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Case di ringhiera – “La linghera”

Le case di ringhiera rappresentano oggi, per Milano, un’ autentica pagina di storia, il simbolo di un’epoca contraddistinta da forte fenomeno d’immigrazione, quale conseguenza della nascita dell’era industriale e del conseguente grande sviluppo della città, nei primi decenni del XX secolo. Sono la testimonianza tangibile del nostro ieri e del vissuto dei nostri nonni o bisnonni nel contesto di una socialità e di una condivisione, oggi, quasi del tutto dimenticate.

Ai primi del Novecento, la rapida crescita industriale di Milano, portò come immediata conseguenza, la forte richiesta di manodopera non specializzata. Il flusso di gente in arrivo dal Sud in cerca di lavoro, fu tale da evidenziare ben presto in città una carenza di alloggi per le classi popolari.

Sulla base dei censimenti effettuati, fra il 1901 e il 1911, il grafico mostra che in solo quel decennio, si ebbe un incremento demografico nella sola Milano, di oltre 200000 unità. Per gli amministratori locali risultò quindi evidente la necessità di creare in fretta nuovi alloggi.

L’offerta abitativa

Cominciarono quindi a sorgere nelle periferie della città e in prossimità delle fabbriche, delle case di ringhiera, quale soluzione abitativa economica, per quanti arrivavano in città, in cerca di lavoro.

Per chi non riusciva a trovare una soluzione abitativa di questo tipo, o per quanti si trovavano in condizioni di completa indigenza, c’erano sempre a disposizione dei dormitori e delle strutture caritatevoli per i senzatetto. Gli Asili Notturni “Lorenzo e Teresa Sonzogno”, erano già operativi fin dal 1884, mentre il ricovero notturno di via Soave, oppure il dormitorio di via Colletta, sorsero nei primi anni del Novecento. Alcuni enti, quali la Società Umanitaria, il Comune di Milano e l’Istituto Case Popolari, sempre per far fronte alla incessante domanda di alloggi di emergenza, provvidero pure loro, alla costruzione delle “case minime” mono o bifamiliari, autentici dormitori popolari. In extremis, c’erano infine le baraccopoli (baracche in legno o in muratura semifatiscenti, disseminate ai margini della città, quasi in campagna.

Cos’è la “casa di ringhiera”

Si suole definire come casa di ringhiera, un condominio di edilizia popolare, dalla struttura particolare, molto spartana: è un edificio usualmente da due a sei piani, senza balconi sulla facciata esterna (verso la strada), che appare di solito, molto semplice e disadorna; ha un perimetro, molto spesso, a forma di quadrilatero regolare, che racchiude un cortile interno comune. La sua caratteristica principale sta proprio nel cortile. Dal cortile infatti si dipartono le scale, spesso esterne, per salire ai piani superiori. A livello di ogni singolo piano, c’è una balconata continua con ringhiera metallica, che corre per l’intera lunghezza del piano, unificando di fatto tutti gli appartamenti, a cui si accede dal ballatoio stesso. Il nome “ringhiera” deriva proprio dal parapetto in ferro del ballatoio, dove ancora oggi le famiglie, non avendo un balcone individuale, si contendono lo spazio per stendere i panni.

Modello architettonico

Tipiche della zona dei Navigli, non è difficile comunque trovare case di ringhiera altrove, sparse in giro per la città, dal centro alla periferia, al punto da rappresentare addirittura un vero e proprio “modello architettonico abitativo”. Sembra ce ne siano addirittura qualcosa come 70.000, ancora oggi! Per la loro architettura semplice, caratterizzata dalle tipiche case in linea colorate quasi sempre in giallo o rosso , sono diventate il modello dell’abitazione meneghina per eccellenza.

Se inizialmente, queste case erano state costruite per la necessità di fornire un alloggio agli operai che lavoravano nelle varie fabbriche della zona, col passare dei decenni, si sono trasformate lentamente in qualcosa di molto più appetibile a classi sociali con tenori di vita ben diversi. Indubbiamente, il contesto (cioè la presenza di ‘vita nel quartiere’, con bar, ristorantini, locali vari di vita notturna), ha la sua importanza e quelle stesse case, proprio perchè “diverse” da quelle tradizionali, hanno cominciato ad essere ambite soprattutto dai giovani (più trendy), iniziando a diventare una scelta di tendenza, a seconda dei quartieri.

