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Il Tempio della Notte

Premessa

Non è solo di oggi la detestabile abitudine d’imbrattare i muri delle case con scritte più o meno incomprensibili, ma a quanto pare, già nel 1828, ritroviamo questo vezzo, quale modo “poco urbano”, per denunciare pubblicamente un disagio sociale. Allora comunque, per chi faceva azioni simili, era molto peggio che non oggi: se individuato, rischiava grosso, a maggior ragione poi, se il muro imbrattato “apparteneva” alla casa di un “alto papavero” austriaco. Il muro che era stato onorato di tali attenzioni, era stato quello che recingeva il giardino del palazzo del conte Antonio Giuseppe Batthyàny, ai Giardini Pubblici, a ridosso dei nuovi caselli daziari di Porta Orientale. (Bastioni di Porta Orientale n. 711) Era quel palazzo “passato alla storia” (lo troviamo infatti nella cronaca della Storia di Milano) per il famoso, splendido ballo di carnevale in maschera dell’alta società, organizzato dal conte, la sera del 30 gennaio 1828, proprio il giorno prima della spiacevole sorpresa. Era il “ballo del Romanticismo” in cui aveva fatto il suo debutto ufficiale, la splendida contessina Giulia Samoyloff, l’amante dello zar di Russia, appena arrivata a Milano direttamente da San Pietroburgo. E così, uscendo dal palazzo quel freddo mattino, dopo una notte di piacevoli sollazzi e baldorie, ecco il regalo …. sul muro di cinta della proprietà, una scritta a caratteri cubitali a indirizzo del conte, a dire il vero molto arguta, che non lo metteva in buona luce agli occhi dei suoi stessi ospiti. Diceva. I Principi e i Marchesi son partiti, e son rimasti i Conti!!! Non ci vuol molto a intuire il doppio senso di questa frase, ma per capirne il motivo, bisogna fare un passo indietro di qualche anno.

Nell’allora borgo di Gorla, a poche miglia dai Bastioni di Porta Orientale (attuale porta Venezia), c’era, ed è ancora visibile oggi, un edificio splendido (attualmente conosciuto come Villa Finzi) di proprietà, all’epoca, del conte magiaro Antonio Giuseppe Batthyàny, alto ufficiale degli Ussari (la cavalleria ungherese) da lui usato allora come “buen retiro”  di campagna, dimora di delizia, luogo di piacere, ad uso esclusivo proprio e dell’aristocrazia internazionale.

Villa Batthyàny (anni Trenta)

Chi erano i Batthyàny

Erano dei nobili magiari (principi e conti) originari di Kőszeg, cittadina ungherese ai piedi delle Alpi, a non più di 5 km dal confine austriaco. Risulta che, nel 1616, la famiglia Batthyàny possedesse addirittura un castello, attualmente in rovina (distrutto da un incendio provocato da un fulmine nel 1841). Lì, pare, avessero ospitato nel 1698, Francesco II Ràkoczi, futuro principe di Transilvania e, poco più di un secolo dopo, nel 1813, l’Imperatore Francesco d’Austria. Che il conte Antonio Giuseppe Batthyàny godesse presso l’imperatore d’Austria di molta stima e fiducia, è testimoniato dal fatto che fu lui ad organizzare nella sua sontuosa villa di Gorla, il fastoso ricevimento di benvenuto in onore del principe Ranieri Giuseppe d’Asburgo-Lorena (fratello dell’Imperatore Francesco e vicerè del Regno Lombardo-Veneto) e della Principessa Elisabetta di Savoia-Carignano (sorella del futuro re di Sardegna Carlo Alberto) in occasione del loro passaggio per Milano, dopo le nozze celebrate a Vienna il 28 maggio 1820.

L’idea del parco

Allora, l’abitato di Greco, nel Comune dei Corpi Santi, era una borgata di pochi cascinali, in aperta campagna. La villa principesca dei Batthyàny in stile neoclassico era stata costruita nel 1814, come dimora di villeggiatura, una casa delle delizie, che si trovava lungo la strada per Greco in via Finzi 8 (oggi vi si accede da via S. Erlembaldo 4). La proprietà confinava, e confina tuttora, col canale della Martesana (il Naviglio Piccolo), offrendo degli scorci romantici davvero unici, a chi, non conoscendola, in primavera, va ad esplorare quella zona.

