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La Conca di Viarenna

 Premessa

Fra le tante belle opere che vi sono a Milano e che sicuramente meritano una visita, onestamente non suggerirei oggi, una passeggiata apposta per andare a vedere questo manufatto, dalle parti della Darsena, senza avervi prima invitato a leggere queste righe, perché quasi certamente, non conoscendone la storia, ne restereste perplessi, per non dire addirittura delusi.

Per com’è oggi, è infatti fin troppo facile scambiarla per un’antica fontana recintata, a dire il vero pure un po’ malconcia, trascurata (erbacce dappertutto, lapidi più o meno illeggibili), e con una lunga vasca con dell’acqua nemmeno tanto limpida e pulita; da uno dei lati lunghi, questo manufatto fiancheggia oggi una strada a senso unico (la via Conca del Naviglio) aperta al transito veicolare, mentre dall’altro, un parco pubblico intitolato, non molti anni or sono, ad Attilio Rossi (1909 – 1994) pittore ed incisore del secolo scorso, menzionato al Famedio fra i cittadini milanesi illustri, giardino tutto sommato, abbastanza anonimo. Effettivamente il tutto, accusando i segni del tempo, avrebbe bisogno di una bella opera di restauro e di una sana pulizia. Comunque, davvero bravo chi, guardando questo manufatto, senza conoscerne il nome o aver letto il pannello esplicativo, riesce ad intuirne subito l’utilizzo! Posso solo dire che non è una fontana come sembra, bensì una “conca di navigazione”, diversamente chiamata “chiusa”, insomma una sorta di “ascensore per barche“!

Ndr. – Per “conca di navigazione” o “chiusa”, si intende un sistema idraulico di intercettazione di un corpo idrico (fiume, lago, canale, mare, ecc.) mediante una paratoia apribile, in alcuni casi anche regolabile. In termini molto semplici, una chiusa è il corrispondente idraulico di un varco presidiato da una porta o cancello. L’utilizzo della conca di navigazione è per esempio indispensabile per consentire la navigazione tra mare e acque interne ovunque l’escursione di marea comprometta la costante accessibilità di un corso d’acqua o dove si debbano mettere in comunicazione tra loro corpi idrici con differente quota.

Il nome di questo manufatto in via Conca del Naviglio, è Conca di Viarenna.

Ndr. – Il nome Viarenna è di origine incerta: potrebbe derivare dalla storpiatura del nome della via Arena luogo in cui, in epoca romana, esisteva un Piccolo Teatro smantellato poi nel medioevo, per recuperarne le pietre; oppure potrebbe derivare dalla parola milanese “rena” che indica la sabbia, che veniva trasportata dai barconi.

Senza voler necessariamente fare atto di fede, l’unica cosa che, a rifletterci, potrebbe far pensare effettivamente ad una chiusa, sono le tre bocche d’immissione dell’acqua nella vasca (chiamata tecnicamente “camera“). [Ndr. – L’acqua che fuoriesce dalle bocche, è attualmente quella dell’acquedotto comunale.]
La loro forma, per chi ha idea di come sono usualmente fatti i portoni a tenuta delle chiuse, ricorda quella delle bocche rettangolari sistemate in prossimità del bordo superiore della paratoia a monte di una conca, bocche che vengono aperte, a mo’ di saracinesca, quando la “camera” (vasca) deve essere riempita, sino al livello del bacino superiore.

Per come la vediamo oggi, questa finta “fontana”, muta testimonianza di un passato glorioso, è purtroppo l’ultimo irriconoscibile elemento rimasto, di una gigantesca opera idraulica sparita nel nulla, o meglio “volutamente cancellata in virtù del progresso”, opera che, in assenza di documenti fotografici probanti, risulta persino difficile riuscire ad immaginare. Come si può vedere chiaramente dalla foto qui sotto, questa “conca di navigazione” è una struttura “lasciata un po’ andare”, tristemente deserta e priva di vita, scarsamente significativa, in quanto “monca”, essendo priva degli elementi fondamentali che permetterebbero di riconoscerla per tale. Intendo naturalmente i canali d’ingresso e d’uscita e gli indispensabili portoni di accesso alla camera (vasca) che, andrebbero risistemati al loro posto. E invece, quasi a confondere ulteriormente le idee del visitatore, al posto del portone a monte della vasca, hanno pensato bene di sistemare un’edicola quattrocentesca, che, a suo tempo, si trovava collocata a fianco della conca stessa (come si può vedere dalla foto della litografia del XIX secolo, in testa a questo articolo).