Ma proviamo a fare un salto indietro, per capire meglio com’erano queste case all’origine, e come vi si viveva.

Per sopperire alla necessità di manodopera, era necessario ‘attirare’ quanti erano in cerca di un lavoro, dando loro la possibilità di vivere in città, fornendo quindi un alloggio. Poiché erano quasi sempre giovani senza grosse pretese, gli immigrati che venivano a Milano in cerca di lavoro, le case avrebbero dovuto avere per loro, la funzione di dormitorio, per cui, in quest’ottica, non si andava molto per il sottile: bisognava costruire velocemente nuove case, massimizzando la resa e minimizzando i costi, quindi un elevato numero di alloggi, in case di scarsa qualità. Spesso nelle abitazioni non vi era nemmeno l’acqua corrente.

Ndr. – Certe considerazioni che seguono, che per noi, oggi, suonano del tutto incomprensibili e inaccettabili, dato il nostro attuale tenore di vita, all’epoca, rappresentavano l’assoluta normalità.

Diversa filosofia di vita

A differenza di quanto accadeva per chi alloggiava da parenti in una casa di tipo tradizionale, l’andare a vivere in una casa di ringhiera, avendo la fortuna di trovare un alloggio disponibile, significava rinunciare del tutto alla propria privacy. Una cosa era adattare le proprie abitudini al nuovo ambiente, un’altra era cambiare il proprio modo di vivere, accettando di condividere le proprie esperienze, in comunità. Ovviamente, per un giovane non pratico della città, l’andare a vivere in un simile ambiente, comportava sicuramente qualche rinuncia, ma aveva i suoi innegabili vantaggi, potendo contare sull’aiuto degli altri per la soluzione dei problemi più comuni.

Sicuramente più autentica di quella di oggi, era una vita di aiuto reciproco, di solidarietà, di accoglienza, quasi come essere in una grande famiglia, di scambio di chiacchiere da un ballatoio a quello di fronte, al di là del cortile, una vita dove tutti sapevano tutto di tutti, dove si mettevano in piazza i propri panni sporchi, dove non c’era litigio che non fosse di pubblico dominio.

Gli abitanti del vicinato non si scelgono, si convive con quelli che capitano. La sorveglianza era reciproca, l’invadenza pure, i pettegolezzi si sprecavano, non c’era rumore anomalo che non venisse udito e commentato da tutti. Per chi entrava od usciva dal proprio alloggio, transitando necessariamente davanti alle finestre di quanti abitavano sul medesimo ballatoio, era impossibile passare inosservato. Inevitabilmente, era un luogo ove qualunque fatto anche insignificante, ma fuori dal comune, faceva notizia. Ad esempio, l’improvvisa colica del vicino, intuibile dalla fretta con cui, col giornale sotto braccio, il poveretto tentava di raggiungere il WC alla turca in fondo al ballatoio, diventava motivo di naturale ilarità e di pettegolezzo con la dirimpettaia, diventando in un lampo, notizia di dominio pubblico. 

Già il WC sul ballatoio era sempre meglio che non dover scendere direttamente a quello previsto in cortile: era un lusso che non tanti, a Milano, potevano permettersi a inizio Novecento. Certo, l’avere poi il WC addirittura in casa propria, al pari dell’acqua corrente, del gas o del riscaldamento, erano delle cose assolutamente avveneristiche all’epoca, in quel tipo di case. I tempi non erano ancora maturi! Bisognerà attendere la fine degli anni 60, in pieno boom economico perchè il Comune si rendesse conto che non era più accettabile che gli abitanti di quegli alloggi si dovessero ancora servire di bagni comuni e non privati. Per cui la gente che abitava queste case, fu obbligata a mettere mano al portafoglio, per adeguarsi ai nuovi regolamenti comunali, sobbarcandosi pure il disagio di lavori decisamente importanti di carattere straordinario in tutti gli alloggi.