Uno scorcio del parco Betthyàny-Finzi visto dalla Martesana

Nel 1826, essendo quella sua villa, inizialmente senza giardino o quasi, il conte aveva deciso di acquistare diversi terreni agricoli confinanti con la sua proprietà, per potervi costruire un parco. Poiché gran parte dei terreni acquisiti, era attraversato dal fontanile dell’Acqualunga che scorreva praticamente in superficie, fu proprio questo a indurlo a far progettare al suo architetto un giardino paesaggistico. Cosa di meglio infatti, se non allargare il letto del ruscello nel suo giardino, per crearvi un magnifico laghetto? E magari creare anche un isolotto per movimentare ulteriormente il paesaggio? Per ingentilire la sua proprietà, fece fare al suo architetto di fiducia, l’ingegnere Gaetano Brey, il progetto di un vasto parco con laghetto. Era lo stesso architetto a cui aveva pure commissionato precedentemente la costruzione di un grande terrazzo sopra il muro di cinta del giardino del suo palazzo ai Bastioni di Porta Orientale. Nacque così l’idea del parco di Villa Batthyàny, oggi, uno dei più antichi parchi di Milano.

La realizzazione del giardino paesaggistico

Era consuetudine tipica di quel periodo, fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, quella di creare parchi o “giardini paesaggistici”, detti anche “giardini all’inglese”. Questi venivano realizzati secondo schemi che riproducessero deliziosi angoli romantici ad imitazione di scorci particolarmente suggestivi, che la natura spesso ci regala: quindi, vegetazione rigogliosa con varie tipologie di piante e di alberi, fiori, ruscelletti, laghi, grotte artificiali, boschetti, collinette, ponticelli ecc.

Ad impreziosire il suo giardino, fece costruire pure il Tempio dell’Innocenza, un tempietto in stile neoclassico, visibile ancora oggi nel parco. Si tratta di una costruzione a pianta circolare, a cielo aperto, con otto colonnine in pietra, su un basamento a gradoni. Data la sua conformazione, è molto probabile che questo tempietto si erigesse proprio sull’isolotto su-accennato in mezzo al laghetto, raggiungibile dalle rive, con una piccola barca. Peccato che oggi, laghetto e isolotto siano purtroppo scomparsi a causa della trasformazione in roggia, del fontanile dell’Acqualunga.

Ndr. – Si chiama in geografia fisica, zona dei fontanili (o delle risorgive), la fascia in cui le acque, assorbite da terreni ghiaiosi e permeabili dell’alta pianura, incontrano più a valle terreni fini e impermeabili, da cui tendono a riaffiorare copiosamente. [ rif. Treccani ]

Oggi, il fontanile, a causa anche dell’abbassamento della falda, è stato interrato. Venne infatti costruita una roggia (la roggia Acqualunga , appunto), “scavata al fine di mantenere l’acqua necessaria allo spurgo dei canali sotterranei della città”. Aveva origine nel vicino territorio di Precotto, attraversava i terreni dei Batthyany-Finzi e sottopassava, con un sifone. il Naviglio Martesana, proseguendo poi verso la città.

In generale con il termine Roggia s’intende un canale artificiale di portata moderata, proveniente usualmente da un corso d’acqua più ampio; è prevalentemente utilizzato per l’irrigazione e per alimentare mulini ad acqua e piccole centrali elettriche.

Il Tempio dell’Innocenza

Il conte non si fece mancare davvero nulla, ogni genere di delizia, una caffè haus, delle serre, un casino ungherese, persino un secondo tempietto, nascosto sottoterra, sotto il piano di calpestio del parco. Evidentemente Giuseppe Batthyàny doveva essere affiliato a qualche loggia massonica! E’ il Tempio della Notte, unico esempio a Milano di architettura massonica ipogea, piccolo gioiello del Neoclassicismo lombardo. Il tempio è stato ricavato all’interno di una struttura sotterranea preesistente, usata come ghiacciaia, una sorta di neviera. Vi si accedeva attraverso una grotta artificiale, ora difficilmente praticabile.

Quando le maestranze che lavoravano per lui su questi progetti, cominciarono a fiutare che il conte, manteneva un tenore di vita ben al di sopra delle sue reali possibilità, si allarmarono, temendo il peggio. Quando poi si resero conto che, fra spese per pranzi, cene, e feste da mille e una notte, il Batthyàny non riusciva più a onorare le fatture per tutti questi lavori, cominciarono a preoccuparsi seriamente per i loro stipendi che, invece che essere pagati, con scuse varie, venivano sempre più differiti nel tempo. Da qui, la comprensibilissima rabbia e lo sfogo arguto di chi, con quella scritta sui muri della proprietà del conte, intendeva pubblicamente richiamarlo ai suoi doveri contrattuali.

