di Lorena. Si tratta di una croce patriarcale; si ipotizza che la doppia ‘F’ starebbe a significare ‘Fratres Fecerunt‘ (i monaci costruirono). possibile frutto, comunque, di speculazioni ottocentesche. Pare invece ignoto il significato della strana ‘C’ intermedia fatta da mano diversa, presumibilmente scolpita sulla pietra in un periodo successivo. Questo luogo, come precedentemente riferito, era collegato ad un ordine monastico cavalleresco perché si trovava posizionato su una via di pellegrinaggio. Sono stati trovati documenti che proverebbero che questi ‘Fratres‘ erano effettivamente dei templari: la casa madre di questa fattoria monastica, nel XII secolo era l’hospitale templare di San Giacomo Ristocano già menzionato, collegato a Santa Maria del Tempio.
È quindi presumibile che sia stato proprio il valore storico rappresentato dalla presenza di queste due colonne, ad aver influito in maniera non casuale sulla scelta del Petrarca di far costruire proprio lì a fianco la sua villa, inglobando quel porticato.

La villa

Ogni descrizione è superflua e non rende l’idea. E’ una somma di sensazioni bene sintetizzate in questo commento dei restauratori impegnati nel valorizzare Casa Petrarca, a chiusura di un recente convegno: ”Entrando nelle stanze di questa dimora, si è avvertita sin dall’inizio un’atmosfera di pura emozione, che va oltre l’esito dei lavori non sempre pertinenti effettuati in precedenza: il fascino che comunque vi traspare, porta inevitabilmente alla mente la presenza, seppur lontanissima nel tempo, di una grande, immortale Figura …”.

 Bellissima la parete con le imprese viscontee. Particolare la ‘Colombina’,(entro il cerchio rosso nella figura a lato) fonte coniata nel 1368 dal Petrarca per il diciassettenne Gian Galeazzo Visconti (1351-1402), come emblema augurale per le sue nozze con Isabella di Valois (1348-1372), assieme al motto ‘À Bon Droit’ (a buon diritto), quando ebbe modo di apprezzarne la mitezza, prospettando per lui un avvenire di pace.

L’impresa della colombina, posta al centro di un sole radiante (la cosiddetta raza, o radia magna) mentre tiene nel becco un nastro con il motto “A Bon Droit”, è una delle imprese viscontee e sforzesche indubbiamente più celebri.

Stando al racconto che Pier Candido Decembrio fornisce in una lettera del dicembre 1430, a Filippo Maria Visconti, questo emblema araldico fu coniato da Francesco Petrarca durante un suo soggiorno a Pavia per il giovane Gian Galeazzo Visconti, futuro duca di Milano, al quale la madre Bianca di Savoia aveva lasciato in eredità il possedimento di San Colombano al Lambro.

Ndr. – Se i disegni floreali di questa parete sono stati realizzati durante il presunto soggiorno del Petrarca al Linterno, sicuramente successivi sono la ‘colombina’ (nel 1368, Petrarca era già da sette anni andato via da Milano), per non parlare poi della ‘corona’ a tre punte che diversi storici asseriscono sia addirittura non viscontea ma sforzesca.

Passata più volte di mano, in un censimento del 1770, risulta essere appartenuta a più famiglie tra cui quella degli Aquanio proprietari della porzione meridionale del vasto appezzamento e quella dei conti di Cavenago, di quella settentrionale. Questi ultimi avevano anche vaste proprietà nel  vicino Borgo di Quarto Cagnino. Nel 1880 cedettero tutto, Cascina Linterno compresa, alla famigliai Cotta.

L’ampliamento e la chiusura della corte

Solo fra il Settecento e l’Ottocento vennero aggiunti tutt’intorno, nuovi fabbricati. i fienili, i magazzini e le stalle che le faranno assumere l’attuale forma di corte chiusa, tipica delle cascine lombarde. La chiusura delle cascine era dettata dall’esigenza di protezione soprattutto notturna dalle incursioni di malviventi, dai furti di bestiame e di attrezzature da lavoro, nonché di difesa dalle violenze.

Di fianco alla corte, quasi addossate alla stessa, sorse pure un gruppo di case rurali destinate alle famiglie dei contadini che lavoravano nei campi circostanti per conto dei proprietari della cascina, costituendo un vero e proprio piccolo borgo agricolo.