Testimonianze di com’erano queste case in origine non sono del tutto scomparse in città. In certe zone più degradate della periferia nord, spesso oggi in mano alla malavita, diverse case di ringhiera ancora esistenti, sono state lasciate in stato di totale abbandono. cioè mai seriamente ristrutturate. In tali case, c’è ancora oggi un unico WC alla turca, per piano: lo chiamano pomposamente bagno ma è una sorta di casottino di dimensioni appena sufficienti per girarsi, una porta sgangherata a chiusura approssimativa, con una finestrella senza telaio, in fondo al ballatoio, all’aperto, vicino alle scale, a disposizione di quanti condividono i loro alloggi su quel ballatoio (6 -7 famiglie). Il riscaldamento e l’acqua calda, in quelle case, naturalmente non esistono.

Come sono gli alloggi

A parte qualche singolo monolocale, gli alloggi erano quasi tutti dei bilocali fra loro comunicanti, una stanza con funzione di soggiorno uso cucina, l’altra era invece la camera da letto. Il taglio medio del singolo alloggio, era sui 45-50 mq. La finestra della camera da letto dava sulla strada, quella del soggiorno, verso il cortile.

Non essendo previsto il riscaldamento, solitamente il soggiorno era riscaldato dalla cucina economica, mentre la camera da letto era generalmente più fredda. Al fine di risparmiare prezioso combustibile, che tra l’altro permetteva di investire i pochi soldi disponibili in generi alimentari, la camera da letto rimaneva chiusa durante il giorno così da evitare di disperdere il calore in una stanza che sarebbe stata utilizzata solo durante la notte.

Come si viveva allora

La vita del nucleo familiare si svolgeva naturalmente tutta lì, in quei pochi metri quadrati: mentre il marito andava al lavoro in fabbrica al mattino e rientrava la sera, la moglie ed i figli condividevano il piccolo soggiorno per le varie attività. In un angolo vi era naturalmente la cucina economica a legna, che aveva la doppia funzione sia di cucinare che di riscaldare l’ambiente. L’arredo del locale si limitava ad un tavolo, quattro sedie, una credenza ed una brandina mascherata da divano. La sera, dopo cena, quel locale si trasformava in dormitorio per i figli. (Nella brandina riuscivano a dormire in due, posizionati testa-piedi). La coppia invece si ritirava nella camera da letto (che d’inverno era gelida). Usualmente,  oltre al giaciglio, con i comodini, vi era un grosso armadio di legno scuro ed un cassettone. Non essendo prevista l’acqua corrente in casa, in un angolo della stanza c’era un treppiedi con catino che serviva per lavarsi al mattino. A terra, ai piedi del treppiede, infatti c’era un secchio d’acqua che, ogni giorno,dopo l’uso, la moglie provvedeva a rabboccare alla fontanella comune, posta all’esterno, all’inizio del ballatoio.

La porta d’ingresso, durante la giornata, era raramente chiusa a chiave. Si viveva praticamente in comunità con i vicini. Il ballatoio, fuori dalla porta d’ingresso era il primo luogo di socializzazione, sia con i vicini, che con i dirimpettai. I ragazzini chiassosi giocavano sui ballatoi rincorrendosi e nascondendosi l’uno in casa dell’altro.

Nessun pericolo di furti, prima di tutto perchè c’era ben poco da rubare e, in secondo luogo, perché, per un ladro, riuscire a passare inosservato, sarebbe stato davvero difficile. Anche gli atti vandalici erano rari. Nell’androne, unico accesso a tutto il caseggiato, vi era la portineria, luogo di pettegolezzo privilegiato e di sosta più o meno obbligata, per il prelievo della corrispondenza. La portinaia che controllava l’ingresso o l’uscita di chiunque, era ovviamente informatissima di tutto e su tutti, notoriamente, il gazzettino ufficiale del caseggiato.

Il cortile, a volte anche grande, tutto  in acciottolato e lastroni in pietra, era l’altro luogo di socializzazione del condominio. Mentre le donne si trovavano ai lavatoi dandosi appuntamento per le classiche attività domestiche, in un angolo del cortile, i ragazzi più grandicelli giocavano a pallone simulando un ipotetico campo di calcio. Fra i vari locali che, al pianterreno, si affacciavano direttamente sul cortile, non era difficile trovare una o più botteghe come quella del fabbro o dello stagnaro, del ciabattino o del materassaio, del falegname o dello “strascée” (stracciaiolo). C’erano ovviamente anche magazzini privati oltre a qualche locale adibito a stalla per il ricovero dei cavalli e dei relativi carretti. Il cortile stesso poi, era naturale luogo di giochi anche per i più piccoli che sfogavano lì, tutta la loro vivacità, lontano dai pericoli della strada, sotto l’occhio vigile delle madri che li lasciavano divertire controllandoli dai ballatoi dei rispettivi alloggi. Appoggiate alla ringhiera, dietro una teoria di panni stesi, li richiamavano di tanto in tanto all’ordine per far sentire la loro presenza, continuando nel frattempo, da brave dirimpettaie, a far salotto spettegolando dell’uno o dell’altro, rendendo l’intero condominio, partecipe delle loro chiacchiere. Quando capitava la nevicata, tutti si sentivano un po padroni delle parti comuni, e senza attendere ordinanze comunali, aiutavano tutti di buon grado a spalare la neve con un cameratismo che oggi si vede solo in situazioni di assoluta emergenza.