Il Tempio della Notte

Altri due soli esempi simili in tutt’Europa

Risulta che, in Italia, vi sia un unico altro esempio di questa tipologia di architettura da giardino, oggi quasi del tutto dimenticata. Pure questo si trova in Lombardia: precisamente a Cernusco sul Naviglio, nel parco della villa del Conte Ambrogio Uboldo, villa di delizia, costruita pure quella, vicinissima al Naviglio della Martesana. E’ di qualche anno antecedente al simile Tempio di Gorla.

In Europa, al di fuori dell’Italia, esiste un unico altro esempio, nel parco del Castello di Schönau an der Triesting, nella bassa Austria, il cui Tempio della Notte fu costruito nel 1796 dal barone Peter von Braun, che all’epoca era uno degli uomini più ricchi d’Austria.

In tutti questi casi, si tratta di templi sotterranei fatti di colonnati, capitelli, volte e nicchie varie, costruiti rispettando particolari posizioni astrali. Da un’imboccatura posta sulla volta. ricevono infatti la luce, che durante i solstizi d’inverno e d’estate, illumina nicchie particolari dove, molto probabilmente, vi erano delle statue. Non sembra vi si facessero messe nere o riti magici. Pare piuttosto che siano stati costruiti per ospitare riunioni massoniche e riti di iniziazione.

Nella massoneria, l’iniziazione indica il rito di passaggio che porta all’ottenimento della Luce. In quest’ambito è previsto che l’aspirante adepto debba sostare in un «gabinetto di riflessione», ovvero un luogo oscuro, che allude alla caverna platonica, simbolo della morte e preludio della rinascita, prima di essere affiliato [rif. Wikipedia]

La scoperta di questo Tempio

Questo, nel parco della villa Batthyàny-Finzi, fu un ritrovamento, a quanto pare, casuale: la scoperta iniziale di uno strano ipogeo in quella proprietà, risalirebbe al 1991 quando lo speleologo Celestino Ghezzi, cominciò a dedicarsi all’esplorazione del percorso del fontanile Acqualunga, nel tentativo di dipanare la matassa del complesso sistema idrico di risorgive, rogge e torrentelli vari che da nord-est di Milano, arrivano in città, dirigendosi verso sud.

NOTA :
L’importanza del fontanile Acqualunga, era legata al fatto che storicamente, cioè fin dai tempi della Milano Imperiale, le sue acque raggiungevano il centro storico per alimentare, assieme al Seveso, il fossato difensivo delle mura romane, in zona Bigli-San Babila. Non è escluso infatti che una derivazione dell’Acqualunga andasse ad alimentare i due Battisteri attigui alla Basilica Vetus (nell’attuale Piazza Duomo) e pure le Terme Erculee nell’attuale Corsia dei Servi. Scavi eseguiti negli anni Sessanta del secolo scorso per la costruzione della stazione San Babila della linea 1 della metropolitana, hanno permesso l’individuazione di un ponte romano all’altezza della piazzetta San Carlo, indice questo della presenza di un corso d’acqua che attraversava Corso Vittorio Emanuele in direzione delle Terme Erculee.

Ponte romano scoperto nel 1961 sotto Piazzetta San Carlo a Milano (durante gli scavi della metropolitana linea 1)

Poiché il fontanile dell’Acqualunga passava di fianco alla collinetta artificiale che Celestino Ghezzi aveva notato, senza tuttavia toccarla, lui non perse tempo, in quell’occasione, a scoprire cosa nascondesse quell’ipogeo nel parco di Villa Batthyàny-Finzi.

Bisognerà attendere altri 14 anni, appena il 2005, per riuscire a scoprire l’esistenza di questo tempio. Questo accadde quando lo speleologo Andrea Thum della Associazione S.C.A.M. (Speleologia Cavità Artificiali Milano), nel fare il censimento delle cavità sotterranee della città, notò, in una piccola sommità del terreno nel Parco di Villa Finzi a Gorla, un’apertura circolare coperta da una grata.

