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Federico II di Svevia

Milano comunale … anni turbolenti e l’incubo Federico

Siamo nell’Italia del Comuni, agli inizi del XIII secolo. A Milano, in quegli anni, non tirava buona aria … e il povero podestà di turno, aveva sicuramente il suo bel da fare per tenere a bada gli animi più esagitati delle due principali fazioni (nobili e popolo), in perenne lotta fra loro. Bastava un nonnulla, perché si scatenasse il putiferio … I milanesi non avevano ancora dimenticato la tragica esperienza della distruzione della città da parte di Federico I di Hohenstaufen detto il Barbarossa, che già stava incombendo sulla loro testa, una nuova minaccia altrettanto pericolosa: questa volta, da parte del nipote del Barbarossa, l’italianissimo Federico II di Hohenstaufen, duca di Svevia.

Federico II di Svevia

Federico II discendeva dal lato paterno dalla nobile famiglia degli Hohenstaufen e dal lato materno dallaltrettanto nobile famiglia siculo-normanna degli Altavilla, conquistatori di Sicilia e fondatori del Regno di Sicilia. A parte il cognome indubbiamente germanico, Federico era effettivamente italiano essendo nato a Jesi (Ancona), nel 1194, da Enrico VI (figlio di Federico I) e Costanza d’Altavilla, durante una sosta del loro lungo viaggio dalla Germania verso la Sicilia.
Già all’età di 4 anni – rimasto sotto la tutela di papa Innocenzo III, in seguito alla morte, fra il 1197 e 1198, di entrambi i suoi genitori, – era stato incoronato Re di Sicilia. Dichiarato (dal papa) maggiorenne a 14 anni, a 15, si era già sposato con Costanza d’Aragona, a 18, incoronato Re di Germania, a 26, Imperatore del Sacro Romano Impero, a 35, Re di Gerusalemme …. ebbe 3 mogli, 19 figli (tra legittimi e non) … 3 scomuniche … morì a Castel Fiorentino (Foggia) nel 1250, all’età di 56 anni. Fu sepolto nella Cattedrale di Palermo.

A dire il vero, fin dall’inizio della sua fulminea ascesa al potere, non ispirò mai grandi simpatie fra i milanesi. Indubbiamente il chiamarsi esattamente come il suo famigerato nonno (il Barbarossa), non deponeva a favore del giovane sovrano, rammentando agli abitanti di Milano, ferite ancora troppo fresche, che, a distanza di quarant’anni, non si erano certo rimarginate. Evidentemente ‘a pelle’, non si piacevano proprio e la ‘simpatia’ era naturalmente contraccambiata! Furono proprio una serie di piccoli sgarbi, sospetti e atteggiamenti, ritenuti da Federico II, quasi di sfida nei suoi confronti, ad esacerbare gli animi, e a convincerlo a riaprire nel giro di pochi anni, nuove ostilità con Milano, giudicando i suoi abitanti come ribelli.

Nel 1209, l’imperatore Ottone IV (Re di Germania allora in carica), rivendicando i diritti sul Regno di Sicilia, scese in sud Italia, per assumere il potere. Questo provocò la reazione di quanti – come il Papa, il re di Francia e diversi principi tedeschi – si opponevano a un’unione tra l’Impero e il regno italiano. Nel 1211, Federico divenne lo strumento degli interessi di alcuni principi tedeschi. Mentre Ottone stava già consolidando il suo controllo sull’Italia meridionale, un’assemblea di principi tedeschi contrari alla sua politica, decise di deporre l’Imperatore, e di invitare Federico in Germania, per incoronarlo Re dei Romani, designandolo erede al trono imperiale. In seguito a tale richiesta, Federico si mise in viaggio verso il nord, costringendo Ottone a sospendere la sua campagna militare nel sud Italia, e a tornare in patria.
La scelta di Pavia e Cremona, città tradizionalmente rivali di Milano, di appoggiare Federico II, rafforzò l’orientamento anti-svevo della città ambrosiana, che invece continuò a restare fedele ad Ottone fino alla sua abdicazione nel 1215. I milanesi, infatti, crearono qualche fastidio a Federico, cercando di impedirgli, con scaramucce varie, il guado del fiume Lambro, rallentando con varie imboscate, il transito delle sue truppe sulle strade lombarde verso la Germania.

La deposizione di Ottone, non trovando d’accordo tutti i principi tedeschi, spaccò la Germania in due correnti contrapposte: il sud fedele a Federico, mentre il nord, molto più orientato verso il Re ancora in carica. Nel 1214, tuttavia, Ottone fu rovinosamente sconfitto dalle truppe anglo-francesi (pro Federico) nella battaglia di Bouvines. Alla fine, rimase sul trono fino alla sua morte nel 1218, ma notevolmente indebolito, poiché dopo Bouvines, divenne evidente che Federico aveva vinto la contesa.