Per chi, amante del “diverso”, non conoscendo già i posti, fosse interessato a vedere delle case di ringhiera nel loro habitat naturale, facendo quasi un tuffo nel passato, posso suggerire una passeggiata inusuale in due zone, oggi diventate semi-centrali, dove non pare proprio di essere a Milano: l’una e dalle parti di via Pier della Francesca e l’altra dalle parti di Corso San Gottardo.

Due famose borgate con case di ringhiera

“Borgh di Scigolatt“

In via Pier della Francesca n. 34, c’è una casa di ringhiera davvero rinomata: è la Cà Longa, non lontano dall’Arco della Pace. Ci troviamo nel cosiddetto Borgh di Scigolatt (dalla scigola, la cipolla), il borgo degli ortolani, tra Porta Tenaglia e Porta Volta. Si chiamava così perché quel quartiere inizialmente, essendo fuori dalle mura, nel Comune di Corpi Santi, era tutta campagna e vi erano numerose coltivazioni di frutta e verdura, grazie alla ricca abbondanza d’acqua, al punto da riuscire a rifornire di verdure gran parte della città.

La “Cà Longa” in via Pier della Francesca 34

La Ca’ Longa, letteralmente ‘casa lunga’, nasce nell’800 come cascina usata come “sede di smistamento postale”. Lungo tutto il cortile, c’erano le stalle per i cavalli. Questi, con le carrozze, distribuivano la corrispondenza in giro per la città. Solo più tardi la cascina venne trasformata in casa di ringhieraLa presenza di una Madonnina votiva nel cortile della casa, si giustifica con la convinzione che la sua presenza abbia fatto il miracolo di preservare la Ca’ Longa dalla distruzione durante uno dei bombardamenti alleati sulla città nell’ultimo conflitto. “Da quel giorno gli abitanti della Cà Longa sono soliti festeggiare aprendo la casa ai passanti ogni prima domenica di Ottobre” 

“Borgh di formaggiatt”

Un secondo esempio si trova invece in zona Navigli, in Corso San Gottardo ,in particolare, dove ancora oggi sembra di respirare un’aria diversa, un profumo di caciotta … Sembra quasi di fare un improvviso incredibile tuffo nel passato, quando passeggiando qua e là, si scoprono tuttora, degli scorci inattesi di cortili di case di ringhiera, in cui pare quasi che il tempo si sia fermato. Qui siamo nel “Borgh di formaggiatt”, (il borgo dei formaggiai), a due passi dalla Darsena (l’antico porto di Milano), dal Naviglio Grande, da quello Pavese e dai resti della cinta di mura spagnole.

C.so San Gottardo – Sembra un vicolo, ma è una casera (dove si stagionavano i formaggi). Oltre il varco, in fondo, il Naviglio Pavese

Le chiatte che risalivano il Naviglio Pavese, reso navigabile a partire dal 1819, verso la Darsena cariche di sabbia, mattoni, pietre, marmi, legna, carbone, portavano anche tanto latte che veniva trasformato in gustosi formaggi proprio lì, nel Borgh di Formagiatt. Arrivavano pure dal pavese, forme di formaggio già preconfezionate ma in attesa di stagionatura prolungata e così, ben presto, le case e le cantine lungo Corso San Gottardo si trasformarono in “casere” ovvero luoghi di lavorazione e di stagionatura dei formaggi, saporiti gorgonzola e ottimi grana padano.
Le forme di formaggio, man mano
che invecchiavano, venivano spostate di locale in locale verso il Corso San Gottardo fino ad arrivare, una volta “mature”, direttamente alle botteghe lungo la strada, per la loro vendita. L’odore acre del formaggio era inconfondibile in tutto il quartiere! Come fossero fatti questi edifici che divennero “casere” lo possiamo intuire ancora oggi, basta entrare in uno dei portoni aperti che nascondono le famose “case di ringhiera“, con i magazzini, i laboratori e le botteghe ai lati dei lunghi cortili interni e i piccoli appartamenti con ballatoio in condivisione ai piani superiori.

