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Palazzo Saporiti

1898. Cronaca storica: Palazzo Saporiti saccheggiato. Un morto!

E’ una notizia vera, una pagina tristissima, della storia di Milano.

Palazzo Saporiti è il bellissimo palazzo a forme neoclassiche, di ispirazione Palladiana, sito in Corso Venezia al civico 40, esattamente all’altezza dell’incrocio con via Palestro. E’ un palazzo unico nel suo genere, con quel delizioso loggiato a sei colonne ioniche e le dieci statue sulla balconata in cima al tetto. Ebbene, proprio questo palazzo, è stato vittima e testimone di una delle pagine più nere che, la storia di Milano, ricordi. Non mi riferisco alle famose 5 Giornate di Milano, del 1848, cruente pure loro, che tutti i libri di storia riportano con dovizia di particolari, ma alle 4 giornate dei moti del 1898 (6-9 maggio), scoppiati a causa del forte rincaro del pane, storia questa, che, viceversa, è meno nota ai più, se non per le conseguenze.

Mi viene spontaneo pensare al Manzoni, alla famosissima ‘rivolta del pane’ di 270 anni prima (1628), così ben descritta nei suoi ‘Promessi Sposi’, col famoso assalto ai forni, in cui Renzo rimane suo malgrado coinvolto.

Aumenta il prezzo del pane

Qui la storia è analoga … si ripete ciclicamente … tutta colpa della carestia, oggi come allora, … quindi la drastica riduzione della raccolta del grano, l’inevitabile rincaro del prezzo della farina  … e l’ovvia lievitazione del prezzo del pane!

1898. La situazione sociale

Il blocco navale, col fermo delle esportazioni di grano verso l’Europa, dovuto al conflitto USA-Spagna di quegli anni, la guerra doganale con la Francia per l’occupazione della Tunisia da parte francese, il clima rigido e secco degli ultimi inverni, la situazione politica interna e le casse dello Stato vuote a causa delle guerre coloniali recenti, la diminuzione dei salari al proletariato, cui si è fatta ricadere la causa della grave crisi economica che attanaglia l’intera nazione. Tutti motivi validi perché, nella primavera del 1898, la situazione interna e il malcontento popolare degenerassero in esplosioni di violenza a macchia d’olio in tutt’Italia.

Violenza ovunque repressa nel sangue … da ogni provincia d’Italia, un bollettino di guerra con morti e feriti …. Insomma, una situazione complessa, non facile da gestire da parte delle autorità di governo.

Se poi si pensa che, nella Milano del 1898, un operaio guadagnava mediamente 18 centesimi all’ora, e che, per acquistare un chilo di pane, ce ne occorrevano 40, si può comprendere benissimo perché il malcontento sia rapidamente degenerato nella più grave sollevazione popolare che la storia di Milano, ricordi.

Non sto qui a fare la cronaca dettagliata e cruenta di tutte quelle tragiche giornate. Lascia comunque molto perplessi, il comportamento delle autorità in quel frangente, al punto da pensare che abbiano perso totalmente il controllo della situazione. 

Il vero problema non è stata comunque la sacrosanta protesta della gente, quanto la reazione assolutamente sproporzionata delle forze armate, intervenute per sedare gli animi.

La cause della carneficina

Del prefetto che, spaventato dalla piega che stavano prendendo i disordini spontanei della piazza, non sapendo come comportarsi, chiese aiuto a Roma, oppure la colpa fu del governo guidato da Antonio di Rudinì, che, sulla base delle scarne notizie apprese dal prefetto di Milano, proclamò lo stato d’assedio della città, dando pieni poteri all’esercito per sedare la rivolta, oppure ancora del generale piemontese Fiorenzo Bava Beccaris che condusse sul campo le operazioni, comportandosi come se avesse di fronte un esercito nemico?

Più di una fonte parla di ventimila soldati in tenuta da combattimento, contro forse quaranta-cinquantamila disperati armati di sola fame e gente ignara, che si trovava lì, a passare per caso!

Ammettiamo pure che le cronache esagerino con i numeri … che invece di ventimila, i soldati fossero la metà … comunque l’usare mitragliatrici e cannoni contro gente inerme in città, onestamente sembra aberrante.

Indubbiamente, qualche grossissima falla nella catena di comando c’è stata ed è sicuramente questo modo di reagire, che ha scatenato, spontaneamente, la guerriglia urbana.