Com’è oggi la Conca di Viarenna

L’immagine che segue invece, scattata nella prima decade del secolo scorso, quando ancora la conca era attiva, dà l’idea di quanto tutta quella zona fosse diversa da oggi, piena di vita, e, direi, pure affascinante. Questa foto, da sola, è una pagina di storia di Milano, dalla quale si può comprendere che cosa questa conca abbia rappresentato per la città, per quasi mezzo millennio.

… e com’era la stessa Conca nel 1910

Ndr. – Raffrontando le due ultime fotografie qui sopra, di primo acchito sembrano diverse, ma non lo sono affatto! In realtà, sono la medesima veduta, a poco più di un secolo di distanza! Infatti osservando attentamente, si può notare, ad esempio, come la casa alta a sinistra (con la grande parete bianca) e la prima parte dell’attigua casa bassa, siano uguali in entrambe le foto! Questa è la riprova che la “fontana” che osserviamo oggi, è in realtà esattamente la “conca” che vediamo nella foto del 1910!

La conca di Viarenna sullo sfondo, vista dall’altra parte (lato monte)

E pensare che il motore propulsore di tutte queste gigantesche opere idrauliche fatte in città fra il Quattrocento ed il Cinquecento, a cominciare dai porticcioli, alle reti di canali, alle conche, fu proprio il Duomo, per la necessità di far arrivare, in prossimità del suo cantiere, i materiali necessari alla sua costruzione.

Il manufatto che vediamo oggi

Rimaneggiato dopo il 1933, in modo da declassarlo a semplice “fontana”, è in effetti, come già visto precedentemente, una chiusa che fu costruita dalla Veneranda Fabbrica del Duomo, tra il 1551 e il 1558, in sostituzione di una precedente, collocata poche decine di metri più avanti (verso l’attuale Darsena, che ai tempi, ancora non esisteva).

Conca di Viarenna ripulita dalle erbacce

La vecchia conca, chiamata anche “Conca Santa Maria“, costruita nel lontano 1439, su richiesta dell’allora Duca di Milano, Filippo Maria Visconti, essendo stata la seconda chiusa realizzata al mondo, aveva un’importanza storico-scientifica incredibile.

Ndr. – La palma della “conca più vecchia del mondo” spetterebbe alla chiusa del Naviglio di Bereguardo che si trova a Morimondo (a pochi km a sud-ovest di Milano). Pare infatti che il primo documento che faccia ufficialmente riferimento alla “Conca Santa Maria” risalga al 1439, esattamente un anno dopo un altro documento del 1438, che descrive invece la conca del Naviglio di Bereguardo. Chi abbia inventata questa chiusa non è dato sapere, comunque Morimondo, figura essere la capostipite di tutte le chiuse, che nei secoli a venire si sarebbero diffuse in tutto il mondo: Nord Europa, Rodano, Reno, fino al Canale di Panama.

Come mai la necessità di questa Conca?

Nonostante Milano sia una città chiaramente in pianura, in realtà non è esattamente così. Vi è infatti una leggerissima pendenza da Nord Ovest, verso Sud Est. Si tratta di una cosa quasi impercettibile a occhio nudo, che però è molto importante a livello idraulico. La pendenza media rilevata nel territorio comunale è dello 0,15% (1,5mt su 1 km), con punte massime dello 0,27% ! Questa pendenza, seppur minima, viene sfruttata oggi, ad esempio nelle fognature consentendo lo scorrimento, a costo zero, delle acque reflue da Nord-Ovest verso Sud-Est (ove si trovano i tre grandi impianti di depurazione) della città!