L’Osteria del Petrarca

Data la sua posizione e la vicinanza alla strada Vercellese (l’attuale via Novara), strada molto frequentata e nevralgica per i commerci con il Piemonte e la Francia, dopo l’unità d’Italia, venne aperta un’osteria-locanda denominata Osteria del Petrarca, la cui scritta sopravvisse fino ai primi anni 50 del ‘900, sul muro esterno della cascina.

Splendida veduta della “Solitudine di Linterno” dell’incisore Giovanni Migliara (1819) conservata nel fondo “preziosi” della Civica Raccolta di Stampe “Achille Bertarelli”, al Castello Sforzesco di Milano.

El pret de Ratanà

La vita del piccolo borgo, che aveva il suo cuore nel grazioso oratorio, sembrava procedere tranquilla fino a quando un giorno nel 1926, era venuto ad abitare a pochi passi da lì, al n. 182 di via Fratelli Zoia, don Giuseppe Gervasini. Da quel momento, fu un’autentica rivoluzione e la Cascina Linterno balzò agli onori delle cronache. Lui, un prete quasi sessantenne, era un soggetto davvero ‘sui generis‘, un tipo energico, trasandato, dai modi un po’ rudi, ma dal cuore d’oro, la cui fama di guaritore, nel corso degli anni, aveva varcato i confini del comune espandendosi non solo nel resto d’Italia, ma arrivando addirittura in Svizzera. Lo chiamavano ‘el pret de Ratanà‘, dal nome di Retenate, frazione di Vignate, un paesino a est di Milano, dove aveva iniziato ad officiare come cappellano nel 1897. Non era molto ben visto dalla Curia perché i modi che usava per guarire i pazienti, esulando da qualunque logica scientifica, lo facevano assomigliare molto più ad uno stregone, che non ad un prete, qual era effettivamente. A parte che operava in maniera assolutamente gratuita, le sue ricette (intrugli di erbe coltivate nel suo orto), incredibilmente funzionavano molto meglio della medicina tradizionale. Si affidavano alle sue cure, come ultima speranza, pazienti disperati, tutta gente che aveva perso ogni residua fiducia nei medici e nella medicina ‘ufficiale’. Tutti costoro erano uomini e donne di ogni ceto sociale, dalle persone più umili, a quelle più facoltose; persino Anna Maria Mussolini (figlia di Donna Rachele e del Duce), malata di poliomielite, era stata portata dalla madre a Milano, per essere curata da lui! Era stato proprio uno dei suoi pazienti più benestanti che, in segno di riconoscenza per l’insperata guarigione dopo le strane cure che don Gervasini gli aveva suggerito di seguire, aveva voluto donargli una casetta con giardino in via Fratelli Zoia 182. Da quel momento e fino alla morte di Don Giuseppe Gervasini, nel novembre del 1941, la Cascina Linterno divenne continua meta di visite di gente comune, che veniva da ogni dove.

La conserva (andata perduta)

La Cascina Linterno riuscì a scampare fortunosamente ai bombardamenti del ’43; non altrettanta fortuna, ebbe invece la vicina ‘conserva‘, una delle poche neviere (ghiacciaie) rimaste inalterate dalla sua fondazione. Si trovava in fondo al giardino, a sud della cascina, in prossimità del punto dove il fontanile Marcione attraversa la via F.lli Zoia. Era composta da un grande ambiente cilindrico seminterrato in mattoni, con volta a cupola, ricoperta di terra, erba e fascine, per garantirne la coibentazione. Si usava riempirla di ghiaccio e di neve durante la stagione invernale, in modo da garantire, nel corso dell’estate, la conservazione dei prodotti maggiormente deperibili come salumi, burro, formaggi, ecc.

In anni recenti, il terreno di pertinenza della cascina, 35 ettari, era attraversato da ben otto fontanili sapientemente regolamentati i cui alvei, ora purtroppo asciutti, esistono ancora.

La speculazione edilizia

Non tutti i mali vengono sempre per nuocere!