Molto incerto, è il numero dei morti, dei feriti e degli arrestati in quei giorni. La fonti ufficiali ovviamente minimizzano (80 morti, 400 feriti e 850 arresti), i giornali fanno eco perché la stampa è sotto controllo governativo, il popolo testimone, fornisce numeri un pò diversi e sicuramente più vicini alla realtà .. almeno 400 morti, 500 feriti e 1750 arresti. Fra i morti, lascia sgomenti, la presenza di tante donne, bambini, curiosi e gente alle finestre, tutta gente assolutamente inerme. Fra i militari, due soli morti, di cui uno da fuoco ‘amico’. Si tratterebbe di un giovane, tale Graziantonio Tomasetti, per il quale si accredita l’ipotesi che sia stato fucilato dai suoi stessi compagni perché si rifiutava di sparare contro la folla inerme.

Barricate dei tram in Corso Venezia

Ma torniamo a Palazzo Saporiti e alla cronaca di quella mattina

Era l’8 maggio, domenica (terzo giorno di sommossa) … tutto chiuso… negozi, fabbriche … aria tesa… di tempesta in arrivo!

Verso le 10.30 – così riportano le cronache di quella mattinata – un rumoroso e folto gruppo di manifestanti (alcune migliaia di persone, fra cui molte donne), tutte maestranze della Pirelli, della Stigler e dell’Elvetica – le fabbriche dell’area via Filzi e via Galvani – stanno lentamente transitando  attraverso lo stretto sottopasso di porta Principe Umberto, in piazza Fiume, di fronte alla Stazione Centrale (è la vecchia stazione, allora sita nell’attuale piazza della Repubblica), diretti verso via Principe Umberto (l’attuale via Turati), piazza Cavour, via Palestro, Corso Venezia e San Babila.

Stabilimento Pirelli

Tempo di fare questo percorso, passa una buona mezz’ora … girato l’angolo Via Palestro – Corso Venezia , incamminandosi verso San Babila, trovano uno squadrone di cavalleria ad aspettarli schierato all’incrocio con via Senato.

Da un lato, inizia un lancio di sassi contro lo sbarramento: come tutta risposta, dall’altro, una carica d’alleggerimento della cavalleria … fuggi fuggi generale, tutti di corsa in direzione di Porta Orientale (porta Venezia).

Corso Venezia

La strada, allora, era percorsa dai tram (la linea Milano Monza, che, partendo da Piazza Duomo, proseguiva per via Loreto (attuale corso Buenos Aires). verso fuori città.

Nel fuggi fuggi, all’altezza di via Palestro, i dimostranti trovano ferme quattro vetture tramviarie. Le sollevano di peso e le rovesciano sulla strada per creare una barricata improvvisata contro le cariche della cavalleria.

La cronaca riferisce che verso le 11.40, degli squilli di tromba, danno il segnale d’inizio della repressione. Parte una scarica di fucileria contro la folla (probabilmente si tratta di una salve di avvertimento, perchè non sembra ci siano morti o feriti)… contemporaneamente arriva da Palestro la cavalleria al galoppo,  che sfonda le barricate improvvisate .. i manifestanti fuggono in ogni direzione, tentando di rifugiarsi nei palazzi e nei cortili di Corso Venezia.

Entrati a Palazzo Saporiti, i dimostranti salgono sul tetto e fanno piovere sui militari in strada, tegole, sassi , comignoli e suppellettili varie. Due dimostranti rimangono uccisi, uno, proprio lì, sul tetto di Palazzo Saporiti, evidentemente colpito da una fucilata, l’altro all’incrocio con via Palestro, vittima della carica di cavalleria … insomma, è caos totale!

Alcuni dimostranti si armano con delle pistole, la sparatoria continua per un’ora, mentre intanto vengono eseguiti 13 arresti, fra i dimostranti che non sono riusciti a fuggire. Alla fine, i dimostranti si arrendono. Non si sa quanti siano realmente i feriti, perché, pur di non finire arrestati e malmenati dai soldati, preferiscono far perdere le loro tracce. Il Palazzo Saporiti viene interamente saccheggiato.

Questa la cronaca di quella domenica mattina

Ristabilito l’ordine entro la sera del 9 maggio, a nemmeno un mese dall’eccidio, il generale Fiorenzo Bava Beccaris, soprannominato il ‘macellaio di Milano’, verrà insignito dal re Umberto I, in segno di riconoscenza per il suo operato, del titolo di grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia (il 5 giugno 1898) e, pochi giorni dopo,  nominato senatore del Regno (16 giugno 1898).

Con queste sue due ultime mosse,  il re firmerà la propria condanna a morte.

Queste assurde onorificenze e nomine, unitamente alla convinzione che la responsabilità primaria per l’eccidio di Milano, fosse imputabile al re, armeranno, due anni dopo la mano di un trentaduenne, emigrato in America, tale Gaetano Bresci di Prato. Questi, tornerà appositamente in Italia via nave, col solo ed unico scopo di vendicare tutti i morti di quelle terribili giornate.  Re Umberto I morirà per mano sua, a Monza, la sera del 29 luglio 1900, di ritorno a Palazzo Reale dopo una serata di premiazioni di un concorso ginnico.

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