PILLOLE DI STORIA
Per comprendere come sia nata l’esigenza della Conca, è necessario rispolverare la Storia di Milano a partire dal 1386, ai tempi della co-Signoria di Gian Galeazzo Visconti.
Questi, all’indomani del colpo di mano (arresto e successivo assassinio dello zio Bernabò Visconti, co-reggente assieme a lui della Signoria) si era trovato ad essere l’unico Signore della città. Per ingraziarsi i favori del popolo rimasto sconcertato da simili eventi, sapendo che la gente aveva manifestato il desiderio di disporre di un nuovo luogo di culto (essendo quello attuale troppo piccolo per le esigenze della città), dette di buon grado l’autorizzazione alla costruzione di una nuova cattedrale, molto più grande, al posto della precedente.
Sperando in cuor suo che, con questa concessione, il nuovo Duomo della città avrebbe avuto le carte in regola per diventare il mausoleo della famiglia Visconti, l’anno successivo, andò a visitare il cantiere della nuova Cattedrale per vedere come stavano procedendo i lavori. Nel suo intendimento, quella chiesa avrebbe dovuto essere non inferiore alle cattedrali che fino ad allora erano state costruite o erano in costruzione in Europa. Ai tempi, il poter esibire una bella cattedrale, era una questione di prestigio. Andando a visitare il cantiere, si rese subito conto che l’edificio sacro che si stava costruendo era in stile romanico, tutto di mattoni, molto modesto, ben lontano da quelli che erano le sue aspettative quando aveva dato il beneplacito alla costruzione della Cattedrale. Assolutamente contrariato per la soluzione che gli ingegneri avevano adottato, impose l’abbattimento di quanto già costruito (praticamente l’equivalente di un intero anno di lavoro di centinaia di persone) e il suo rifacimento integrale in stile gotico e rivestimento in marmo, per essere quanto meno alla pari delle altre grandi cattedrali europee che si stavano realizzando in quegli anni. Anzi, poiché la cattedrale rappresentava ai tempi un simbolo di ricchezza e di potere di chi sponsorizzava la sua costruzione, volle che la “sua” cattedrale (cioè quella dei Visconti) avrebbe dovuto essere la più bella e la più grande di tutte le altre in Europa. Sapendo che i costi per la sua realizzazione sarebbero stati ben maggiori di quanto era inizialmente nelle previsioni di spesa, oltre a fare una cospicua offerta in denaro per la realizzazione dell’opera, con grande magnanimità, fece pure dono alla Veneranda Fabbrica del Duomo, di alcune cave di proprietà Visconti, in località Candoglia, in val d’Ossola perché ne estraesse tutto il prezioso marmo necessario a renderla “unica”.
Naturalmente per la Veneranda Fabbrica del Duomo, si pose, a questo punto, il grosso problema del trasporto dei preziosi blocchi di marmo dalle cave in Val d’Ossola sino al luogo di utilizzo, in pieno centro città. Non esistendo all’epoca strade praticabili, si decise che il sistema migliore per il trasporto di quel materiale prezioso e delicato fosse la via d’acqua, cioè il Naviglio Grande, già in funzione da un centinaio d’anni (senza chiuse, perché all’epoca della sua costruzione, non erano state ancora inventate).