Agli inizi degli anni ’90, la speculazione edilizia aveva ‘messo gli occhi’ su una vasta area dell’attuale Parco delle Cave, parco che, all’epoca non esisteva ancora. Tutta quell’area era in stato di forte degrado, essendo stata, fin dal primo dopoguerra e per circa un ventennio, sfruttata intensivamente per l’estrazione di sabbia e ghiaia necessarie per la ricostruzione di interi quartieri della città semidistrutta. Essendo pertanto stati eseguiti ampi scavi in vari punti della zona, si erano creati dei vasti crateri, le cave. Finita la grande ricostruzione, verso la fine degli anni 60, le cave erano state totalmente abbandonate, e data l’abbondanza d’acqua in zona, quelle voragini erano state riempite creando quattro magnifici laghetti. Essendo comunque una zona non controllata e non recintata, finì, nel corso degli anni per essere utilizzata come discarica, diventando luogo preferito per sbandati e tossicodipendenti. Anche la Cascina Linterno, che, affacciandosi a via Fratelli Zoia, era ubicata proprio al bordo est di quella vasta area degradata, era in stato abbastanza fatiscente nonostante fosse ancora in attività. Vi operava un’azienda agricola che coltivava diversi ettari di terreno essenzialmente a frumento e foraggio per animali.

Per quanto riguarda i boschetti ed i terreni non coltivati intorno alla cascina, il decennio fra il 1990 ed il 2000, decretò una svolta per il recupero e la bonifica dell’intera zona: cominciando dalla costruzione di una stazione di carabinieri in via Bianca Milesi, proprio a ridosso dell’area degradata ed affidando successivamente ad Italia Nostra lo sviluppo e l’esecuzione di un progetto globale di riqualificazione di tutta la zona mediante la creazione di un grande parco comprendente i quattro laghetti.

Fra i vari progetti per urbanizzare la zona, ai limiti del parco, ve n’era in particolare uno, promosso dal Gruppo Cabassi (proprietario di una delle cave dismesse e di buona parte di quei terreni). Questo progetto, che avrebbe cancellato la secolare vocazione agricola dell’intera area, prevedeva la costruzione di un residence a quattro stelle, proprio lungo la via Fratelli Zoia, coinvolgendo anche l’area della Cascina Linterno. Essendo, in base a questo progetto, destinata a sparire, il suo destino appariva irrimediabilmente segnato. Fu così che, nel 1994, un gruppo di volonterosi cittadini, (fra cui i proprietari dell’Azienda agricola che vi operava) diede vita all’associazione Amici della Cascina Linterno, con l’obiettivo di contrastare la realizzazione di quel progetto urbanistico, battendosi invece per la salvaguardia ed il recupero della Cascina stessa, e promuovendone un progetto, di messa in sicurezza, riqualificazione e rilancio dell’intera struttura esistente. Di lì a poco, sorse pure una seconda associazione, la CSA Petrarca Onlus, con finalità analoghe, ma volta principalmente a salvare il bene più prezioso di quella corte, il motivo principale per cui la cascina stessa è diventata famosa: Casa Petrarca, naturalmente! Si dettero tutti subito da fare coinvolgendo in primo luogo le istituzioni , la cittadinanza ed interessando pure diversi storici ed intellettuali.

I grandi dell’arte, uniti per salvare la cascina dal degrado

Philippe Daverio

Combinazione, proprio in quegli anni, Assessore con delega alla Cultura, al Tempo Libero, all’Educazione e alle Relazioni Internazionali del Comune di Milano, era il compianto Philippe Daverio (1949 – 2020), notissimo conduttore televisivo, storico e critico d’arte. Resosi conto che il progetto se approvato avrebbe cancellato per sempre anche l’ultimo riferimento storico del soggiormo milanese del Petrarca, si dette da fare in prima persona prendendo a cuore la cosa e interessando in questa sua battaglia per il salvataggio della Cascina Linterno, altri due grandi esponenti della cultura meneghina: monsignor Giovanni Balconi, responsabile dei centri culturali cattolici, e lo storico d’arte Carlo Bertelli (1930).