La grata sulla sommità di questa collinetta, seminascosta fra gli alberi (foto di sqi.net)
Posizione della collinetta e del Tempio della Notte nella piantina del Parco (da Comune di Milano- Parco di Villa Finzi – Consiglio di Zona 2)

Andrea Thum si rese conto subito che, nonostante lo stato di degrado e di abbandono, quel ritrovamento era qualcosa di unico. Sopraluoghi successivi portarono alla luce una grotta artificiale, composta da tre cunicoli coperti a volta con blocchi di ceppo d’Adda alti due metri circa, materiale questo proveniente dalle cave vicino al castello di Trezzo, e trasportato fino a villa Batthyàny su chiatte, lungo la Martesana. La grotta conduceva poi a un tempio monoptero sotterraneo, costruito ad imitazione di quello di Schönau (Vienna).

Ndr. – In architettura si definisce monoptero un tempio costituito da un semplice colonnato circolare.

Com’è fatto

Come già riferito, lì sotto, prima di costruire il tempio, vi era una ghiacciaia. Anche se mancano riscontri in questo senso, fra i documenti catastali che fanno riferimento alla proprietà, l’ipotesi ghiacciaia è avvalorata dalla presenza di un camino d’aereazione necessario per la coibentazione dell’ambiente per la conservazione del ghiaccio, oltre che da varie nicchie per il deposito delle derrate alimentari da conservare e da un foro individuato nella volta del tempio che, a giudizio degli esperti, sarebbe il punto dove veniva calata la neve o il ghiaccio nella ghiacciaia stessa.

Lo sfondamento nella volta del Tempio, rappresenterebbe la bocca di carico della ghiacciaia

Ndr. – I termini ghiacciaia o neviera evocano l’idea di un grande frigorifero, e in effetti lo sono! Era un’esigenza già sentita nel Cinquecento: la Ca’ Granda, ad esempio, come ospedale ne aveva una grandissima, in uno dei suoi cortili interni. Ne troviamo menzione pure alla Certosa di Garegnano, ad uso delle comunità monastiche. In seguito anche i palazzi nobiliari ne avevano spesso una, di norma parzialmente interrata nel cortile o nel giardino della proprietà. Questi ambienti, veri e propri locali, per poter mantenere il freddo, venivano riempiti d’inverno con ghiaccio frantumato o neve pressata, il tutto ricoperto di foglie secche.
Esistevano, per la gestione corretta di questi locali adibiti di norma alla conservazione di cibi e bevande, dei manuali con precise istruzioni d’uso:
“ …. per riempirla di ghiaccio si scelga un giorno freddo e asciutto, prima di riporvelo vi si deve mettere al fondo un denso strato di paglia lunga incrocicchiata in tutti i versi, e devesi pur rivestire di paglia tutto l’interno, in guisa che il ghiaccio posi sulle foglie e non tocchi le pietre…….”

Il Tempio della Notte  è, secondo gli stessi intendimenti dei suoi fondatori, un percorso “celato” (cioè volutamente tenuto nascosto).  E’ costituito da una camera circolare cui si accede attraverso cunicoli d’accesso e rami secondari tra loro comunicanti. Il tutto è costruito sotto una collinetta di terreno da riporto. Alla muratura perimetrale interna, in mattoni pieni (un tempo intonacati) erano addossate otto colonne di marmo con capitelli di ordine corinzio. Tra le colonne si aprivano delle nicchie che, con tutta probabilità, contenevano delle statue o altri elementi decorativi.

La relazione documentaria della S.C.A.M.

. Questa è la relazione documentaria degli speleologi relativamente al Tempio della Notte di Gorla; Il Tempio è costituito da una camera circolare composta :

“da tre cunicoli d’accesso e da rami tra loro comunicanti. I primi metri degli ingressi nord, ovest ed est, presentano una formazione architettonica con volta a tutto sesto in conglomerato (presumibilmente ceppo d’Adda). Nel secondo tratto dei corridoi si nota un cambiamento della struttura, che ha spallette in mattoni a vista, disposti in corsi regolari, alte mediamente 2 metri circa, alla cui sommità s’imposta la volta a sesto ribassato, anch’essa in blocchi di conglomerato di omogenee dimensioni. Il piano di calpestio è attualmente in terra battuta. Dai rami principali si dipartono tre corridoi secondari. In quello intersecante il ramo est si legge la presenza di un camino di aerazione con canna in laterizio pieno e ciottoli, comunicante con la sommità della collina. I primi due rami conducono alla camera centrale del Tempio della Notte. La pianta circolare del Tempio della Notte presenta una struttura a doppia parete e doppia copertura a cupola comunicante con l’esterno attraverso un oculo sommitale da cui proviene la luce. Alla muratura perimetrale interna, in mattoni pieni e un tempo intonacata, sono addossate otto colonne di marmo con capitello di ordine corinzio. Tra le colonne si aprono tre nicchie adatte a recepire elementi di decoro.”  