I blocchi provenienti dalle cave ubicate all’imbocco della Val d’Ossola, venivano inizialmente trasportati a valle, via terra, fino al porticciolo della Veneranda Fabbrica, sul fiume Toce. Lì, una volta caricati sui barconi o sulle chiatte, iniziavano il lungo viaggio verso Milano: arrivati alla foce del fiume Toce, i natanti proseguivano la navigazione sul Lago Maggiore sino a Sesto Calende. Da lì, affrontavano il Ticino e dopo aver superato sui barconi ben undici rischiosissime rapide, all’altezza di Tornavento, imboccavano il Naviglio Grande iniziando i 49,6km di discesa sino al laghetto di Sant’Eustorgio in prossimità dell’omonima basilica, (laghetto che oggi non esiste più, essendo stato sostituito dalla Darsena).
Arrivati al laghetto, il Duomo era a un paio di km in linea d’aria! Era comunque troppo perché, date le strade, trasbordare i pesantissimi carichi e proseguire via terra, con carri trainati da cavalli o buoi, era non solo molto faticoso ma anche rischioso in quanto, a causa del terreno sconnesso, i sobbalzi potevano far cadere il carico distruggendo i mezzi e, peggio ancora, rischiando di frantumare i preziosissimi blocchi di marmo. Si pensò quindi di sfruttare ancora la via d’acqua, vista l’esistenza della Cerchia interna dei Navigli (usata come fossa difensiva delle mura medioevali della città).
Per raggiungerla, era però necessario creare un canale artificiale di circa 700 m di lunghezza che avrebbe permesso il collegamento fra il laghetto di Sant’Eustorgio e la Fossa Interna. Questo canale, denominato Naviglio Vallone (perché, ai tempi, via Conca del Naviglio si chiamava contrada Vallone) fu quindi progettato e realizzato proprio tra il 1438 e il 1439, per ordine del duca Filippo Maria Visconti (figlio di Gian Galeazzo Visconti). Il suo scopo era quello di assicurare il transito dei blocchi di marmo in modo che potessero arrivare “via acqua”, il più vicino possibile al cantiere della Veneranda Fabbrica. Vi era però ancora un ultimo problema da risolvere: quello delle quote, essendo il laghetto di Sant’Eustorgio a quota leggermente inferiore rispetto a quella della Cerchia Interna (che si trovava più a nord). Essendo troppo difficoltoso “risalire” il canale contro corrente con i pesanti barconi, era necessario “inventare” un sistema per riuscire a fare navigare i natanti più agevolmente risalendo la pendenza, cosa fino ad allora mai realizzata.
(Ndr. – Le leggere pendenze in salita, prima dell’invenzione delle chiuse, si superavano trainando i barconi dalla riva, con buoi o cavalli, agganciati al natante con grosse funi. Il numero di animali da tiro era variabile, in funzione della dimensione del mezzo da spingere e del peso del suo carico.

La “Conca Santa Maria” (1439 – 1555)

Le problematiche connesse con le differenti altezze del sistema di canali in città, non facilitavano il trasporto dei grossi blocchi di marmo dal laghetto di Sant’Eustorgio, (punto di arrivo finale dei barconi provenienti dal Lago Maggiore), al cantiere del Duomo. Fu così che, sempre su ordine del Duca Filippo Maria Visconti, il principale ingegnere della Veneranda FabbricaFilippino degli Organi, fu incaricato di risolvere la questione del passaggio dei barconi tra il laghetto di Sant’Eustorgio e la Fossa Interna per consentire di fare arrivare i blocchi di marmo di Candoglia il più vicino possibile al cantiere della Cattedrale. Fu lui, insieme al collega Aristotele Fioravante da Bologna, a “realizzare la seconda chiusa al mondo”, cosa questa non di poco conto, se si considera il suo utilizzo odierno, ovunque al mondo! L’inaugurazione dell’opera avvenne nel 1439. Leonardo da Vinci, (1452 – 1519), all’epoca, doveva ancora nascere!

Schema di funzionamento di una conca di navigazione. Passaggio in discesa.
Fasi: A – riempimento del cratere e apertura delle porte di monte (portesine); B – entrata della barca nel cratere della conca; C – chiusura delle porte di monte, apertura delle valvole per lo sca­rico dell’acqua ed abbassamento del livello all’interno della conca; D – apertura delle porte di valle (portoni) e uscita della barca dalla conca.

Essendo il dislivello esistente fra il laghetto (a Sud) e la Fossa Interna di via De Amicis (più a Nord) di 1,83 m, questo loro congegno idraulico permetteva ai barconi di “risalire” o di “scendere” il canale, superando agevolmente tale dislivello, senza bisogno del traino a fune da riva (come viceversa accadeva risalendo il Naviglio Grande in direzione Lago Maggiore).