Si deve sicuramente alla lungimiranza di Philippe Daverio, se, grazie al suo fattivo interessamento e alla sua collaborazione, ha fatto quanto in suo potere per preservare questo bene prezioso dalla speculazione edilizia. E’ infatti grazie a lui se:

Riconosciuta come ‘dimora agreste’ milanese di Francesco Petrarca, avendo questa cascina una storia quasi millenaria, è stata dichiarata Monumento Nazionale (Decreto Ministeriale del 9 marzo 1999). Risulta inoltre essere l’unica cascina milanese che, oltre ad avere un Vincolo Monumentale, ne ha pure uno Paesistico (ai sensi della legge nr. 1089 del 1939), grazie al quale si è salvata dalla sicura demolizione.

Il 21 dicembre 1999 , sulla pagina della cronaca di Milano del Corriere della Sera, compariva il seguente articolo:

Cascina Linterno resta in piedi! La battaglia era vinta!

Il 2002 segnò due eventi importanti per la zona: se da un lato segnò la chiusura del comparto agricolo fino ad allora attivo, dall’altro coincise con l’inaugurazione del Parco delle Cave che, realizzato da Italia Nostra, con la sua superficie di 1.350.000 mq, è oggi il terzo parco di Milano per estensione. Esempio di perfetto equilibrio fra natura ed agricoltura, rappresenta un modello di bonifica e recupero di un territorio altamente degradato. I grandi crateri lasciati dalle estrazioni intensive, sono oggi dei magnifici laghetti ripuliti, meta di escursioni naturalistiche ed attività sportive come la pesca.

Grazie ad uno scomputo urbanistico, a partire dal 2010, la Cascina diventò proprietà del Comune di Milano e dal luglio di quello stesso anno, attivò un pool di docenti del Politecnico, per l’effettuazione di una serie di indagini sui materiali, allo scopo di stabilire i lavori da eseguire. Le condizioni in cui trovarono la struttura non erano delle migliori: tetti sfondati dall’umidità e a rischio crollo, finestre sgangherate, porte fatiscenti, scale pericolanti, etc., Alla fine del consulto, il malato fu giudicato grave ma non gravissimo! La metodologia usata per la ristrutturazione della Linterno venne presa come modello per il restauro delle altre 60 cascine di proprietà del Comune. I soldi a disposizione erano naturalmente insufficienti per un intervento complessivo, per cui ci si orientò verso la pura messa in sicurezza della struttura e alla realizzazione di tutta quella serie di interventi previsti dalle normative vigenti (bagni, ascensori, scale etc ) per poter usufruire del bene in sicurezza, per gli scopi che ci si era inizialmente prefissi. L’obiettivo era la realizzazione del tutto, in modo da essere pronti per il 2015, l’anno dell’Expo.

Il rilancio

Per la storica cascina, le due associazioni hanno grandi progetti: la creazione di attività ricettive in stile medievale e, come suggerisce lo storico d’arte Carlo Bertelli, con ciò che il Petrarca ci ha lasciato a Milano, la creazione di un piccolo museo a lui dedicato.

A dire il vero, in cascina c’è già un museo, denominato Piccolo Museo della Fatica. In una sola stanza (ricavata probabilmente da uno ‘stallino dei cavalli’), sono stati raccolti attrezzi antichi e strumenti autentici da lavoro ritrovati lì, consumati dal tempo e dall’uso, a testimonianza del sudore e del Sacrificio quale doveroso riconoscimento della Fatica di chi ci ha preceduto.

Il 14 febbraio 2014 , sulla pagina della cronaca di Milano del Corriere della Sera, compariva il seguente articolo di Lionella Scazzoni (con note riguardanti le tecniche di restauro precedentemente accennate):

Oggi la Cascina Linterno, non è solo un punto di aggregazione, ma pure di divulgazione e crescita culturale amato ed apprezzato e attivamente frequentato dal pubblico. All’interno della stessa, vi operano entrambi le associazioni: gli Amici della Cascina Linterno e la CSA Petrarca Onlus.