(Ricerca documentaria. Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano S.C.A.M. a cura di Maria Antonietta Breda, Andrea Thum, Alessandro Verdiani)
Il Tempio della Notte

Come Tempio della Notte, venne usato davvero pochissimo. Morto infatti nel 1836 il Conte Giuseppe Batthyàny, i suoi figli cedettero quasi subito la villa al Cavaliere Prospero Finzi; successivamente, tutto il complesso passò in eredità alla Signora Fanny Finzi Ottolenghi.

A Gorla si ricorda ancora oggi , in particolare, la contessa Fanny Finzi, vedova dell’avvocato Salvatore Ottolenghi, per la donazione, nella seconda metà dell’Ottocento, di una parte del parco e di una casa-giardino per i bambini del quartiere. Ad inizio Novecento, in collaborazione con l’Istituto ortopedico Gaetano Pini, creò un “Rifugio per ragazzi inabili”, che presto divenne il principale centro in Italia per il recupero motorio e di avviamento al lavoro, di ragazzi portatori di handicap. Il vecchio “Rifugio di viale Monza”, sorto nel 1915, è diventato oggi il Polo Riabilitativo Fanny Finzi-Ottolenghi, una moderna struttura, inaugurata nel 2000 (in via Isocrate, sul terreno che la contessa lasciò in beneficenza all’Istituto per Rachitici, oggi ASST Gaetano Pini-CTO)

Alla morte della contessa Fanny Finzi-Ottolenghi nel 1919, non lasciando eredi (l’unico figlio Zaccaria, era morto a soli 10 anni) la proprietà venne lasciata andare al suo destino. Poi, nel 1934, dopo anni di abbandono, l’intero bene (villa e parco) confluì nel patrimonio del Comune che rispettando la vocazione data ad esso dai conti Finzi-Ottoleghi, decise di destinare il giardino a parco pubblico e parte della villa, ad opere assistenziali. 

Durante la seconda guerra mondiale

Nel freddo inverno del 1941, in pieno periodo bellico (1940 -1945) il parco fu letteralmente disboscato: i bellissimi alberi secolari andarono perduti: furono gli stessi abitanti della zona a segarli per farvi legna da ardere.
Villa Finzi divenne, in quel periodo, succursale dell’Ospedale Bassi per le malattie infettive.
Il Tempio della Notte venne utilizzato come rifugio antiaereo durante i bombardamenti del 1943 – 1944 sia per gli abitanti del quartiere, che per i ricoverati della villa, diventata Ospedale. Infatti le esplorazioni hanno evidenziato addossati alle pareti dei cunicoli della grotta, la presenza di muri di mattoni per adeguare la struttura ad uso di ricovero antiaereo.

Il parco, oggi

All’interno dell’area, oggi, sono presenti un asilo, una scuola dell’infanzia e una elementare, un centro sociale per anziani, il Servizio veterinario della ASL di Milano oltre a due ampie aree gioco per bambini.

Quanto al verde, ripiantati gli alberi già nel 1946, oggi, il parco Finzi è un vero angolo di paradiso, per la molteplicità di piante che ospita nei suoi 50.000 mq. Oltre a diverse varietà di acero, ailanto o albero del paradiso, carpino bianco, ciliegio, faggio, ginkgo biloba, vi è davvero un po’ di tutto. C’è il mirabolano, il noce nero, l’olmo, il pioppo cipressino, quello nero, la quercia rossa, la robinia, il tiglio selvatico, e pure il glicine l’abete rosso e quello del Caucaso, l’albero dei tulipani, quello del caffè e l’albero di Giuda dai fiori ermafroditi rosa e rosa fucsia. Da segnalare infine, per la sua rarità, anche un gelso da carta, e un ippocastano particolarmente imponente.

L’unica nota dolente, ed è un vero peccato, è la mancanza di telecamere di sorveglianza e la scarsa vigilanza di tutta l’area, soprattutto nottetempo. Nonostante il parco sia completamente recintato, e venga chiuso di sera, sono purtroppo frequenti le incursioni di vandali e sbandati che, per noia, per dispetto, o per il solo gusto di farlo fidando nell’impunità, lasciano troppo spesso spiacevoli tracce del loro passaggio.

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