Ndr. – Se si fa caso, ogni Naviglio ha la propria Alzaia, nome questo che deriva dal latino helciarius  e significa «chi tira la barca» (da helcium «giogo per tirare»

Ndr. – Sono quindi di quello stesso periodo (1438 – 1440), pure i lavori di sbancamento e costruzione del laghetto di Santo Stefano e del suo porticciolo (oggi via Laghetto) per consentire ai barconi di sbarcare il loro prezioso carico, ad alcune centinaia di metri dal cantiere della Veneranda Fabbrica.

Laghetto di Santo Stefano – porticciolo di scarico dei blocchi di marmo per il Duomo (attuale via Laghetto) opera di Arturo Ferrari (1900)

Oggetto di studio da parte di Leonardo da Vinci

Fu proprio la conca costruita tutta in mattoni e legno, da Filippino degli Organi e Aristotele Fioravante, che Leonardo da Vinci prese a modello per i suoi studi, allo scopo di apportarvi migliorie, in vista del collegamento dell’altro naviglio (quello della Martesana) alla cerchia interna navigabile, che Ludovico il Moro gli aveva chiesto di realizzare, opera questa che avrebbe completato nel 1496, costruendo la Conca dell’Incoronata (o delle Gabelle).

La Conca Santa Maria fungeva quindi da cerniera tra i 50 km del Naviglio Grande, in naturale discesa da Tornavento fino alla città, e il sistema navigabile urbano, poco meno di 2 metri più in alto.

La concessione

La chiusa, una volta resa operativa, era subito stata data in concessione dal duca Filippo Maria Visconti alla Veneranda Fabbrica del Duomo. Sessant’anni dopo, nel 1497, fu definitivamente donata alla stessa Fabbrica, da parte del duca Ludovico il Moro, proprio l’anno della morte della giovanissima moglie Beatrice d’Este. Naturalmente la donazione avrebbe comportato oneri e previlegi: da un lato, la Fabbrica si sarebbe accollata l’onerosa manutenzione di tutti i canali interessati al transito dei barconi diretti al cantiere del Duomo, dall’altra avrebbe però riscosso i dazi per tutte le merci in entrata in città da quella chiusa.

Naturalmente erano esentati dal dazio i blocchi di marmo utilizzati per la costruzione del Duomo. Anche se la cosa poteva sembrare ovvia, non era necessariamente scontata. E’ vero che il marmo di Candoglia proveniva da una cava di proprietà della Fabbrica, ma è altrettanto vero che venendo da fuori, avrebbe comunque dovuto pagare il dazio. Per questo motivo, onde evitare inutili screzi e discussioni con terzi, il decreto ducale Ad Usum Fabricæ, relativo all’esenzione del pagamento del dazio concesso alla Veneranda Fabbrica da Ludovico il Moro, era riportato su una delle lapidi dell’edicola, posta su uno dei lati di quella chiusa. Anzi, per velocizzare le operazioni, senza obbligo di lunghe attese al dazio, i barconi che trasportavano i marmi per il Duomo, contrassegnati dalla sigla “A.U.F.” (Ad Usum Fabricae), erano autorizzati alla prosecuzione della navigazione, senza necessità di fermarsi per il pagamento del tributo previsto.

Ndr. – E’ proprio da quella sigla “A.U.F.”, che nasce il famoso detto … “mangiare a ufo”, equivalente a “mangiare a sbafo” (cioè senza pagare)!.

La Conca della Fabbrica (o di Viarenna) (1555 – 1930)