Milano, dichiarata ribelle al potere imperiale

Qualche anno dopo, nel 1226, il tentativo da parte di Federico II, di indire una Dieta a Cremona (città da sempre fedele all’Imperatore), venne visto dai milanesi, con enorme sospetto e fortemente osteggiato. La Dieta, ufficialmente indetta per trattare dell’ordine e del ripristino della dignità imperiale nella regione, per organizzare la crociata a Gerusalemme e per definire come contrastare l’eresia dilagante, venne, alla fine, cassata dai milanesi perché la scelta del luogo, fu interpretata come minaccia alla propria integrità territoriale. A seguito del re e dei principi tedeschi che sarebbero convenuti, ci sarebbe stata infatti una grossa concentrazione di truppe d’Oltralpe, a pochi passi da Milano. Ovviamente dal punto di vista del re, l’atteggiamento ostile manifestato dai lombardi, venne interpretato come un ulteriore sgarbo alla sua persona e alla sua autorità. Questo bastò perché la città venisse considerata ribelle al potere imperiale.

La creazione della Lega Lombarda (1226)

Come avrebbe potuto reagire Milano ad una simile provocazione? Assieme a Bologna, Brescia, Padova, Mantova, Vicenza e Treviso, rinnovò i giuramenti della vecchia Lega Lombarda (quella fatta ai tempi del Barbarossa). A questa, aderirono subito anche Vercelli, Alessandria, Faenza, Verona, Piacenza, Lodi, Bergamo, Torino e Novara.

Revocata ai Comuni della Lega, l’autonomia di cui godevano

Prima conseguenza di tale alleanza, fu il blocco delle Chiuse di Verona. Questo atto fu parte di una serie di manovre politiche e militari compiute dalle città della nuova Lega Lombarda per impedire a Federico II di riunirsi con i principi tedeschi e i loro eserciti a Cremona. Le trattative con le città, perché desistessero dalla ribellione, si rivelarono infruttuose; così, nel luglio 1226, Federico II pose tutti questi Comuni al bando dell’Impero, revocando loro i diritti di autonomia garantiti dalla pace di Costanza (stipulata quarant’anni prima, fra Federico Barbarossa e la Legga Lombarda di allora).

Dal ‘Trattato di Costanza’ del 1183.
«In nome della Santa Trinità, noi Federico I, per grazia di Dio imperatore dei Romani, pur dovendo e potendo punire severamente i vostri delitti, tuttavia preferiamo governare nella pace. Perciò concediamo a voi, città della Lega, i diritti regali [diritto di imporre tasse, battere moneta, amministrare la giustizia] e i vostri statuti per sempre; cioè restino immutati tutti i diritti che fin qui avete esercitato ed esercitate […] Nelle città potete continuare ogni cosa come avete fatto finora, senza nostro divieto […]»

Ovviamente, in barba a quanto decretato da Federico II, nessuno dei Comuni interessati, accettò la revoca dei diritti acquisiti col Trattato di Costanza.

Milano messa al bando Venti di guerra

Nel 1231, l’imperatore convocò una nuova Dieta a Ravenna, invitandovi, oltre ai Comuni lombardi, il figlio Enrico (già quindicenne) e i principi tedeschi. Di nuovo la Lega bloccò la via del Brennero e il sovrano fu costretto a reinviare l’incontro, mettendo al bando la città di Milano.

Essendo oltre che Re di Germania, anche Re di Sicilia, Federico II sicuramente mirava in cuor suo, di unire la Germania alla sua isola, annettendosi tutto il Bel Paese. Era rientrato infatti in questo disegno (1222-1228), il suo tentativo di recuperare all’impero, la Marca Anconitana e il ducato di Spoleto, che erano sotto la sovranità papale.
Peccato che quasi tutti i Comuni del Nord Italia e lo Stato Pontificio, non la pensassero esattamente allo stesso modo e, non appena ebbero notizia che, nella nuova Dieta di Magonza del 1235, Federico II, con il pieno appoggio dei principi tedeschi, aveva deliberato la campagna proprio contro Milano, la città e gli altri Comuni ‘ribelli’, sentendosi in pericolo immediato, corsero ai ripari, rinnovando il vecchio patto di alleanza, già messo in atto con successo (battaglia dl Legnano del 1176), contro il Barbarossa. Vi aderirono tutte le città della Lombardia con l’esclusione di Cremona, Pavia e Como, che erano dichiaratamente ghibelline (cioè parteggiavano per l’imperatore). Nel 1236, a Viterbo, il nobile milanese Pagano della Torre, conte di Valsassina, in rappresentanza di Milano, definì, con i rappresentanti degli altri Comuni interessati, gli accordi per cementare quest’alleanza caldeggiata dal papa Gregorio IX (il pontefice, antimperialista per eccellenza, che si era già distinto, qualche anno prima, per aver scomunicato il giovane Federico II per la sua finta crociata in Terra Santa e per la confisca dei beni al clero, che il giovane imperatore aveva operato nei territori conquistati).