Amici della Cascina Linterno

L’Associazione, costituitasi ufficialmente il 13/07/1995, si propone, come detto, la salvaguardia e la valorizzazione della Cascina Linterno, la sua difesa da interventi di speculazione edilizia, nonché la tutela dell’ambiente e del territorio circostante (l’attuale Parco delle Cave). Oltre al mantenimento dell’attività agricola che vi si svolge, promuove la divulgazione degli usi e dei costumi rurali, oltre al recupero e la conservazione di strutture e manufatti altrimenti destinati all’abbandono. Fra le varie iniziative promosse dall’Associazione, mostre tematiche, incontri con finalità didattico-culturale, l’organizzazione di convegni e conferenze aventi per tema la storia del territorio, dell’ambiente, dell’agricoltura, del sistema delle acque e delle marcite. Poi ancora, mercato agricolo artigianale, feste, mostre fotografiche e pittoriche, persino teatro, oltre alle visite guidate di scolaresche sia alla Cascina, che al Parco delle Cave.
Davvero suggestiva infine, per la sua particolarità, è la Lusiroeula (la Lucciolata) organizzata in Cascina, fra maggio e giugno, preferibilmente nelle serate di luna nuova. Passeggiando, alla sola luce delle stelle, lungo i sentieri del parco fiancheggianti i fontanili, si può ammirare, fra i cespugli, in un silenzio irreale, rotto unicamente dal gracidare delle rane, la spettacolare fiabesca danza nuziale delle lucciole.

La Lusiroeula a Cascina Linterno – Parco delle Cave

CSA Petrarca Onlus

Il Comitato Salvaguardia Ambiente e Cultura – Vivere i sentieri del Petrarca, è costituito da oltre 30 anni, da un gruppo di volontari ‘petrarchisti‘ amanti della cultura ed estimatori del bello e dell’ambiente, a tutela del territorio ad ovest di Milano. Nasce dal gruppo culturale, fondatore delle iniziative per la salvaguardia e la rinascita della Cascina/Villa Linterno che, per molti anni, coinvolsero la cittadinanza, le scuole e pure diversi intellettuali.
Costituita ufficialmente nel 2012, in Associazione no-profit, è determinata a non disperdere la memoria petrarchesca e il ‘tesoro nascosto’, nucleo storico più fragile e prezioso della Cascina Linterno: lo spazio Casa Petrarca.
Ottenuto nel 2019, dopo una lunga odissea, in concessione dal Comune di Milano, lo spazio Casa Petrarca aperto alla cittadinanza, questo ritrovamento archeologico del XIV secolo è l’unica inestimabile testimonianza rimasta oggi a Milano, degli otto anni che il Poeta trascorse in città.
Grazie ad uno scomputo urbanistico, già dal 2010, il Comune proprietario della cascina, in collaborazione col Politecnico di Milano, aveva avviato per l’intero complesso, un’opera di risanamento strutturale, non però finalizzato, per la cronica mancanza di fondi, al ripristino filologico delle fonti archeologiche medievali.

Ndr. – Il ripristino filologico si basa su un complesso di indagini che mirano a riportare l’opera d’arte alla sua forma originaria, eliminando gli errori ed interpretando il più precisamente possibile quale fosse l’intenzione dell’autore in quel periodo storico e in quell’ambiente culturale.

Attualmente quindi, l’obiettivo primario dell’associazione è il riuscire ad ottenere i finanziamenti indispensabili per l’accurato restauro di questo spazio permeato dell’Umanesimo del Poeta, prima che anche quest’ultima testimonianza vada perduta per sempre. Tutto ciò, nella speranza di riuscire a riportare quanto prima, Casa Petrarca agli antichi splendori, dopo così tanti anni di totale degrado. E’ un piccolo, grande tesoro di immenso valore, da ricuperare e salvaguardare restituendolo a Milano, alla sua cittadinanza e alla collettività tutta. Secondariamente, la CSA Petrarca si propone la promozione, in quello spazio, di eventi quali, incontri culturali, conferenze sulle opere del Poeta, dibattiti, corsi di scrittura creativa, presentazione di libri, oltre naturalmente a visite guidate alle varie stanze della casa prediletta del Petrarca, ove è possibile ammirare vari lacerti di notevole interesse.

Casa Petrarca: la parete delle imprese viscontee, con la Radia Magna‘, il sole raggiante (visibile pure sulla vetrata dell’abside del Duomo), emblema del Visconti. Oltre a varie decorazioni floreali, sono pure visibili la Colombina, la Corona’ e il Sole Nascente‘.

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