Nel 1546, il nuovo governatore spagnolo di allora, Ferrante I Gonzaga, insediatosi a Milano, si preoccupò principalmente di organizzare una valida difesa della città. Vista la scarsa efficacia delle difese delle antiche mura Medioevali che cingevano la città, di fronte all’invenzione della polvere da sparo e delle nuove potenti armi da fuoco (bombarde ecc.), decise di far costruire all’esterno delle mura medioevali, un’ulteriore cinta di possenti bastioni (1548/1566), tutt’intorno a Milano. Questa aveva il duplice scopo, sia di permettere una più efficace difesa della città, che di obbligare al pagamento del dazio, quanti avessero portato merci dall’esterno. Fu così che, nel 1550, mentre stavano procedendo i lavori di costruzione dei bastioni, il governatore si trovò ad affrontare il problema della Conca Santa Maria”, la cui posizione andava ad interferire col già approvato progetto di costruzione dei Nuovi Bastioni in zona Porta Genova – Ticinese, bastioni che avrebbero dovuto sorgere proprio lì vicino. In pratica, la chiusa si sarebbe venuta a trovare troppo a ridosso della nuova cinta muraria. Ferrante I richiese pertanto alla Veneranda Fabbrica del Duomo, proprietaria di quella conca, di spostarla, o meglio, di ricostruirla arretrata di una cinquantina di metri, esattamente nella posizione in cui vediamo oggi quella vasca. Se ne incaricarono nel 1551/1558, gli ingegneri Cristoforo Lombardo e Vincenzo Seregni che lavoravano, all’epoca, per conto della Veneranda Fabbrica del Duomo. L’unica cosa che riuscirono a prelevare dalla vecchia conca, fu l’edicola che venne sistemata di fianco alla nuova chiusa.

Ndr. – Vincenzo Seregni, a partire dal 1562, avrebbe progettato la costruzione del Palazzo dei Giureconsulti per conto di papa Pio IV.

Purtroppo la chiusa originale, cimelio storico d’inestimabile valore, andò totalmente perduta, essendo stata demolita nel 1555 per lasciare il posto ai bastioni. Le uniche testimonianze rimaste oggi, di quella prima conca storica, sono:

  • la piattaforma lignea della sua base, recentemente ritrovata in Darsena (durante i lavori di ristrutturazione della stessa in occasione di Expò 2015);
  • l’edicola attestata oggi alla Conca di Viarenna, con le lapidi quattrocentesche;
  • i rilievi di Leonardo da Vinci, contenuti nel suo Codice Atlantico.

Indubbiamente, l’arretramento della conca nella nuova posizione, permetteva l’edificazione dei Bastioni sopra il canale, senza eccessivamente interferire col traffico fluviale da e per la città. Il Naviglio Vallone passava cioè sotto le mura, per proseguire poi all’esterno, fiancheggiando le stesse, verso il laghetto di Sant’Eustorgio. Considerando la Conca come elemento strategico, l’arretramento dalla sua posizione originale, dava garanzie di maggior sicurezza, consentendo maggior protezione, nel caso l’ipotetico nemico avesse tentato di forzare l’accesso alla città, sfruttando la via d’acqua.
L’accesso al canale che passava sotto le mura, era comunque protetto dalla presenza di doppie saracinesche.

La chiusura dei Navigli (1929 – 1933)

Uno degli artefici principali della chiusura dei Navigli, e quindi implicitamente anche della conca di Viarenna, fu il senatore Giuseppe De Capitani d’Arzago, podestà di Milano negli anni 1928-1929, fautore del progresso a tutti i costi: «Basta con le barche viva l’automobile» sembra questo fosse suo motto, totalmente incurante del fatto che, approvando la chiusura indiscriminata dei Navigli, si sarebbe snaturata totalmente la vocazione di Milano come città d’acqua, con un porto fluviale che era stato per secoli, il baricentro del sistema delle vie d’acqua interne, tra i laghi, il Po ed il mare.

Necessità viabilistiche a parte, vi era indubbiamente anche un problema igienico da non sottovalutare. Quest’ultimo in particolare era la conseguenza degli scarichi abusivi degli immobili costeggianti i canali, scarichi che finivano nella Cerchia dei Navigli anziché nella rete fognaria. Chiudendo la fossa interna negli anni 29 e 30 del secolo scorso,,si venne ad interrompere la via d’acqua che alimentava la Conca di Viarenna, che così rimase in secca. Nel 1933 poi, venne totalmente interrata pure la parte a valle della chiusa (quella verso la Darsena), lasciando la Conca totalmente isolata e quindi del tutto inutilizzabile.