La disfatta della Lega Lombarda

Il conflitto fra le forze imperiali e la Lega Lombarda iniziò qualche mese dopo, nell’agosto del 1236. Durò più di un anno: si trattava di una guerra più di posizione con piccoli spostamenti sul campo e scaramucce di tanto in tanto, che non di scontri continui. Comunque, quando il vero attacco arrivò, furono dolori, perché i Comuni ribelli, trovandosi impreparati, furono colti di sorpresa! Federico, alla testa di forze fresche e bene armate, puntò sull’Oglio nei pressi di Cortenova, dove il nemico aveva ammassato il suo esercito. La battaglia del 26 Novembre 1237, fu breve, ma assai sanguinosa: si risolse drammaticamente, con la disfatta dell’esercito milanese e della Lega Lombarda, attaccati contemporaneamente su più fronti. Pagano della Torre, conte di Valsassina, podestà di Brescia, accorse da Milano aiuto dei Milanesi e raccolti a Pontida, i resti dell’esercito disperso, trovò per loro rifugio nel suo castello in Valsassina.

Pagano della Torre, esponente di una delle più importanti famiglie nobili milanesi, aveva iniziato la sua carriera politica nel 1226 all’atto di costituzione della seconda Lega lombarda, assumendo l’incarico come podestà di Brescia e successivamente di Bergamo. La sua notorietà aumentò notevolmente nel corso degli anni, tanto da portarlo a firmare, nel 1235 insieme a molte altre famiglie nobili milanese un patto di alleanza con il figlio di Federico IIEnrico VII di Hohenstaufen, da sempre ostile nei confronti del padre.

Curati i feriti, li fece poi riaccompagnare a Milano, ricevendo così l’unanime gratitudine della città.

Il Carroccio, portato al papa in segno di scherno

Il Carroccio, che, come si usava allora, era stato difeso strenuamente dalla fanteria, durante la ritirata precipitosa, privato delle insegne, venne addirittura abbandonato sul campo di battaglia. Federico II lo recuperò e lo fece portare a Roma, come omaggio al papa, in segno di scherno.

Il Carroccio, di origine longobarda, era un grande carro a quattro ruote, trainato da buoi. Veniva inizialmente utilizzato come carro da guerra. La sua funzione diventò successivamente prettamente simbolica, con l’aggiunta della croce, delle insegne cittadine e dell’altare attorno al quale si raccoglievano e combattevano le milizie a piedi. Era il simbolo dell’autonomia comunale. In tempo di pace, secondo alcuni storici, era conservato nella chiesa di San Giorgio al Palazzo, secondo altri, all’interno del Palazzo della Ragione

Il carroccio, durante la battaglia di Legnano – dipinto di Amos Cassioli

Il tentativo di una pace onorevole, andò a vuoto, vista la pretesa di Federico II, di resa incondizionata della città, ritenuta centro di ignobile malvagità. Gregorio IX cercò di mediare, mandando a Milano il suo legato apostolico, Gregorio di Montelongo, soggetto abile e scaltro, ufficialmente in missione di pace. In realtà, il suo obiettivo era quello di spronare i milanesi a resistere e organizzare la lotta contro l’imperatore. Aiutato dal provinciale dei Frati Minori, tale Leone da Perego, prelato di nobile famiglia milanese, i due ecclesiastici, grazie alle loro prediche infuocate e alle indulgenze promesse a chi avrebbe combattuto contro Federico II, convinsero i milanesi a prepararsi alla resistenza ad oltranza.