Case di ringhiera di via san Gottardo 18 – Milano

Come si vive oggi

Bisogna fare naturalmente distinzione fra case di centro e di periferia, e fra case già ristrutturate e quelle non ancora ammodernate. Oggi sono comunque decisamente cambiati i tempi. Salvo che in qualche singola zona degradata di periferia, abitata quasi esclusivamente da extracomunitari, l’allegria e la vivacità delle case di ringhiera di una volta, sono rimaste solo un lontano ricordo. I cortili che di giorno si animavano, ora sono silenziosi, a volte fin troppo.

Ancora oggi, andando in giro per il centro di Milano, fra le tante case signorili e moderne, capita di incontrare delle altre molto più datate, esteticamente molto diverse, secondo gli stili e le usanze dei tempi, incredibilmente graziate dalle distruzioni dei bombardamenti dell’ultima guerra o dagli scempi della speculazione edilizia. Addentrandoci, particolarmente in primavera, verso maggio-giugno a curiosare negli androni, spesso aperti, di molte di quelle case di tre o quattro piani al massimo, un tempo gelide e malsane, si rimane spesso incantati scoprendo dei cortili, raramente grandi, con balconate continue che sono cascate di verde da un piano all’altro, lungo tutto il perimetro del cortile stesso. Chi ha il “pollice verde”, riesce talvolta a realizzare degli angolini davvero splendidi, dei piccoli giardini pensili, dei ballatoi davvero lussureggianti.

Cortile di via Cerva 10

Per alcuni aspetti, queste vecchie case di ringhiera possono essere viste, se riferite al Novecento, come l’espressione orizzontale del Bosco Verticale che l’archistar Stefano Boeri ha ideato pochi anni fa, a quartiere Isola e che oggi, rappresenta uno dei simboli della città, in continuo cambiamento. E’ ovvio che il paragone non regge e che vuol essere solo una provocazione bella e buona! Sono due realtà totalmente diverse, sotto mille punti di vista. Due soli, sono forse gli aspetti che le accomunano: il verde lussureggiante e il prezzo astronomico degli appartamenti! Naturalmente, mi riferisco alle case di ringhiera del centro storico, che, pesantemente ristrutturate, internamente hanno cambiato radicalmente volto, lasciando uguale al modello originale, solo l’esterno molto semplice e generalmente disadorno. Alcune di queste case hanno oggi persino l’ascensore, battendo tutte le barriere architettoniche! E’ sicuramente questo sapore di antico, che conferisce loro, quel fascino romantico e un po’ retrò, che le fa preferire ad altre probabilmente più confortevoli, a parità di prezzo. L’alloggio oggi è dotato ovviamente di bagno proprio, magari anche con vasca Jacuzzi, riscaldamento ed acqua calda, aria condizionata e tutte le più moderne comodità e tecnologie. Gli interni, ridisegnati secondo gli orientamenti attuali, e impreziositi con materiali pregiati, piastrelle esagonali e arredi vintage, scatenando la fantasia dei migliori architetti d’interni, sono degli autentici lussuosi e costosissimi gioellini, appannaggio solo per ricchi. I cortili usualmente piccolini, sono silenziosissimi. La privacy non è sicuramente quella del classico condominio, ma abitare in una casa ringhiera ha ancora oggi la sua unicità: l’atmosfera romantica che si gode in questi cortili è davvero impagabile. Inoltre, essendo davvero pochi gli inquilini a condividere lo spazio comune, non si è del tutto perso quello spirito di aiuto reciproco e non è infrequente lo scambio di cortesie fra vicini o la condivisione di un buon caffè, preso rigorosamente sul ballatoio. La ricca vegetazione fatta crescere sulle ringhiere, oltre ad avere una indubbia funzione estetica, contribuisce pure ad isolare i singoli alloggi, dando l’illusione di un minimo di privacy.