Così oggi, in via Conca del Naviglio, troviamo soltanto la “camera” della Conca di Viarenna, (o “di Nostra Signora“). Sull’edicola (messa in testata, al posto del portone a monte della chiusa) campeggia in alto un bassorilievo quattrocentesco, con lo stemma della Veneranda Fabbrica raffigurante la Vergine Salvatrice, alla quale il Duomo è dedicato, affiancata da due angeli, nell’atto di proteggere, sotto il suo manto, la Chiesa (probabilmente raffigurata l’antica Santa Maria Maggiore, essendo il Duomo ancora in costruzione) simbolo della comunità che partecipava alla sua edificazione e, in senso più ampio, di tutta la città; in mezzo, ben visibile, lo stemma dei Visconti e degli Sforza; in basso, un’epigrafe celebrante Ludovico il Moro, in cui è possibile leggere:

“Una chiusa sotto l’epitaffio della Vergine Salvatrice, costruita in pendio a causa del dislivello delle acque, offriva alle imbarcazioni la possibilità di circolare agevolmente da una parte all’altra della città. Ludovico Sforza, duca di Milano, ne fece dono alla Fabbrica del Duomo nel 1497, anno in cui morì sua moglie Beatrice d’Este.”

Lo stemma della Veneranda Fabbrica
L’edicola quattrocentesca

Tornerà a rivivere questa Conca?

Per i cicli ed i ricicli della storia, non è escluso che prima o poi, comunque la Conca di Viarenna venga riqualificata, dato il valore storico-scientifico che comunque rappresenta, a livello europeo, nazionale e locale, in quanto direttamente collegata alla costruzione del Duomo di Milano.

Ci sarebbe infatti l’intenzione di riaprire, essenzialmente a scopi turistici, qualche breve tratto dei Navigli e in particolare proprio questo, che lo collegherebbe alla Darsena, riaprendo per circa duecento metri il preesistente Naviglio Vallone. Pare persino che il Comune di Milano abbia già dato da qualche anno l’approvazione per cominciare ad eseguire i lavori che, fino ad ora, comunque, non sono ancora partiti.

Il progetto di riapertura del Naviglio Vallone

Il progetto di riqualificazione (e riapertura dei Navigli) prevederebbe, in quel punto, la riapertura di un breve tratto del Naviglio Vallone da via Marco d’Oggiono alla Darsena, riconnettendo la Conca di Viarenna restaurata,(rendendola cioè operativa) e riscoprendo Il bacino antistante la Conca stessa attrezzandolo a porticciolo a servizio del parco delle basiliche e del parco dell’arena romana.

L’alimentazione del canale e della conca, avverrebbe utilizzando dell’acqua prelevata dai pozzi inattivi presenti nei dintorni o usando delle acque residue utilizzate per la produzione del calore. Immessa naturalmente nel bacino a monte della Conca, l’acqua corrente non solo consentirebbe il funzionamento della Conca stessa ma, finendo in Darsena, andrebbe ad alimentare pure il Naviglio Pavese, che parte proprio da lì, aumentandone la portata. Il sottopasso del canale sul viale Gabriele D’Annunzio, garantirebbe un percorso alternativo protetto a piedi o in bicicletta per l’attraversamento del viale che, in superficie, è notoriamente molto trafficato. Il bacino, in tal modo, ritornerebbe ad essere un laghetto posto al servizio del parco delle basiliche, per accedere a piedi da lì, sia alla basilica di Sant’Eustorgio che al Museo Diocesano nonché alla basilica di San Lorenzo.

Progetto di riapertura del Naviglio Vallone e della Conca di Viarenna

Si prevede ora, qualora lo scoperchiamento di quella parte di Navigli si concretizzasse, di avviare un nuovo collegamento tra la Conca di Viarenna e la Darsena, ricomponendo in tal modo il bacino d’acqua preesistente.