In tutto questo tempo, nonostante l’incombente minaccia d’invasione, non si assopirono i contrasti fra le fazioni cittadine (nobili e popolo) … anzi le accuse reciproche, anche sul modo di condurre le operazioni militari e su come difendere la città, aumentarono … “il popolo va in armi mentre i nobili se ne stanno a casa” …

Nel 1240 si venne a creare una spaccatura in seno alla fazione dei nobili, che portò ad una riduzione della loro influenza nella gestione cittadina, a favore del popolo. Questo fu probabilmente dovuto alla somma di due fattori: da una parte, frutto degli intrighi di palazzo di Gregorio di Montelongo, il legato pontificio (sempre molto attivo), dall’altra, l’opera di convincimento alla causa imperialistica, portata avanti da Federico II nel confronto dei nobili milanesi imprigionati dopo la cattura nella battaglia di Cortenova, e successivamente liberati. L’effetto più vistoso di questa spaccatura fu la confluenza, nella Credenza di Sant’Ambrogio (associazione di popolo), di diverse famiglie nobiliari, che prima stavano dall’altra parte. Pagano della Torre, guelfo, paladino dell’antimperialismo, già noto per i suoi recenti trascorsi, venne eletto Anziano della Credenza e lo stesso anno, pure podestà di Milano.

Pagano, in qualità di podestà, nel 1240, obbligò per primo, il governo di Milano, a predisporre un censimento generale dei beni mobili e immobili di tutti gli abitanti della città, in modo da poter utilizzare tale strumento, come base per l’imposizione fiscale generalizzata, proporzionata alle effettive sostanze dei singoli. Operazione questa per nulla semplice, dato che tanti nobili si sentivano ‘toccati’ nei loro privilegi. Per placare le tensioni cittadine, ed evitare sospetti di connivenze, volle che il catasto comprendesse non solo i proprietari fondiari laici, ma anche gli ecclesiastici.

Morto Pagano nel 1241, il nipote Martino della Torre, figlio del fratello Jacopo, proseguì l’opera riformatrice dello zio e, nel 1247, Martino della Torre venne nominato nuovo Anziano della Credenza.

A dieci anni dalla disfatta, Milano non si era ancora ripresa. Alla fine, grazie alla resistenza opposta dai milanesi (con l’aiuto morale del papa), la Chiesa aveva prevalso sull’Impero.
Vista la difficoltà ad ottenere la resa di Milano, ad un certo punto, Federico II aveva desistito per stanchezza e si era ritirato, senza mai stilare un trattato di pace con la città. Quindi, in teoria, ritornando in Italia, avrebbe potuto attaccare Milano in ogni momento, senza preavviso.

La morte di Federico II

Mentre soggiornava nel suo luogo prediletto, Castel Fiorentino, vicino a San Severo nella provincia di Foggia, Federico II fu afflitto da una acuta patologia addominale. Morì il 13 dicembre 1250, dopo aver indossato l’abito grigio dei Cistercensi e aver ricevuto l’assoluzione e l’estrema unzione dall’arcivescovo di Palermo, Berardo di Castagna, che lo aveva assistito fin dal 1209.
L’inattesa notizia della sua morte fu accolta con giubilo dai milanesi: per loro era la fine di un incubo, durato ben trentotto anni!

La sua salma traslata a Palermo, fu composta in un sarcofago di porfido rosso nella Cattedrale.

Il sarcofago di Federico II, nella Cattedrale di Palermo

Curiosità a tutt’oggi irrisolta

Il sarcofago di Federico II, situato nella Cappella delle Tombe Reali del Duomo di Palermo, è avvolto da un mistero affascinante. Quando fu aperto per la prima volta, per una ricognizione, nel 1781, durante i lavori di ristrutturazione della Cattedrale, furono rinvenuti al suo interno, non uno, ma addirittura tre corpi.

Chi ha usurpato il sonno eterno di Federico II?

Il corpo più in basso, appartiene sicuramente a Federico II, (riconoscibile per la presenza delle insegne regali e degli ornamenti imperiali), mentre gli altri due, quasi affiancati fra loro (sopra le spoglie dell’Imperatore), sono rispettivamente quelli di un uomo e di una donna. Quello di lui, ricoperto di un manto regale, sebbene cucito in un sacco armato di spada, è stato identificato come appartenente a Pietro II di Sicilia, Re di Trinacria, morto a Calascibetta nel 1342; quello di lei, un corpo di minor grandezza, avvolto in un drappo molto logoro, non si sa a chi possa appartenere. La posizione dei suoi resti induce a pensare sia morta prima dell’uomo. La presenza di questi due corpi rimane comunque un autentico enigma, non comprendendo per quale motivo sia stata violata la tomba di Federico II, non esistendo alcuna relazione di parentela fra lui e gli altri due soggetti.

La presenza della donna è particolarmente intrigante e ha dato origine a molte teorie e congetture.
Chi potrebbe essere? Perché è stata tumulata nello stesso sarcofago subito sopra Federico?
Perché anche Pietro II (se poi effettivamente è lui), è stato tumulato in quello stesso sarcofago?
Domande queste, alle quali nessuno degli studiosi della materia, è stato in grado di dare, a tutt’oggi, una risposta.

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