Chi vi abita

E’ il titolare di un’agenzia immobiliare, amico di vecchia data, a farmi l’identikit del soggetto tipo che usualmente viene da lui in ufficio a richiedere un “pied à terre” in casa di ringhiera, un tempo casa dormitorio, oggi alloggio trendy. Naturalmente bisogna distinguere casa da casa, fra quella che ha subito consistenti modifiche “strutturali” e quella ristrutturata parzialmente alla “fai da te”.

E’ un fenomeno di tendenza che non accenna a subire flessioni di mercato. E’ evidente che una casa con tutti i comfort, in una posizione oggi alla moda (Brera o Navigli) sia decisamente più appetibile di una più spartana nella medesima zona. Difficilmente un alloggio rimane sfitto soprattutto nelle aree più rinomate, dove la domanda è altissima e i prezzi di conseguenza.

Oggi quindi, il destino delle case di ringhiera corre su un doppio binario e tutto ciò che le riguarda o che vi si trova intorno (localini, bar, negozietti di antiquariato, botteghe d’arte ecc.), rispecchia sia le condizioni economiche che l’estrazione sociale dei rispettivi abitanti.

Gli alloggi ristrutturati più ricercati, nelle zone suindicate, sono richiesti quasi esclusivamente da soggetti italiani fra i trenta e quarant’anni, single o felicemente accoppiati, benestanti, soggetti mediamente un po’ trendy, milanesi o giovani di altre città trasferitisi a Milano per lavoro per periodi medio-lunghi.

Vi sono naturalmente strade anche nelle zone più rinomate, in cui convivono stili di case misti, quindi sia quelle alla moda, sia quelle vecchie e non ristrutturate.

Cortile degli artisti in Alzaia Naviglio Grande n. 14

C’è anche molta richiesta per le case in zona Brera, delle autentiche perle, dove è tornata la stessa intima sensazione di condivisione, di piccola comunità e dove gli alloggi sono stati ristrutturati completamente, lasciando uguale al modello originale, solo l’esterno. E’ una sorta di piccola Montmartre all’italiana, il centro della vita bohémienne milanese.

Allontanandosi man mano verso le aree di periferia, la situazione cambia drasticamente sia in funzione della zona sia perché, per motivi vari, non tutti si sono adeguati alle disposizioni comunali sopra accennate (bagno in ogni alloggio), e molte case, pure ristrutturate e rimesse internamente a nuovo, sono rimaste com’erano in origine. Calando conseguentemente i prezzi, diventano meta preferita di stranieri extracomunitari con capacità di spesa limitata ma con spirito di adattamento decisamente superiore al nostro. Per queste ragioni, pur restando invariata la metratura, la forbice dei prezzi è davvero grande.

Conclusione

A riguardarle oggi, tante di queste case di ringhiera, soprattutto in periferia, sono in stato di degrado a causa di una manutenzione “fai da te”, denunciando così, impietosamente, l’età che hanno. Se quei muri scrostati potessero parlare, raccontando cos’hanno visto in tutti questi anni, sicuramente ci sarebbe materiale sufficiente per girare più di un film. Per chi ci è vissuto in gioventù, il tornare, a distanza di quaranta o cinquant’anni, a rivedere la propria casa natia, bella o brutta che sia, sicuramente crea una profonda emozione. L’entrare in quell’androne e l’accedere a quel cortile, suscita indubbiamente una lacrima di commozione. Il sollevare poi lo sguardo al ballatoio e alla porta del proprio ex-alloggio, abitato oggi chissà da chi, fa riaffiorare di colpo, ricordi ormai da tempo dimenticati: gli amichetti delle porte accanto, i giochi insieme, le corse sui ballatoi, i ruzzoloni giù per le scale, i pianti, i dispetti alla vecchia brontolona del piano di sotto, le prime simpatie …. Indubbiamente era molto diverso rispetto ad oggi … si stava meglio, quando si stava peggio! Era un passato di solidarietà fatta di piccole cose, di piccoli gesti, di aiuto reciproco nel bisogno, di condivisione di quel poco che si aveva, tutti valori questi, che nella società di oggi, si sono persi o comunque molto inariditi. E’ la nostalgia di un’epoca “più umana”, di una Milano totalmente diversa.

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