Spassose curiosità

Tutta la zona del Ticinese era considerata, in passato, una delle aree più malfamate della città, se non addirittura la peggiore in assoluto. Era un concentrato di ladri, delinquenti, assassini, persino serial killer (vedi Antonio Boggia), prostitute, contrabbandieri, falsari, bande varie tra cui , particolarmente noti i quattro della compagnia del Fil de Fer, il Gianni, l’Ernesto, il Gino e l’Ambrogio specializzati nello scassinare serrature, casseforti, con esperienza decennale in furti in appartamenti, ville ecc.), insomma ce n’era davvero per tutti i gusti, tutta gente assolutamente affidabile e professionale nel proprio ruolo!
Naturalmente anche le bettole della zona erano assai poco raccomandabili, per non parlare poi delle locande, e delle osterie tutte di infimo ordine. Del resto non c’è da stupirsi, eravamo vicini alla Darsena, porto fluviale di tutto rispetto crocevia di gente di ogni risma. Così, fra gli avventori dei locali della zona, c’erano tanti che, vivendo di espedienti, a fine giornata, non trovavano di meglio che consumare i pochi spiccioli in saccoccia, andandosi a scolare un bicchiere dopo l’altro, in qualche bettola di infimo ordine, fra sproloqui e bestemmie, sino a prendersi una sana patarlaca. Non era infrequente trovarsi la strada sbarrata da qualche soggetto caracollante o il ripescaggio di qualche ubriaco sfatto finito suo malgrado nel Naviglio Vallone!

Ndf. – Forse non tutti sanno, che i milanesi usano termini diversi per classificare i diversi livelli di sbronza: da quella leggera, la cirla, corrispondente ad una ubriacatura allegra e ciarliera, a quella un po più robusta, “la virla”, per la quale è meglio stare seduti per evitare di fare figuracce, per arrivare infine a “la patarlaca”, l’ultimo stadio della sbornia, quando cioè non ci si regge più in piedi.

Di osterie ce n’erano dappertutto in giro per Milano ma, quelle della zona Ticinese battevano tutti in quanto ad avventori che, per poco prezzo, fra un bicchiere e l’altro, affogavano i propri dispiaceri fra i fumi dell’alcool. Fra le varie locande una peggio dell’altra, proprio a due passi dalla Conca di Viarenna, sulla destra, andando verso la Darsena, era molto conosciuta la:

TRATTORIA MAMMA ROSA

Via Arena 36, Trattoria di Mamma Rosa, 1910
Mamma Rosa era la titolare di una nota locanda della Cittadella, nel cuore del Ticinese, a cavallo tra la metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. La locanda cambiò nome più volte nei secoli in cui rimase aperta, ma assurse a notorietà, sotto la gestione di Mamma Rosa; al piano terreno c’era un’osteria, e, al piano superiore ,una serie di infime camere da letto. Era nota per essere estremamente malfamata e frequentata dai peggiori figuri del Ticinese. Cioè i peggiori di tutta la città.
La locanda si trovava in via Arena al numero 36, quasi in Darsena, affacciata sui Bastioni di Porta Ticinese e poche decine di metri dal Naviglio di Viarenna (o Naviglio Vallone). Quando, a notte fonda Mamma Rosa decideva di chiudere le porte della sua osteria, e dentro vi si trovavano vari avventori ubriachi e che non potevano permettersi di pagare una camera al piano di sopra, l’ostessa tendeva una forte e lunga fune tra i tavoli del locale, faceva disporre gli avventori ubriachi con le sedie di fronte alla fune e li faceva appoggiare sopra con le braccia, come panni stesi! La mattina successiva Mamma Rosa allentava il nodo e immancabilmente i tanti “gaina” che dormivano “stesi” sulla fune, cadevano per terra, di piena faccia, con un brusco, ma tonificante risveglio. Era il segnale che indicava loro che dovevano uscire immediatamente dalla locanda, dopo aver passato la notte al caldo e a sbafo, complice la generosità di Mamma Rosa. Sul finire dell’Ottocento la locanda assunse il nome di “Trattoria dei Negozianti”, dove per negozianti si intendevano coloro che arrivavano in città per vendere o comprare merci e nella Cittadella del Ticinese, il porto di Milano, potevano trovare veramente di tutto. Tra il 1912 e il 1914, l’intero isolato dove si trovava la locanda di Mamma Rosa venne demolito per prolungare la via Gaudenzio Ferrari.
Tratto da:

Mamma Rosa tratto da “Ciapa el tram balurda, Aneddoti e curiosità milanesi


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